Enzo Bianchi, L'altro siamo noi (Einaudi, 2010)


L'altro siamo noi prosegue il ragionamento che Enzo Bianchi inizio' con La differenza cristiana (2006) e Per un'etica condivisa (2009), a supporto di pratiche di accoglienza e fratellanza, che non possono mai prescindere dal concetto di umanita' che tutti ci unisce, pur se nel rispetto delle differenze.

Enzo, mi ripeto ogni volta che torno a Bose, e' un uomo davvero fortunato, un uomo che ha tutto: sapienza, valori, capacita' di ascolto e riflessione, amore per il prossimo, per la natura, per il silenzio che ci permette di ascoltare gli altri e noi stessi, di dare senso anche alle piccole cose. Cos'altro serve per vivere bene, con pienezza, la nostra vita?

Silenzio che non deve naturalmente impedire l'incontro, lo scambio, ma che anzi e' funzionale a costruire un rapporto con l'altro che sia partecipato, non indifferente.

Di fronte alla squallida esibizione di desolazione, abbruttimento, disumanita', cinismo, reificazione, vuoto che i giornali italiani ci mostrano in questi giorni, la lettura delle parole di Enzo ci eleva a una dimensione superiore, calma, profonda, serena, contemplativa.

Leggi Enzo e capisci l'importanza, e la bellezza, della responsabilita', percepisci il desiderio e la necessita' di un rinnovamento che passa attraverso una semplificazione del vivere e un'esercizio di cura e approfondimento continui.

Pagine che danno ispirazione quelle di Enzo. Vi propongo un paio di frammenti di Il pane di ieri (1 e 2) e una bella intervista di Fabio Fazio (parte 1 e 2). Rileggo, riascolto, e mi propongo di riflettere sulle parole di questo uomo davvero speciale, nei prossimi due giorni.

Buon fine settimana, ci vediamo qui lunedi'.

Commenti

lophelia ha detto…
bellissimi i passi. Grazie. Sembra un'altra lingua rispetto a quella cui ci stanno abituando.
Fabio ha detto…
Chi parla male, pensa male e vive male, come diceva Moretti.

E quanto male vivono questi omini e queste donnette che stanno esibendo la loro mancanza di dignita', credo sia piuttosto evidente.

In Tunisia e in Albania per molto meno le persone scendono in piazza.

In Italia si continua inspiegabilmente a dormire e si tollera che un farabutto governi il Paese invece di risiedere in galera, come le prove raccolte dalla magistratura, diligentemente e cercando di trattenere il disgusto, dimostrano.
Anonimo ha detto…
Non credo che il problema in Italia sia (solo) il fatto che la gente dorme: sono sempre gli stessi ad essere svegli.
E mi dispiace dirlo, ma tra quelli che ancora stanno dormendo c'e' la sinistra che non sa' creare, produrre un sistema diverso da quello berlusconiano. I valori di persone come Enzo Bianchi dovrebbero essere promulgati, supportati, userei il termine "pubblicizzati" ...ma chi ha il coraggio di farlo?

Elena
Fabio ha detto…
E' un discorso molto complesso, inesauribile in pochi commenti.

Io credo che la Sinistra, non solo italiana, abbia iniziato a perdere quando ha edulcorato il messaggio di solidarieta' (da ciascuno secondo le proprie possibilita' a ciascuno secondo i propri bisogni) che ne costituisce la ragione d'essere.

Va anche pero' detto che si tratta di un messaggio che ti parla solo se hai intrapreso un percorso anche difficile, se ti sei posto domande scomode e hai cercato una risposta, se possiedi l'umilta' di sentirti parte di qualcosa di ampio e bellissimo come e' l'umanita'.

I messaggi che oggi prevalgono sono altri, hanno a che fare con l'affermazione individuale, la prevaricazione, la frammentazione sociale. Sono messaggi semplici, che non richiedono riflessione.

I valori del Vangelo (solidarieta', pacifismo, comunione, ecologia) sono invece valori difficili ai quali si arriva al termine di un percorso che molte persone non sono interessate a intraprendere.

Forse, devi avere toccato con mano i limiti dell'attuale modello di felicita' proposto e accettato dalla maggioranza, per capirne tutta la finitezza.

La felicita' non puo' avere limiti, se ha limiti non e' felicita', e' momentanea soddisfazione di bisogni illusori.

La propaganda di tali bisogni e' comunque soverchiante, piu' forte anche dell'esperienza di insoddisfazione continua che prova chi dei valori materialisti e' vittima.

Discorso complesso, troppo.
Anonimo ha detto…
Ho letto e riletto la tua risposta al mio commento ponendomi molte domande, ma ne ho una che si ripropone tutte le volta che mi soffermo a pensare: e' possibile insegnare la solidarieta'? Come si impara a leggere e a scrivere, si puo' imparare a essere piu' solidali? Condivido pienamente le tue parole quando parli di percorso, crescita interna...ma partendo da una situazione come quella attuale, come si "educa" una societa', questa societa', al dialogo, all'incontro? Ammetto di non saper darmi risposta ora come ora...

Elena
Fabio ha detto…
Ho due risposte (rispolverando i miei studi di psicologia sociale, una se vuoi e' ispirata alla scuola di Francoforte, e l'altra al behaviorismo), ma non so quale sia quella giusta.

