Kronos Quartet, Floodplain (Nonesuch, 2009)

La pubblicazione di un volume dedicato alla musica da camera contemporanea scritta dal compositore russo, bravissimo, Vladimir Martynov (il primo disco del 2012 a varcare la soglia di casa: prossimamente a Prospettive Musicali intendo dedicargli tutta l'attenzione che merita) e la residenza di un paio di settimane fa qui al Barbican, mi hanno fatto venire voglia di colmare un po' di lacune nella discografia del Kronos Quartet.

Questo Floodplain risale a tre anni fa, ed e' uno dei progetti piu' interessanti nella quasi quarantennale storia del quartetto d'archi californiano. Raccoglie musiche, alcune tradizionali, altre specificamente composte per questo progetto, che arrivano da terre bagnate dai principali fiumi della Terra, regioni dove prese le mosse la civilta': Egitto, Palestina, Libano, Azerbaijan, India, Iraq, Iran, Turchia, Kazakistan, Etiopia, Serbia.

E' un viaggio magnifico, all'interno di alcune tra le tradizioni musicali piu' altre e sconosciute di questo pianeta, perche' quanti di noi possono considerarsi esperti di musiche dell'Asia Centrale o del Medio Oriente?

A colpire sono soprattutto certe sonorita', alcune mai da me sentite prima, provenienti da strumenti tradizionali ormai andati largamente in disuso, dai nomi esotici che e' un piacere ricercare e scoprire. Sonorita' spesso aspre e selvatiche, espressione di stili di vita legati alla terra e al ciclo di una natura non sempre generosa, e a volte distruttiva.

Apre mondi, l'ascolto di queste musiche. E' un'esperienza profondissima. Esistevano mille anni prima di noi, e ci sopravviveranno, non importa quello che il sistema cerca e cerchera' di fare per imporre il pensiero unico che tutto distrugge e livella. Questa musica e' piu' forte: ha un'energia incredibile, la stessa del vento, e induce una quiete indescrivibile, la stessa della neve.

La ascoltiamo cosi' come contempliamo lo scorrere calmo di un fiume. Se come me vivete in una citta' di fiume, immagino conosciate bene la quiete che una passeggiata solitaria notturna lungo il suo percorso puo' portare, magari al termine di una giornata difficile.

Musica generalmente malinconica, spesso pervasa di romanticismo e passionalita'. Ideale ascolto di una notte invernale. Da scoprire o riascoltare assolutamente, magari iniziando dalla immensamente bella traccia 4: un brano della tradizione bardica dell'Azerbaijan, cantato da padre e figlia, accompagnati da strumenti tradizionali (il daf, il balaban, la kamāncha, il tar, il naghara) registrato qui al Barbican durante un festival celebrativo della fine del Ramadan.

Eccellente anche l'idea di dedicare il disco alla memoria di Roslyn Zinn, che fu pittrice e attivista di grande coraggio e gentilezza.

Commenti

CICCILLO ha detto…
un ascolto molto interessante e un progetto forse piĆ¹ originale sulla carta che negli esiti.
mi ĆØ piaciuto molto "Lullaby", dal vivo al Barbican, che ho ascoltato su youtube.
Fabio ha detto…
Lullaby non e' in effetti forse la traccia migliore del disco.

Ti consiglio di cercare le, diciamo cosi', tracce portanti del disco, che sono Getme getme, un brano tradizionale dell'Azerbaijan, con una vocalita' che penso ti piacera' molto.

E poi un brano che gioca per oltre 20 minuti a montare e smontare le musiche della ex-Iugoslavia, con effetti spesso davvero imprevedibili, muovendosi piu' volte tra adagio e fortissimo. Si intitola Hold me, neighbor, in this storm e mi piace pensarlo come uno struggente inno pacifista, contro tutte le diatribe.