Il gioco degli arpeggi di vetro

Da quando lavoro tranquillamente dal mio soggiorno, una condizione alla quale, incredibilmente se ci penso adesso, ho fatto resistenza per anni (il padrone deve fornire a noi proletari i mezzi di produzione nell'opificio), ascolto musica tutto il giorno.

In genere, BBC Radio 3, a volume basso, che mi fornisce una buona alternanza di classica, jazz e musiche del mondo, ideale per non perdere la concentrazione su quello che sto facendo (a proposito di BBC Radio 3, eccellente, non finiro' mai di ribadirlo, Late Junction, che va in onda dal Martedi' al Giovedi' alle 23.15: il programma che mi diede l'idea iniziale per proporre il progetto Prospettive Musicali alla redazione di Radio Popolare nell'ormai lontano 2001).

Un giorno dovro' pubblicare qui una playlist in progress di musiche ambientali per leggere/ scrivere/ lavorare, magari da costruire insieme a voi (partendo da Debussy, Satie, Glass, Eno, Bryars, Part, Cilio...).

Proprio a Luciano Cilio, e al suo capolavoro del 1977 Dell'universo assente (ristampato di recente dalla sempre meravigliosa Die Schachtel), sembra rifarsi l'ultimo disco del chitarrista inglese James Blackshaw, che ancora una volta vorrei suggerirvi di ascoltare.

Cambio di etichetta per lui: dopo i suoi dischi su Tompkins Square ora incide per la newyorkese Young God di Michael Gira. Blackshaw non ha mai trovato un'etichetta inglese disposta a stampare i suoi dischi, e considerando lo stato men che pietoso della musica inglese di oggi persa in un delirio ripetitivo del quale non si vede il fondo, direi proprio che e' garanzia di qualita'. 

L'ultima volta che l'ho incontrato, un mese fa, era in partenza per qualche concerto in America (a New York ha suonato l'altro ieri con la nostra Marissa Nadler). Quando gli ho chiesto quando avrebbe suonato ancora a Londra mi ha guardato con aria interrogativa, come se gli avessi chiesto quando sara' la sua prossima data a Castellaro di Torrazza Coste (dove peraltro e' probabile che la sua musica sia piu' compresa che nella Londra del 2009).

The glass bead game, questo il titolo del suo ultimo lavoro, e' non meno armonicamente intricato del capolavoro di Hermann Hesse, e contemporaneamente piu' leggero di una piuma sospinta da un caldo vento di scirocco. Gli arpeggi delicati e ipnotici di Blackshaw si incontrano magicamente con le armonie vocali di Lavinia Blackwall, un violoncello, un flauto, un violino, un clarinetto.

Sono in tutto cinque lunghe composizioni, inclusa una sonata pianistica dalle sfumature cromatiche autunnali, che molto deve ai Glassworks.

La traccia che vi propongo di ascoltare insieme e' tratta da una raccolta della Tompkins Square, il secondo volume di Imaginational Anthem, e si intitola River of Heaven.

Commenti

Marco Reina ha detto…
"Nemo propheta in patria".
Peccato solo per la terrificante e greve (in puro stile Young God, peraltro) grafica di copertina dell'ultimo album del nostro. Non credo proprio aiutera' a vendere copie o a farlo conoscere oltre la ristretta cerchia dei suoi estimatori.
A te ed ai tuoi lettori consiglio anche il disco dei "Brethren Of The Free Spirit", disco del "supergruppo" con il nostro James Blackshaw e altri pubblicato ad inizio 2009.
Fabio ha detto…
La recensione negativa di Wire, che lo accusa di sentimentalismo, fara' il resto. Ed e' un peccato, perche' lui e' bravissimo. Inutile dire che a sentirlo quando ha suonato qui a Londra saremo stati in 20.
alessandro ha detto…
A proposito di "musiche ambientali per leggere scrivere lavorare": me ne parlĆ² un pochino Jonathan Coe quando lo intervistai per Musica Jazz; mi disse sostanzialmente che mentre lavora non ascolta le sue musiche preferite, perchĆ© si metterebbe a seguire la musica anzichĆ© il lavoro. Ascolta invece "classica, jazz, qualcosa di ambient... Deve fornire un qualche stimolo emotivo ma non assorbire troppa attenzione: non troppi cambiamenti nella dinamica. Qualcosa come scrivere a un tavolo con vista sul mare, sull'oceano: per me ĆØ il posto migliore per lavorare, perchĆ© si guarda una cosa che non cambia mai ma ĆØ sempre leggermente diversa, come il tipo di musica che mi piace ascoltare mentre scrivo".
Il discorso era poi ben piĆ¹ lungo: trovate l'integrale dell'intervista (da Musica Jazz dell'aprile 2008) in
http://www.zshare.net/download/6126654552ef8be8/
[URL=http://www.zshare.net/download/6126654552ef8be8/]int_jonathancoe_mj0408.pdf - 0.27MB[/URL]
Io non riesco proprio a sentire musica mentre lavoro, a meno che non stia facendo qualcosa di meccanico, ripetitivo o (ai tempi del liceo) equazioni o espressioni algebriche. Insomma, qualcosa che mi permetta di avere la testa da un'altra parte.
Ciao
Fabio ha detto…
Fantastico Coe! Ha espresso esattamente quello che non riuscivo a spiegare. Musica che e' come guardare il mare, che genera un paesaggio e gentili variazioni di luce.

