"Posso farti qualche foto? Ti va di farmi da modella?"
“Naturalmente!” rispose con un bel sorriso.
Inizio’ a scattarle foto, poi appoggio’ la macchina fotografica sul tavolino, proprio di fianco al vasetto che conteneva un bocciolo di rosa.
“Tu e questo bocciolo siete proprio uguali” le disse.
*
La prima volta che la vide era appoggiata a una colonna del Barbican e stava leggendo un libro, aspettando in coda un return ticket per il concerto di Antony.
“Si muove un po’ la fila o e’ ferma?”
“Non lo so, sono appena arrivata” rispose senza staccare gli occhi dal libro.
Aveva voglia di comunicare e inizio’ uno dei suoi assoli tristemente famosi tra gli ascoltatori di una radio milanese.
“Ero qui proprio ieri per il concerto di Sufjan Stevens, che concerto, che concerto! Anche ieri qui in coda, pensa che quelli dell’organizzazione hanno persino dato dei bigliettini col numero, come all’anagrafe. Io ero il numero 58 e pensavo di non farcela, pero’ ero proprio determinato a sentirlo Sufjan oh si’. Perche’ l’avevo gia’ visto Sufjan, nel 2004, ed eravamo solo un centinaio di persone al Dingwalls di Camden. Concerto acustico, lui e il suo banjo e il silenzio”.
Sollevo’ gli occhi dal libro finalmente.
“Ieri c’erano decisamente piu’ persone qui in coda, oggi va meglio, sono sicuro che un paio di returns per noi ci saranno. Anche perche’ alcune persone si stancano e se ne vanno. Anche ieri e’ successo. Chi l’avrebbe detto nel 2004 che solo due anni dopo Sufjan avrebbe riempito l’auditorium del Barbican? Del resto il disco dell’anno scorso dedicato all’Illinois e’ proprio fantastico. E insomma ti dicevo c’e’ voluta pazienza ma alla fine ce l’ho fatta. Meno male che ci sono quelli che si stancano e se ne vanno, eh. Perche’ a un certo punto, appena iniziato il concerto, e’ arrivato uno con aria da boss e ha cominciato a distribuire tra i presenti i biglietti di chi era in guest list ma non si e’ presentato. Pensa che a me e’ capitato un posto in prima fila, prima fila centrale! A due metri da Sufjan. Ho fatto pure alcune buone foto, guarda. In questa si vedono bene le ali da aquila. Ah si’ perche’ non te l’ho detto ma tutti indossavano ali. Il gruppo avela ali di farfalla, e invece Sufjan ali da aquila, guarda. Erano nove, compresa una sezione fiati. Peccato non ci fossero gli archi, ho visto foto del tour americano e li’ gli archi invece c’erano. Concerto piuttosto lungo, almeno due ore. Ah e hanno fatto anche i pezzi di Natale. Perche’ Sufjan ha annunciato un cofanetto di 5 EP dedicati al Natale. E a un certo punto del concerto ha iniziato a tirare babbi Natale gonfiabili al pubblico e tutti ci siamo messi a giocare. Non ho fatto foto in quel momento solo perche’ mi e’ finita la batteria della macchina e ho dovuto cercare quella di ricambio e insomma quando l’ho trovata era tutto finito”.
Ando’ avanti dieci minuti buoni. Lei lo guardava come si guarda un matto scappato da un manicomio criminale, forse aspettando di vedere sbucare da dietro l’angolo un gruppo di infermieri armati di camicia di forza.
*
La coda si muoveva, lentamente ma si muoveva. A un certo punto la ragazza, che aveva ripreso a leggere il suo libro, fu la prima della fila e il rompiscatole logorroico il secondo. Un addetto del box office finalmente annuncio’ la disponibilita’ di una coppia di biglietti. Si fecero avanti e li acquistarono.
Lui guardo’ l’orologio, mancava quasi un’ora e mezza al concerto.
“Siamo seduti vicini, e sono posti molto buoni, e’ valsa la pena aspettare!” disse. “Manca ancora un’ora e mezza, io salgo a mangiare qualcosa, vieni con me?”
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Presero due piatti di pasta e una fetta di torta da condividere. La conversazione sembrava piu’ che altro un’intervista, come se lui avesse voluto sapere di lei ogni cosa, e lei di lui il meno possibile. Le solite domande comunque, di dove sei, da quanto sei a Londra, cosa fai qui, in che zona vivi.
“Vivo a Bloomsbury”.
“Ah Bloomsbury, zona che adoro! Conosci il St. George’s Garden?”
“No”
“E il delizioso caffe’ di Coram Fields?”
