Ieri nel tardo pomeriggio il mio amico Andrea e io siamo andati a vedere United 93 nel mio cinema locale e ne parlo solo per dire un paio di cose. La prima e': non andate a vedere un film inutile come questo, che non aggiunge nulla alle versioni ufficiali, per altro smentite da ogni ricostruzione indipendente. L'unica ragione minimamente valida potrebbe essere il fatto che il film conferma l'umanita' dei componenti dei commando suicidi e, ma questa forse e' una cosa non voluta dal regista, la violenza innata che i maschi Americani succhiano insieme al latte materno (invece di cercare un dialogo con il dirottatore che guida l'aereo, una volta entrati in cabina di pilotaggio non fanno altro che ucciderlo barbaramente facendo precipitare il velivolo).

La seconda cosa che volevo dire e' che mi sono reso conto di quanto l'attesa di un evento negativo mi faccia stare decisamente peggio dell'evento stesso. Cioe', nella prima quasi ora di film, prima che il dirottamento accadesse, ogni volta che la scena tornava nella cabina dell'aereo sentivo il mio cuore che accelerava terribilmente. Poi, dopo che il commando ha preso il controllo, mi sono in qualche modo calmato e rassegnato.

Il problema, pensavo poi ieri sera, e' che la stessa cosa mi accade anche "in versione positiva". Cioe' negli ultimi anni l'attesa che sbocci un amore e' per me sempre stata una sensazione piu' intensa della "realizzazione" dell'amore stesso. Dopo, in qualche modo, "mi rassegno", il mio cuore accelera ma meno, le mani non sudano piu' come prima, il film mi sembra gia' un po' visto e gradualmente ma inesorabilmente perdo interesse. Fino a quando la piantina che ho smesso di innaffiare avvizzisce e muore.

[Invece di United 93, guardate questo].

Commenti

sonia ha detto…
Commento per i terzo paragrafo: IDEM!
Andrea ha detto…
una cosa che mi fa piacere sapere e' che "anche tu", dopo che hai visto un film, ci devi riflettere sopra, e, pensandoci, realizzi che e' stato bello/inutile/dannoso

a proposito del terzo para: mi fa decisamente paura immaginare una relazione come un film. Di sicuro e' un film che si reinventa. E ci sono passaggi che si sono gia' visti, alcune volte, e si tengono i ruoli secondo copione. Ma ragazzi, quando si ricomincia a improvvisare e' fare rinascere l'araba fenice!!
Henry ha detto…
che l'attesa sia sempre piu' eccitante dell'evento e', credo, un fatto che fa parte della natura umana...pero' un grande amore (proprio per l'aggettivo grande) dovrebbe essere diverso. certo magari le mani sudano meno ma si creano, o si dovrebbero creare, altri motivi di eccitazione (rispetto, comprensione, desiderio di cercare insieme sempre cose nuove). se cosi' non e' allora non e' amore. e se amore non e' allora va bene che finisca.
Fabio ha detto…
Sonia -

E la soluzione qual e'? Perche' se ad altri succede la stessa cosa, allora magari si puo' anche cercare una soluzione insieme. Sbagliamo qualcosa, ma cosa? Non e' che siamo vittime di una sorta di "glorificazione dell'amore"? E' solo un'ipotesi, un punto di partenza se qualcuno vuole contribuire. Se invece non interessa a nessuno cambio post eh, ne ho gia' uno in mente per oggi, bello neutro come da tradizione.

Andrea -

Io sono un grande sostenitore del dibattito dopo il film, per me dovrebbe essere obbligatorio. Se avessi io una sala, un minuto prima dei titoli di coda credo che sbarrerei ogni via d'uscita e costringerei gli spettatori a scambiarsi opinioni e idee per minimo mezz'ora. A proposito del famigerato terzo paragrafo, a me invece piace pensare che le relazioni migliori che ho avuto potrebbero essere libri o film. Lo so, stai dicendo un'altra cosa e a questo proposito sono d'accordo con te, bisogna reinventarsi sempre. Pero' non e' proprio facile. Uno psicologo transazionale che si chiama Eric Berne ha passato la propria vita proprio a studiare la ripetizione involontaria di eventi e relazioni nella nostra vita. In poche e semplici parole (premessa necessaria nel caso il mio ottantunenne professore di psicologia sociale e poi direttore di istituto fosse tra i lettori del blog), sostiene che tendiamo a ripetere quelli che lui chiama "giochi", nella speranza di risolvere traumi relazionali che arrivano da lontano. Ricreo la situazione, cercando questa volta di risolverla per potere andare avanti. Se non riesco, allora "Rip it up and start again", il conflitto lo ri-invento la prossima volta. E mica basta la consapevolezza, non e' cosi' facile. Io ci finisco dentro tutte le sante volte per esempio.
Fabio ha detto…
Henry -

