E' stato il fine settimana dell'eclisse. Sabato sera, con i piedi sul davanzale della finestra, le luci spente e gli occhi fissi al cielo ho lasciato fluire i miei pensieri al suono di:


Chris McGregor's Brotherhood of Breath Brotherhood (Fledg'ling 2007, originariamente pubblicato nel 1972).

Scrisse all'epoca Richard Williams su Melody Maker: it's for those who think that music should tell you things about yourself that you never knew. Non e' una delle cose piu' belle che si possa chiedere alla musica? Di farci vedere il mondo dentro e fuori di noi in modo nuovo. Un disco come questo ne possiede il potere, credetemi sulla parola. Il pianista spettacolare e magnifico Chris McGregor faceva parte, insieme a Mongezi Feza, Dudu Pakwana, Louis Moholo di quel gruppo di musicisti sudafricani che cercarono esilio dal regime dell'apartheid nella Londra della fine degli anni '60. Ricordate che vi avevo raccontato che da queste parti allora venivano anche a cercare rifugio i geni di Tropicalia? Ma cosa doveva essere musicalmente Londra in quegli anni? La psychedelia inglese, quella brasiliana, il free jazz sudafricano... E oggi ci sono gli strazianti Kaiser Chiefs, ma com'e' possibile? Perdonate la divagazione.

Dicevamo di Chris McGregor e delle sue ambizioni di formare una big band, che pero' nello spirito free dell'epoca era free pure nella formazione. Musicisti e produttori andavano e venivano. Il primo disco fu prodotto da Joe Boyd, pensate. E ci suonavano anche quegli immortali geni di Lol Coxhill e Evan Parker - che ancora oggi capita di sentire suonare in varie formazioni di jazz improvvisativo per un pubblico di 50 appassionati, spesso dalle parti di Stoke Newington e Finsbury Park. Quello che vi consiglio pero' e' il secondo album, decisamente piu' free. Ma e' un free che, nel caso delle composizioni di Dudu Pakwana non si allontana mai da una gioiosa divagazione sul tema della musica sudafricana. "Nick Tete" e "Do it" trasmettono una gioia impossibile da contenere. Nei quasi quattordici minuti vivacissimi di "Joyful noises" il piano e' usato come strumento di percussione.

La rimasterizzazione operata dalla Fledg'ling e' meravigliosa. e la copertina l'avete vista? Una famiglia sudafricana, cane compreso, all'ombra di un albero: guardate i loro sorrisi. E regalatevi un capolavoro.

[Lo trovate ai soliti mail orders, tra i quali come sempre consiglio il mio amato Other Music di New York. Oppure se passate dalle mie parti dal meraviglioso minuscolo negozio Honest Jon's di Portobello Road, con il suo commesso gentilissimo e ultra-competente che merita una menzione speciale qui a London Calling].


Milton Henry Who do you think I am? (Wackies 2007, originariamente pubblicato nel 1985).

E parlando di Honest Jon's, chissa' perche' ogni volta che ci vado mi viene in mente quel brano di Caetano Veloso da Transa, del 1974, nel quale Caetano canta Walk down Portobello Road to the sound of reggae, I am alive. E il reggae che scoprite da Honest Jon's e' sempre di prima qualita', ristampe di pura eccellenza. Come quelle del catalogo Wackies, etichetta newyorkese che certo non si spreca nelle note di copertina. E pero' la musica che esce da un disco come l'unico album di Milton Henry e' sublime. Reggae ispirato alla grandezza di Jah onnipotente. Basso pesante, Sly Dunbar alla batteria, Jackie Mittoo alle tastiere, Sugar Minott alle armonie vocali. Ritmi lenti, avvolgenti, profondi come si usava attorno alla meta' degli anni '80. Let the sunshine in, come direbbe il nostro Milton. Il vinile costa solo 8 pounds e vi rendera' felici per molte molte ore, credetemi.

[E poi, usciti da Honest Jon's, essenziale un all day vegetarian breakfast da Uncle's, proprio davanti. E' buonissimo, loro sono gentili e vi saziate per almeno 24 ore con pochi pounds].

Commenti

Anonimo ha detto…
Ciao Fabio, perché non racconti qualche retroscena, o qualche particolare in più, sull'intervista alla Thorne andata in onda ieri sera su rp? q.
Fabio ha detto…
E' stato un evento drammatico. Claudio Agostoni mi ha telefonato dicendo che ci tenevano a quell'intervista e io a Claudio non dico mai di no: quando lo chiamai ormai 10 anni fa per collaborare con RP lui fu disponibile con me, e io lo saro' con lui per sempre. Quindi sono andato. La lista delle domande me l'ha preparata gentilmente un'amica che mi conosce molto bene, che si e' prestata a scriverle tutte, dalla prima all'ultima, sapendo che di Tracey Thorn non sapevo e non volevo sapere assolutamente nulla.

Quando sono arrivato alla EMI di Kensington mi hanno fatto aspettare mezz'ora. Mi e' sembrata interminabile e mentre ero li' seduto su uno dei divanetti della reception riflettevo su quanto il tempo e' davvero una realta' soggettiva: mezz'ora ad aspettare Tracey Thorn mi e' sembrata 4 ore, un'eternita', un mare in bonaccia. Sono sicuro che mezz'ora ad aspettare Joanna Newsom sarebbe stata la piu' emozionante mezz'ora della mia vita e sarebbe passata subito, con le mani sempre piu' sudate.