“No”
“Allora conoscerai la pasticceria francese con sala da te’ di Judd Street!”
“No”
“E Alara, il mio negozio preferito di prodotti organici?”
“No”
“Pero’ il Renoir cinema lo conosci, dai”
“Si’, quello si’, ci vado spesso”
“Dobbiamo assolutamente fare una passeggiata a Bloomsbury tu e io, ci sono luoghi che ti devo fare scoprire, sono sicuro ti piacerebbero”.
*
Il concerto di Antony fu splendido. Ogni tanto, tra un brano e l'altro, condividevano brevi impressioni, poi entrambi si lasciavano galleggiare tra le loro rispettive emozioni.
Alla fine del concerto camminarono insieme fino al guardaroba.
Lui prese uno scontrino e scrisse in stampatello il suo indirizzo di posta elettronica, assicurandosi che lei capisse bene ogni lettera.
Si separarono.
Lui doveva andare a un house warming non troppo lontano da li’.
Fece la strada cantando mentalmente in loop quel pezzo di “Hand in glove”, proprio quello che dice “But I know my luck too well, I know my luck to well, and I’ll probably never see you again, I’ll probably never see you again, I’ll probably never see you again”.
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Dieci giorni dopo, ripulendo la posta della radio dallo spam, trovo’ una mail intitolata “Bloomsbury”.
“Mi ha fatto davvero piacere conoscerti al concerto di Antony al Barbican. Mi domandavo se sei libero Sabato 25 per la passeggiata a Bloomsbury. Io ho scelto il giorno: posto e ora sceglili tu”.
*
Si incontrarono davanti al Renoir alle 4 del pomeriggio.
Lei bellissima, avvolta nella sua giacca bianca attillata e con i jeans infilati dentro un bel paio di stivali neri. Lui trasandato e affamato, essendo uscito di casa alle 10 del mattino per andare all’apertura della mostra curata da Damien Hirst alla Serpentine Gallery, e poi a fare spesa di dischi in giro per la citta’. Non aveva nemmeno trovato il tempo per fermarsi a mangiare qualcosa.
St. George’s Garden e’ un’oasi di pace nascosta a Nord di Coram’s Fields, alla quale si accede per una strada stretta tra eleganti case d’epoca vittoriana. Ai limiti del giardino c’e’ un vecchio cimitero. Iniziarono a camminare tra le pietre tombali coperte di muschio, gustando il silenzio del giardino deserto, mentre il pomeriggio si trasformava in crepuscolo. Parlavano a bassa voce, come a non volere disturbare quella quiete che sembrava durare incontaminata da secoli.
Poi l’oscurita’ impedi’ loro di leggere nomi e date decisero di uscire. Quando vide il cancello chiuso, lui si senti’ davvero imbarazzato, come un professorino di matematica che sbaglia un’equazione alla lavagna. Lei invece si mise a ridere come non l’aveva mai sentita ridere prima, con la mano davanti alla bocca come per cercare di trattenersi, mentre lo guardava leggere l’ora di chiusura del giardino: dusk.
Tornarono sui propri passi, percorrendo il perimetro del giardino. Videro un altro cancello, lo spinsero e si apri’. Si trovarono in un playground buio, che doveva essere quello di Coram’s Fields, cercarono di attraversarlo evitando le enormi pozzanghere nelle quali invece finirono. Videro una luce e iniziarono a chiamare. Usci’ un custode con un grosso cane lupo che, molto gentilmente, apri’ loro un’angusta via d’uscita. “Costeggiate il muro e vi troverete fuori” disse. Di nuovo piedi che calpestano tappeti di foglie e pozzanghere nel buio e poi, finalmente le luci del caffe’ di Coram’s Fields.
*
Davanti a due te’ verdi alla menta e a due fette di torta, una custard tart lei e una crostata di frutta lui, passarono il resto del pomeriggio a parlare delle cose che amavano: Emily e Cosmia, i Riverside Studios, i loro fotografi preferiti e le passeggiate nei boschi sopra Heidelberg, dove lei aveva studiato prima del PhD che stava facendo a Londra.
"Posso farti qualche foto? Ti va di farmi da modella?".
[Questo racconto e’ puro frutto di fantasia, nulla di quello che avete letto e’ accaduto davvero. E lo so che state pensando che dovrei smettere di ascoltare gli Smiths e Gainsbourg e iniziare a vivere. Ringrazio la mia amica Anne che ha pensato insieme a me il racconto Sabato scorso ed ha anche accettato di farsi fotografare con una gentilezza e una disponibilita’ che sono rare da trovare nel mondo. E ringrazio Morrissey & Marr per avere scritto, un giorno, “Hand in glove” e “Cemetery gates”].