Hai perfettamente ragione nelle conclusioni, quello che e' meno definitivo sono le premesse, che sono a volte piu' "twisted" nella realta'. Il passaggio dall'innamoramento a quelli che chiami "altri motivi di eccitazione" a volte e' naturale e liscio come l'olio, mentre altre volte richiede un processo di mediazione e compromessi (a me per esempio vengono in mente a questo proposito certe relazioni a distanza che di fatto ti costringono a ridefinire radicalmente il tuo tempo, a dedicarne una porzione enorme a "noi" a scapito del tempo per se' - e' solo il primo esempio che mi e' venuto in mente, sono sicuro che ce ne sono di migliori). La teoria dovrebbe funzionare, pero' poi "da vicino nessuno e' normale". Si puo' passare ad "altri motivi di eccitazione" oppure tutto si puo' disintegrare se il passaggio non e' semplice. Forse pero', come dici tu, non erano grandi amori. Non lo so, ci devo pensare bene. Poi magari ne parliamo davanti a un piatto di noodles al tuo giapponese preferito prima che tu parta, cosi' ci salutiamo.
sonia ha detto…
ciao fabio, e buona giornata...volevo chiederti una cortesia, vorrei proprio preparare un post relativo al tuo terzo paragrafo. Proprio stamattina presto qundo stavo andando a Milano ci stavo proprio al mio post di domani, per cui stavo pensando se non ci fosse stata la possibilità di continuare questo discorso sul mio post.Ovviamente, stanne certo, che farò riferimento a ciò che hai detto tu, citandoti in merito a questo, sai com'è, non voglio prendermi il diritto d'autore;o)... ma vorrei se possibile continuare il discorso nel mio...la cosa mi interessa parecchio! Posso? perchè mi assila parecchio sta storia...un grazie anticipato
Fabio ha detto…
Ma certo! Senti, pero' promettimi che la prossima volta ti ispiri a un post un po' piu' allegro di quello di ieri. Aspetto di partecipare allora :-)
sonia ha detto…
mmmhhhh...io te lo prometto! ma dimmi, l'hai trovato proprio tanto triste quello di ieri?!?! A me non ha mica dato questa impressione...
ahahahah....forse intendi triste dal punto di vista, che non era il massimo?!?!;o)buona giornata!
PiB ha detto…
fabio arrivo solo ora perchè ieri ero in fase di stand by...il film come a te non è piaciuto e anche io mi sono trovato di fronte a quella considerazione della viuolenza innata in questi americani cresciuti con il mito dei Rambo e dei Terminator. Del resto guarda lo spettacolo indecente che hanno fatto per la morte di al-Zarqawi.

Per quanto riguarda quello che scrivi nel terzo capitolo torna la teoria della memoria a breve termine o come la vuoi chiamre: ogni giorno devi stupirti come se tutto fosse davvero nuovo
Fabio ha detto…
Sonia -

Beh la conclusione in effetti non era delle piu' allegre (che poi il post di ieri e' questo, per intenderci).

Pib -

Come violenza pero' anche gli inglesi non scherzano. Poco fa ho letto l'articolo principale dell'Independent di oggi e mi e' venuta una gran rabbia. E' la storia del tipo che si e' preso una revolverata nel petto durante un raid notturno della polizia in una casa di Forest Gate. Non sono riusciti a dimostrare nulla contro di lui e nessuno dei suoi famigliari. L'articolo e' questo: http://news.independent.co.uk/uk/crime/article994078.ece.

Sul terzo paragrafo hai ragione, pero' vale un po' quello che ho scritto a Henry. Tra l'altro sto pensando che quello che dici a proposito dello stupirsi ogni giorno ha un bel po' di punti di contatto con quello che dicevamo ieri Lophelia e io nel suo blog (vivere senza castelli di carte ecc.).
lophelia ha detto…
Fabio, se fossi la tua analista ti direi che hai bisogno di costanti emozioni forti per anestetizzare un senso di depressione latente. Questo è quello che la mia analista diceva a me per via dell'instabilità delle relazioni che mi cercavo, che quindi mi garantivano la suspence. Col tempo ho pensato che forse aveva ragione, ma che ne consegue che siamo tutti depressi.
Fabio ha detto…
Ma tu SEI la mia analista! Infatti forse e' un po' cosi. Comunque non e' vero che siamo TUTTI depressi. Molte persone vivono relazioni tranquille di lunga durata. Comunque se rinasco col cavolo che li ricompro i dischi degli Smiths. Come mi ha scritto un amico (geniale) proprio oggi: "E, pensa, leggere Dan Brown e andare a vedere il Re Leone, impazzire per il sudoko e sventolare il tricolore, indossare una maglia con le lettere D G a caratteri cubitali, rimpiangere Gerry Scotti parlamentare socialista. Se solo ci fosse data la grazia!".
Fabio ha detto…
Dimenticavo: stiamo dicendo la stessa cosa Lophelia.
Andrea ha detto…
non per mancare di rispetto alla categoria, ma quello che dice lophelia e' per me un'altra riprova che gli analisti dovrebbero farsi un po' di vacanza ogni tanto pure loro e piantarla di dire ste cose
lophelia ha detto…
@Andrea: più che altro perché anche se la depressione ce l'hai dicendo queste cose non te la fanno certo passare
Fabio ha detto…
Andrea e Lophelia -