Poi un ragazzo gentile mi ha fatto salire e la Thorn era al gabinetto, altra attesa. Arrivata pero' e' stata gentile, mi ha preparato un te' alla menta mentre preparavo il registratore e il foglio delle domande che ho controllato 180 volte di avere con me - altrimenti non avrei proprio saputo cosa chiederle.

L'intervista e' stata, del tutto, mestiere. A domanda risponde. Dato che di lei non so nulla, ho preferito non improvvisare, stare dentro il binario che la mia amica aveva preparato per me.

Solo a un certo punto, spontaneamente, Tracey ha nominato Sufjan Stevens e Joanna Newsom. A quel punto avreste dovuto vedermi. Salto sul divanetto e serie di domande su Sufjan e Joanna, con me finalmente partecipe e lei sempre piu' scocciata del tipo "Ma ti ricordi che sono Tracey Thorn?". Immagino che Niccolo' che ha montato l'intervista abbia tagliato un po' di quella parte del tutto OT della nostra conversazione.

La ragione per la quale Tracey ha citato Sufjan e Joanna e', mi voglio illudere, che si vede che ascolto quelle cose li', ma non saprei.

Alla fine dell'intervista Tracey mi ha salutato comunque cordialmente, il ragazzo gentile mi ha accompagnato giu' alla reception e sono uscito con un senso di sollievo.

Un po' una signora inglese come tante Tracey Thorn, e il disco che ho dovuto ascoltare prima dell'intervista e' la cosa meno interessante che abbia mai girato nel mio lettore, pero' non lasciatevi influenzare dal mio giudizio, perche' proprio non e' il mio genere.
Anonimo ha detto…
Divertente, questo retroscena! A me la Thorn, pur non essendo la mia cantante preferita, piace (è per questo che mi sono ricordato che "il Vecchia" avrebbe mandato quella intervista). In più di vent'anni di carriera, con gli EbTG, ha fatto molte belle canzoni, annegate - lo ammetto - in un mare di cose normali. E poi bisogna riconoscere che la sua voce, secondo me bella, è - come lei stessa ha detto - un brand in se stessa. Ciao.
Fabio ha detto…
Per altro e' stata molto onesta, ha ammesso che alcuni dei dischi degli Everything But the Girl erano del tutto privi di ispirazione. In quel senso mi e' piaciuta molto. In ogni caso mi e' sembrata una persona molto normale, una signora inglese di quelle che incontri al supermercato, senza l'aria della star.
lophelia ha detto…
OT: Fabio, hai per caso visto la mostra "Face of fashion" alla National Portrait Gallery?
Fabio ha detto…
No, la consigli? Sarei attratto piu' che altro dal fatto che il lay-out della mostra e' stato curato da un architetto molto bravo, David Adjaye.
lophelia ha detto…
Penso sia bella da vedere, con il rischio forse dell'effetto-vuoto che lascia il glamour, anche quando si vanta di chiamarsi anti-glamour. Le foto comunque meritano, da quello che ho visto. Sommato a quello che ne sai tu, può valer la pena.
Fabio ha detto…
A Londra stilisti e chef sono le superstar in questi anni. Questo e' un popolo che si e' sempre vestito con semplicita' e ha sempre mangiato e bevuto male. Improvvisamente, dieci o quindici anni fa hanno scoperto moda, cucina e vini. E ne sono diventati ossessionati.Per noi e' diverso. Noi siamo cresciuti in quella cultura, non ne siamo stati travolti. Anche da noi stilisti e chef sono celebrita', ma qui monopolizzano i media, parlano di tutto come da noi fanno le cretinette della televisione. Non puoi schivarli. Ho quindi sviluppato una certa allergia a quel mondo. Anche se la qualita' delle foto in mostra non si discute, non sono sicurissimo di volere vedere per la milionesima volta l'espressione ebete di Kate Moss. In piu' considera che mostre come quella sono assoluti blockbusters, devi prenotare prima, c'e' l'ingresso a tempo, gente che non ha mai visto una mostra in vita sua. E' un po' come andare al cinema: il film puo' essere anche bello, ma l'atmosfera del multisala Medusa ammazzerebbe anche Pasolini e Kurosawa. Ecco, temo che sarebbe un'esperienza analoga. Pero' magari sbaglio. Nel fine settimana provo a farci un giretto, poi ti dico.
lophelia ha detto…
Sai che volevo chiederti cosa pensi di Kate Moss ma non osavo? e invece scopro che la pensi esattamente come me!!! io volevo addirittura farci un post, ci ho litigato con una mia amica su Kate Moss, lei sostiene che esprime una grande personalità...secondo me va tanto di moda proprio perché esprime alla perfezione il NULLA, specchio dei tempi!!
Fabio ha detto…
Molto d'accordo con te Lophelia. Credo solo che usare parole come "esprime perfettamente" sia troppo raffinato. Kate Moss, i Kaiser Chiefs, i Franz Ferdinand, i Towers of London, Victoria Beckham SONO il nulla. La cultura popolare di questo Paese e' la pallida ombra di quello che e' stata. Tra le macerie di un passato glorioso come quello della pop culture britannica puoi scavare fin che vuoi, ma non trovi che polvere e rottami. La ricchezza improvvisa e le sue promesse hanno rovinato tutto. E' molto triste tutto questo.