1) La prima e' forse un po' troppo positiva, a pensarci. L'uomo possiede naturalmente dentro di se' enormi potenzialita' di amare il prossimo, e l'attuale situazione e' determinata, essenzialmente, da condizioni culturali.

Nel senso che e' diretta conseguenza di messaggi di affermazione individuale, che a questo sistema sono funzionali per la sua stessa riproduzione.

Rimossi tali messaggi e condizionamenti, che ci accompagnano fin da bambini, la solidarieta' si determina naturalmente, come normale pratica di vita.

2) La seconda e' un po' piu' determinista, assume una neutralita' di fondo, sulla quale la societa' scrive come su una tavoletta di cera.

Entrambe le risposte mi fanno pensare che si', la solidarieta' si puo' insegnare.

Certamente pero' e' un valore disfunzionale al sistema nel quale viviamo, la cui forza propulsiva principale direi che e' l'iniziativa economica individuale, spesso antitetica rispetto ai valori di solidarieta', motivata piuttosto dal tornaconto personale.

E quindi si puo' insegnare in teoria, ma il sistema e' invece interessato a rappresentare una via alla felicita' essenzialmente individuale: la bella casa, la bella moglie, l'auto di lusso e la vacanza esclusiva. Di solidarieta', in questo modello non vedo traccia.

Tu cosa ne pensi? Pensi che si possa insegnare la solidarieta'?
lophelia ha detto…
la domanda non era rivolta a me, ma lo dico lo stesso: tutto si puĆ² insegnare.
Fabio ha detto…
Non esistono pero' valori e messaggi piu' difficili di altri?

I valori e i messaggi vincenti sono semplici (tanto quanto falsi peraltro, perche' non mi sembra che le poverette costrette a sottomettersi al malinconico rituale del bunga bunga con un settantacinquenne psicolabile siano un grande esempio di felicita'. Non superiore a quello dei workaholics consumisti che ci vengono propagandati come esempio di successo, almeno).
Manuela ha detto…
Fabio, conosci Raimon Pannikar?
Quando ho cominciato a leggerlo e ad ascoltarlo (ci sono alcuni VHS difficilmente reperibili)ho pensato ciĆ² che ha scritto Lophelia nel suo primo commento: Un'Altra Lingua.
Quando sono particolarmente sconsolata, accendo il videoregistratore, perchƩ ascoltarlo e guardarlo mi aiuta. Sorride sempre. E mai fuori luogo. Scommetterei che ti piaccia, o che ti piacerebbe.
Manuela ha detto…
Scusate, ho rivolto la domanda a Fabio, ma era anche per Lophelia ed Elena.
Fabio ha detto…
Mi emoziona in modo profondo che citiate in questo blog Pannikar, del quale parlai qui:

http://fabiocalling.blogspot.com/2009/10/high-life.html

Post nel quale inserii alcuni link a frammenti di un bel documentario intervista a Pannikar prodotto dalla (splendida) televisione svizzera.

Pannikar mette gioia, e come Enzo Bianchi esprime la possibilita' di una vita diversa, indipendente, libera dai condizionamenti del consumo, profondamente pensata: l'unica che puo' davvero rendere felici.

Grazie Manuela, di cuore.
Manuela. ha detto…
E vai! Ho vinto la scommessa!

Grazie a te!
Anonimo ha detto…
Ti domandi Fabio:

"Non esistono pero' valori e messaggi piu' difficili di altri?"

Io credo invece che la domanda di base, ora come ora, sia :"mi e' utile o no?" Semplicistico magari, ma credo che molti ragionamenti si basino su questa semplice domanda. Le signorine che passano da villa berlusconi lo fanno perche' e' utile al loro portofaglio,perche' sognano una carriera nel mondo dello spettacolo e perche' hanno visiblita e successo (che se ci soffermiamo su questo termine e del suo valore in questo momentocredo potremmo aprire un altro lunghissimo post!)nel modo piu' rapido possibile...siamo lontani anni luce da l'idea di soffermarsi, pensare, percorrere delle strada...

Ecco, se c'e' una cosa che leggendo i vari commenti posso dire e' che credo che la solidarieta' si possa insegnare, ma a patto che non la si quantifichi dandole un valore come l'utilita' (per ritornare alla mia domanda iniziale)

Elena
Fabio ha detto…
Si' pero' forse si tratta anche di definire questa "utilita'" (o questo successo), invece di negarli.

Solidarieta' non e' necessariamente abnegazione e sacrificio. Solidarieta' credo significhi sentirsi parte. E' un concetto prossimo a condivisione e a partecipazione.

Io credo che nella condivisione e nella partecipazione ci sia una grande potenzialita' per essere felici, una felicita' che dura nel tempo.

E pero' sai, di una felicita' gratuita il sistema nel quale viviamo non sa che farsene: servono altri modelli, altre ambizioni, altre rappresentazioni, che siano funzionali al capitale e al consumo.

Smontare questa rappresentazione e' possibile? Come? In quante generazioni?

(Dette tutte queste cose, sono fiducioso: le manifestazioni degli studenti, l'anno scorso, mi hanno dato molta speranza).