A me invece quello che ha detto l'analista di Lophelia ha fatto pensare. Io, di fatto, mi crogiolo in stati depressivi mica sempre latenti. Nascosti agli altri magari, ma belli evidenti a me. Quello che Lophelia ha scritto mi porta a riflettere sul fatto che le "emozioni forti" come lei le chiama, sono un semplice analgesico. E continuare a auto-somministrarsi analgesici non porta a risolvere il problema. Non fara' passare la depressione questa "scoperta", d'accordo, ma indica se non altro che quella strada non porta da nessuna parte. E' gia' un'indicazione (in una mappa piu' grande tutta da costruire, ovvio).
Andrea ha detto…
fabio e lophelia,
so quanto e' difficile parlare di queste cose, quindi spero di non portarla avanti per altri lunghi post interiorizzanti..

L'esperienza che ho avuto della "depressione", quella vera, e' stata una cosa devastante. Un depresso/a non si alza per settimane dal letto. Si taglia i capelli a zero senza sapere di averlo fatto. Ha una muscolatura quasi atrofizzata dal non-movimento. Non usa "analgesici" di nessun tipo: il fatto che possa apprezzare un bel quadro (o qualsiasi altra cosa), caro fabio, e' una prova sufficiente (per me) che tu non abbia quel problema. Il fatto che _parli_ di questo problema, lophelia, e' una prova sufficiente (per me) che tu non abbia quel problema.

Quello di cui gli psichiatri e terapeuti parlano (o forse che i pazienti tendono a capire) il piu' delle volte non e' depressione, ma spesso (per fortuna!) e' uno stato di cupezza interiore, un'altalena di emozioni che ci lascia molte volte in uno stato semi-catatonico e ci fa chiedere ma porc... ma perche' devo essere proprio cosi infelice solo io?

spero di non farla piu' facile di quello che state provando a dire, ma mi lascia basito quando sento parlare cosi tanto di depressione
Andrea ha detto…
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Fabio ha detto…
Si sente nelle tue parole l'esperienza di ex obiettore, che conosco bene. Io ricordo che dopo una settimana passata con disabili fisici e psichici di ogni tipo, tornavo a casa con la convinzione di stare benissimo, e che tutti i miei problemi non erano nulla rispetto alle disgrazie con le quali mi trovavo a confrontarmi ogni giorno. Nella realta' quotidiana di oggi pero' tutto questo lo dimentichiamo.

La persona alla quale devo un po' tutto quello che sono, con la quale sono cresciuto e ho scoperto e condiviso ogni cosa, mi fermava ogni volta che usavo la parola "sofferenza" dicendomi sempre "Ma Fabio, le nostre non sono sofferenze!" (per una fatalita' tragica mori' di leucemia a 27 anni, divorata da un dolore infinito).