E io che pensavo che a Musica Jazz sentiste musica in continuazione. Del resto, anche nella redazione della radio mi sono accorto che spesso lavorano in silenzio.
Marco Reina ha detto…
Chiudiamo The Wire ed ascoltiamo James Blackshaw con l'attenzione che gli si deve.
Tra l'altro - per gli amanti del vinile - il nuovo album esce in disco (sempre per la Young God) il prossimo 20 giugno. Tutte le copie del LP contengono una copia del CD che viene, di fatto, omaggiato.
Fabio ha detto…
Come sempre dovrebbe essere.
Unknown ha detto…
mah ..secondo me le copie del vinile dovrebbero contenere una password per fare il download degli MP3 e dovrebbero sparire per sempre i CD!!!!!!!!!!!!!!!!!
I CD SONO BRUTTI!
Fabio ha detto…
Ti ricordi quando vedevamo nei negozi i primi CD e giuravamo che avremmo sempre e solo comprato vinili?

Eravamo dei precursori, e non lo sapevamo!
alessandro ha detto…
Fabio -
A Musica Jazz non ascoltiamo musica in continuazione, sia perchĆ© la maggior parte del nostro lavoro ĆØ quella che in gergo giornalistico si chiama "cucina" (per capirci: si parte dall'idea che i materiali da pubblicare ci arrivino crudi), sia perchĆ©, anche quando abbiamo da ascoltare musica, dobbiamo magari sentire ciascuno un disco diverso: l'effetto ivesiano sarebbe certamente affascinante ma dopo un po' procurerebbe mal di testa spaventosi e a farlo tutti i giorni si perderebbe quel poco di senno che ancora ci ĆØ rimasto.

Myriamba -
Ma se ci fossero solamente vinili e mp3 come dovrebbe fare chi amasse sentire anche tutte quelle componenti del suono che sono fortemente penalizzate dal vinile (phasing, immagine stereo, silenzio, dettaglio ecc.: vedi http://ubuprojex.net/archives/bugs.html#vinyl) e dall'mp3 (armoniche, riverberi e tutte quelle informazioni che la compressione mp3 rimuove per risparmiare spazio)?
Fabio ha detto…
Capisco. Io anche al lavoro ho l'immeritato privilegio di avere un ufficino tutto mio, per cui se non ho riunioni chiudo la porta e sento un po' di musica, a volume basso ma alto a sufficienza da coprire eventuali rumori e parole che arrivano da fuori (permettendomi in questo modo di tagliare fuori possibili distrazioni).

Sull'annosa questione vinile/ CD se posso prendere posizione voto per il vinile. Essenzialmente per la bellezza del supporto e delle copertine e per la capacita' di evocare l'incontro con la musica per quelli della nostra generazione, ma poi anche perche' il vinile, per la sua natura analogica, restituisce un suono con una dinamica maggiore (la digitalizzazione fa invece perdere informazioni, dato che lo spettro sonoro viene scomposto in un numero finito di valori possibili).

Dopodiche' per andare in bici in via Ollearo, il CD dimostra una sua innegabile praticita'.
alessandro ha detto…
Per quanto ne so (non sono un esperto), ĆØ vero che l'analogico ha una dinamica continua mentre il digitale ce l'ha discreta (anche se noi non possiamo percepire il passaggio da un grado all'altro di una scala di milioni di gradi).
PerĆ² non mi pare che ciĆ² comporti una perdita di informazioni e sicuramente la dinamica del vinile ĆØ piĆ¹ limitata di quella del cd: "La dinamica, si sa, ĆØ il rapporto in dB tra il massimo segnale indistorto e il minimo segnale utile affiorante dal rumore. Nei casi migliori con dischi nuovi microsolco a volte si arrivava a 50-60 dB di dinamica. Un CD normale ha 96dB [e] prodotto a 24 Bits invece di 16 [raggiunge] una dinamica superiore ai 120-140 dB" (la dinamica reale di un'orchestra sinfonica o anche di un solo pianoforte puĆ² arrivare a un massimo di 140 dB).
Poi ĆØ vero che "la dinamica degli attuali CD di musica commerciali molto spesso non supera i 30 dB [...] grazie alla compressione!
Siamo passati dunque dal vinile che con i suoi difetti era 50-60 dB, a un sistema che ne puĆ² tirare fuori 96 [o piĆ¹] ma che viene ridotto a 30"
(tutte le parti tra virgolette vengono da http://tinyurl.com/cdvinile).
Per fortuna esistono anche cd non compressi, soprattutto di jazz, classica e avanguardie, oppure di etichette indipendenti come questa:
http://www.reelrecordings.org/manifesto.php
Fabio ha detto…
Grazie per la precisazione Alessandro. A me piace proprio il gesto di tirare fuori i vinili dalle loro copertine grandi, posarli sul piatto, appoggiarci sopra la puntina del giradischi, e soprattutto sentire che ad ogni ascolto invecchiano un po', non sono mai uguali a loro stessi.

Credo che la maggior parte dei CD che posseggo abbiano un suono davvero freddo, se paragonato al calore e magari anche all'imperfezione dei miei vinili.

I CD sono certo di grande praticita', considerando che li porto spesso avanti indietro tra Londra e Milano, e considerando anche le difficolta' per imbarcarsi con bagagli a mano di dimensioni diverse da quelle che ti dicono loro.

Ma se vivessi in una citta' sola, ti confesso che non avrei dubbi, comprerei solo vinile.