E al mio funerale ricordatevi di suonare Sad song

[Lou Reed, Mayfair, Giugno 2008]

Non torno a commentare Berlin, ne ho scritto davvero recentemente, e anche se e' uno di quei capolavori che giustificano l'esistenza del genere umano e forse il mio disco preferito di tutti i tempi, torno sul tema solo per copiare un'osservazione di Edwin Pouncey letta su Wire di Novembre, a proposito della versione live appena pubblicata:

Compared to the 1973 version, this 21st century Berlin sounds more muscular and dangerous, but not without a certain delicacy either. Surprisingly, this shines through on the bleaker and the more harrowing songs like Caroline says II, The kids and The bed, where Reed summons his assembled orchestra and chorus to illuminate their intricate details and reveals the noirish, poetic quality of his songwriting that was overlooked by many the first time around.

L'impressione e' stata proprio quella, prima quando ho visto il film di Julian Schnabel, poi quando Berlin l'ho sentito alla Royal Albert Hall e adesso che continuo a far girare la versione registrata nel 2006 alla St. Anne's Warehouse di Brooklyn. Come se i brani concepiti nel 1973 per rappresentare la disintegrazione dell'amore tra Caroline e Jim fossero finalmente aggressivi, finalmente cupi, finalmente delicati. Come se ci fossero voluti tutti questi anni per trovare il coraggio di realizzarlo davvero quel disco.

E se qui a Londra Lou ha concluso Berlin con Satellite of love con tanto di coro angelico di bambini, a New York ha eseguito in chiusura una versione da lacrime di Candy says, con il suo amico Antony. Negli ultimi 20 secondi si vede Lou Reed che sorride, prima e unica volta nella sua vita credo:

Commenti

Gargoyle ha detto…
Ho visto Lou Reed a Malpensa qualche anno fa.
Ha la faccia musicale. Sembrava circondato piĆ¹ da "note" che da persone.
Fabio ha detto…
E' vero. E' come se tutte quelle note avessero lasciato segni profondi sul suo volto.

Delle persone attorno a lui non sembra curarsi molto, mi e' sembrato bene in profondita' nel suo mondo.
Anonimo ha detto…
ĆØ bello che tu chiami sorriso quello che a me pare una ferita da arma da taglio!
e che continua a fare male!
Fabio ha detto…
Se ci pensi la grandezza di Berlin sta nell'esplicitare contraddizioni insanabili. Sad song e' abisso e allo stesso tempo catarsi. The bed e' dramma eppure induce a uno stato di calmo abbandono.

Stiamo parlando di un capolavoro della storia dell'arte di tutti i tempi, capace di ricomporre punti estremi dell'esperienza emotiva umana, e il tuo commento sull'espressione di Lou non fa che sottolineare tale inafferrabile grandezza.
Anonimo ha detto…
Su Berlin vi segnalo questi due pezzi
http://www.cloudsandclocks.net/features/berlin_2007_I.html
http://www.cloudsandclocks.net/features/berlin_1998_I.html
e questo testo di Bettye Kronstad
http://www.cloudsandclocks.net/features/kronstad_on_berlin_I.html

Ciao

a
Fabio ha detto…
Grazie Alessandro. Sembrano interventi preziosi, ma per il momento ho avuto solo il tempo per sbirciarli.

Stampato tutto. Leggo stasera e domani ti rispondo.
Fabio ha detto…
Grazie Alessandro. Straordinario il pezzo di Bettye Kronstad.

Condivido sostanzialmente quello che scrive l'ottimo Colli. Tranne su una cosa, quando commenta il pezzo di Fricke su Rolling Stone. In questo senso mi sento di dare ragione a Fricke, e immagino che magari anche Colli abbia cambiato idea, oggi che il DVD e il CD sono facilmente reperibili e confermano che il Berlin del 2006 - 2008 ha un suono tridimensionale che ne esalta le qualita' originali senza peraltro trasformarle in altro.

Come scrive anche Pouncey, per esempio.

Mi dirai anche cosa ne pensi tu, se hai tempo qui, altrimenti quando ci vediamo per gli auguri.