Parlo per me, poi Lophelia ci dira' il suo punto di vista se vorra', ma fatte tutte queste doverose premesse e distinzioni, io credo che quello stato di cupezza al quale fai riferimento, abbia un impatto potenzialmente devastante sulle nostre vite e su quelle di chi ci circonda. "Perche' sono cosi' infelice solo io" ("Heaven knows I'm miserable now"), ci porta a fare o non fare scelte che generalmente fanno avverare la profezia. Gioco svogliatamente in difesa, e faccio prendere un sacco di reti alla mia squadra, invece di fare azioni brasiliane e realizzare goal con fantasia. [Dico, un commento calcistico fatto da me Andrea, alla fine dei mondiali London Calling si trasformera' in un blog calcistico!].
sonia ha detto…
Ho perso molti amici, in ogni modo, ma non solo, il mio primo morosino è morto in un incidente! 4 anni fa ho perso la sorella di gabriele (per chi ha seguito la storia dei segni sa di quale uomo sto parlando), e poi altra gente ma non stô qui a elencare il tutti!
Comunque dopo i miei studi artistici e dopo un po' di peripezzie,sono giunta alla conclusione di continuare gli studi, orientandomi sulla scelta di voler fare l'educatrice, dopo aver fatto uno stage presso un centro per ragazzi disabili.Non immaginate nemmeno cosa questi ragazzi mi abbiano regalato, e cosa sicuramente anche io gli ho portato! Insieme abbiamo dipinto tele,abbiamo fatto lavoretti manuali, abbiamo riso, skerzato,ascoltato musica...a loro la musica piace molto!
Quello che ho imparato da queste persone è la semplicità con la quale vivono,loro non si fanno domande sulla loro condizione, loro sorridono sempre e ti ringraziano solo per un piccolo cioccolatino! E ti fanno sentire come se noi gli avessimo fatto il regalo più bello del mondo!Loro sono semplici, siamo noi che ci complichiamo la vita per le balle!
Scusatemi se sono entrata in questo modo nel vostro discorso (magari sono troppo giovane per capirvi), ma non ho resistito!
Fabio ha detto…
Ho ricordi molto simili ai tuoi Sonia. Non so aggiungere altro alle tue parole bellissime.
lophelia ha detto…
Meglio tardi che mai (o no?) vorrei dire che "depressione" può essere un termine troppo comodo e inesatto, ma il fatto centrale è che se si sta male si sta male, anche se in modo diverso e in "gradazioni minori". Credimi Sonia, non è "complicarsi la vita", soprattutto perché non è qualcosa che si fa intenzionalmente e soprattutto non si riesce a smettere a comando. Se si sta male, in qualsiasi modo, dei motivi ci sono sempre, e se non si vedono vuol dire che sono ben nascosti nel passato, rimossi al di sotto della coscienza. Cercarli è un dovere verso se stessi, ritrovarli tutt'altro che semplice ma non impossibile. Solo così si può cominciare a cambiare coscientemente qualcosa per stare meglio. Io la vedo (e la vivo) così. Spero di essermi spiegata decentemente.
Fabio ha detto…
E' un po' come se stessimo giocando a guardie e ladri tu e io, ti devo rincorrere in rete tra blog vari sfarfallando dal tuo a quello di Artemisia al mio, e all'interno degli stessi blog in post nuovi e vecchi. Spero di non dimenticare risposte qua e la' perche' la mia analista sciamana scrive sempre cose interessanti e non ne voglio perdere neanche una. Comunque, leggendoti senza che tu e io abbiamo parlato di persona neanche una volta, tu mi sembri tutt'altro che depressa o fuori controllo. A me pare che a te le cause di eventuali malesseri siano belle chiare. Se un lavoro di analisi c'e' stato, direi che ha dato ottimi risultati perche' nelle cose che scrivi c'e' molta consapevolezza, molta lucidita', una capacita' non comune di guardare oltre la superficie delle cose.
Anonimo ha detto…
La tua risposta ad Andrea mi è psicologiacmente molto vicina... Io non li chamo "giochi", ma "copioni" e quindi sì, possiamo rimanere nella metafora del film. Tendiamo a ripetere gli stessi copioni perché viviamo di abitudini e pregiudizi, anche se non ce ne accorgiamo. Sono confortevoli e ci servono per agire nel mondo. Il problema è che rimaniamo disperatamente attaccati anche a dei copioni che non funzionano solo perché abbiamo paura, ormai ci siamo abituati, chissà cosa c'è aldilà se li si abbandona... Il loop è più rassicurante anche se ti fa stare male. E anche se te ne accorgi razionalmente, finchè non lo interiorizzi, non lo fai tuo, non serve a nulla. E la natura non fa balzi, ogni piccolo passo lo ottieni con molta sofferenza e non hai neanche soddisfazione, perché una volta che hai superato quell'ostacolo e ti volti indietro, non riconosci nemmeno più quel te stesso che brancolava all'interno, sei già distante, già diverso...
Fabio ha detto…
Non sono sicuro che la natura non faccia balzi pero'. Le trasformazioni accadono all'improvviso, quando non te le aspetti. Piccole rivoluzioni. Sono invece d'accordo con te quando dici che tutti i cambiamenti richiedono sofferenza. Infatti avevo commentato a questo proposito da Lophelia, quando lei diceva di ricercare continui cambiamenti. Poi lei mi ha detto che l'importante e' non costruire castelli di carte e io avevo negato tutto. Invece piu' ci penso e piu' quei castelli di carte li vedo belli chiari, e neanche tanto fragili. Sono quelli che chiami abitudini e pregiudizi. Grazie per il tuo intervento, mi stai aiutando a capire.