War what is it good for

[Atlas Gallery, Novembre 2007]

E insomma, dovevo vedere questa amica a Regent's Park dopo mesi che non ci si sentiva e una sua mail un po' allarmante che mi parlava di mondi che crollavano, edifici che collassavano, terremoti e frane e inondazioni, cose che succedono quando hai 23 anni eta' beata quando ci pensi adesso ma allora mica tanto. E ho sbagliato i tempi e per non arrivare in ritardo sono arrivato li' troppo presto.

E avevo la macchina fotografica e ho fotografato i cigni del laghetto, e un libro e ho letto un po'. Poi pero' dovevo farmi venire in mente qualche idea perche' mi stavo annoiando mica male. Un altro si sarebbe messo a fare i giochi del telefonino, io che non ho mai capito come si giocano mi sono ricordato la Atlas Gallery, piccola galleria specializzata in fotografi Magnum che c'e' dalle parti di Baker Street, dove non passavo da una vita.

La Atlas Gallery e' graziosa e perennemente deserta. Vuoi stare un po' da solo nel cuore della citta'? Vai alla Atlas Gallery. Non si sa perche', perche' fanno delle mostre sempre piuttosto belle, ma e' cosi', fisso.

Stranamente, questa volta non era vuota. Ci stanno facendo dentro una mostra che si chiama Genius of photography, che potevano pero' anche chiamare in qualsiasi altro modo. Roba bella, ma tutta scompagnata per periodi stili soggetti temi.

E mentre sei li' e la tua mente si rifiuta di accettare l'idea che tutto e' cosi' casualmente fuori ordine e ne cerca per forza uno come se stesse tentando di combinare un cubo di Rubik che al posto dei rosso blu verde giallo ha dei Cartier-Bresson Lartigue Weston Capa, a un certo punto vedi una foto che cancella all'improvviso tutte le altre. Succede sempre quando si entra in una galleria che un lavoro si stacca da tutto il resto, ma delle volte proprio quel lavoro gli altri li azzera e non li vedi piu', avete presente. Ecco, cosi'.

La foto l'avete vista tutti, credo che inizialmente fosse stata pubblicata sul National Geographic, mi pare addirittura in copertina. Il titolo e' Afghan girl at Nasir Bagh Refugee Camp, l'autore Steve McCurry.

La posizione nella galleria non so se riesco a descriverla. Allora. La Atlas e' piccola piccola per cui usano proprio tutto il muro che hanno a disposizione. In piu' e' e distribuita su due piani, terra e sotterraneo. Quella foto che azzera tutte le altre l'hanno appesa davanti alla balaustra della scala. Che parola strana balaustra, sembra il nome di una danza cosacca.

Cosi' tu ti puoi appoggiare alla balaustra, rilassare tutto il tuo corpo e osservare. Sei alla distanza giusta, all'altezza giusta, tutto perfetto. E pero' dopo un po' che sei li' non sai mica bene se osservi o sei osservato. Perche' prima in quegli occhi ti perdi, poi pero' sono loro a guardarti. A chiederti perche'. Perche' tu sei di qua, mica di la'. Tu sei al calduccio di una galleria d'arte in una zona opulenta di una metropoli occidentale, che ti stai preparando per passare un pomeriggio al parco.

Lei no, lei e il suo vestito con i buchi (eppure com'e' infinitamente bello quel vestito) ti stanno guardando da un campo di profughi di guerra. E te ne stai li' come un rimbambito, incapace di muoverti, pieno di domande, pieno di confusione.

Poi non ce la fai piu' ed esci. Piu' o meno davanti alla metro di Baker Street c'e' un'edicola che vende anche giornali internazionali. Scosto le Monde per vedere il titolo di Repubblica. Dieci italiani incappucciati armati attaccano quattro ragazzi stranieri indifesi. Per salvare uno di loro e' stata necessaria un'operazione chirurgica.

[Viviamo in un paese in cui la gente spara dalle finestre gridando "Vi odio tutti", in cui i bambini si impiccano non sopportando lo scherno e l'esclusione, in cui ragazzi di vent'anni si danno il turno a stuprare una quindicenne intercalando la violenza con giochini al computer: sono tutti fatti di cronaca, abusi commessi da italiani su altri italiani, disperazione tutta italiana, non mi sto inventando niente. Vogliamo cominciare a dire che non ci sta bene? Vogliamo spegnere i fuochi dell'odio, prima che il rogo ci annienti tutti? - Maria G. Di Rienzo, Il nodo in gola. E due passi da fare, in La Domenica della non-violenza del 4/ 11/ 07]

[Afghan girl at Nasir Bagh Refugee Camp]

Commenti

Anonimo ha detto…
e l'amica, poi, l'hai incontrata..?
un saluto
f.
Maud ha detto…
di questa foto incredibile mi ĆØ capitato di vedere in qualche libro "il seguito", se cosƬ vogliamo chiamarlo: pare infatti che il fotografo abbia, per puro caso, incontrato nuovamente la ragazza, ormai donna, diversi anni dopo. E l'abbia nuovamente fotografata. E' impressionante perchĆØ a trentanni pareva giĆ  un anziana, quello sguardo ormai rassegnato, e stanco.
Anonimo ha detto…
http://magma.nationalgeographic.com/ngm/afghangirl/
lophelia ha detto…
Sono sempre stata diffidente nei confronti di questa foto ultrafamosa.
Il significato di cui la si vuol caricare mi sembra contrasti con la perfezione formale e cromatica al limite del lezioso, con i toni di rosso e il complementare verde dello sfondo che richiama quello degli occhi. E la ragazza ĆØ bella, che alla fine ĆØ quello che piĆ¹ colpisce. La trovo una foto ruffiana e un po' ipocrita. Acquista piĆ¹ significato accostata all'altra foto del link qui sopra.

A parte questo parere del tutto personale, grazie del bellissimo post.
Fabio ha detto…
F -

Certo, ero io a essere in anticipo, non lei in ritardo.

Maud -

Proprio cosi'. In rete si trova l'accostamento delle due foto ed e' impressionante. Quello sguardo non avrei potuto reggerlo immagino.

Callie -

Grazie per il link e l'articolo. "Consider the numbers. Twenty-three years of war, 1.5 million killed, 3.5 million refugees: this is the story of Afghanistan in the past quarter century". Impressionante.
Fabio ha detto…
Lophelia -

Sono abbastanza d'accordo con te, ma solo se riesco a "staccare la spina" dell'emotivita'. E Sabato no ci sono riuscito. La foto sara' anche un po' ruffiana, ruffiano e' l'uso che ne e' stato fatto, ma in fondo e' un ruffiano accettabile se cattura l'attenzione, se diventa il simbolo di qualcosa di cosi' grande e terribile che non si riesce a illustrare in un altro modo, se si fa notare, se scuote.