Clerkenwell, gennaio 2014. Patti Smith sulla copertina dell'FT Weekend Magazine. L'intervista pero' non e' un gran che, ripete cose gia' lette altrove molte volte.

Devo ammettere (e posso farlo perche' per fortuna questi messaggi in bottiglia che getto nell'immenso oceano della rete li leggete ancora massimo in 5) che da quando ho avuto il privilegio di trascorrere tre quarti d'ora seduto su un divano in un basement di un elegante hotel di Covent Garden a chiacchierare con Patti (perche' di quello si e' trattato quando mi chiesero di intervistarla per la radio: di un dialogo. Anche perche' io un'intervista non so nemmeno come inizare a farla. Anzi, vi confesso che ho trovato il coraggio di mandarla ai miei colleghi di Milano solo dopo che la sua agente mi ha scritto: contattami pure tutte le volte che vuoi parlare con Patti perche' a lei e' piaciuto molto il tempo che avete passato insieme. Da li' ho capito che non era dunque tutto da butttare via), da quando ho avuto quell'inatteso privilegio e da quando lei e' stata cosi' immensamente generosa con me, ogni intervista a Patti mi sembra abbastanza noiosa da leggere.

Perche' per me Patti e' quella che mi sta a sentire con attenzione quando le racconto di me quattordicenne di provincia che ascoltando i suoi dischi ho scoperto che esisteva un altro mondo possibile. E' quella con la quale parliamo del suo concerto di Firenze, di cosa si ricorda degli anni '70, di arte, di politica, di vita, ed e' quella che mi parla di quando visita le chiese, di quando prega, di come si commuove ogni volta che va a Assisi,  e finiamo per dimenticarci completamente che io sono li' per farle domande di musica e che lei e' li' per promuovere un disco.

E alla fine, quando quelli della casa discografica entrano nel basement e ci dicono che il tempo a nostra disposizione e' finito e ci accorgiamo che non abbiamo fatto quello che eravamo li' per fare (un'intervista per la radio che peraltro avevo preparato per giorni e coinvolgendo vari amici), invece di stringerci la mano come avrebbero fatto una cantante e un giornalista della radio, le chiedo se per favore mi firma la mia copia di Just kids, e poi ci salutiamo abbracciandoci come vecchi amici.

Ecco, da allora quando leggo un'intervista con Patti, bella professionale e fatta da un giornalista vero che ha fatto il suo dovere, mi sembra di non riconoscerla del tutto, che stia un pochino recitando una parte che nell'atmosfera concentrata di quell'elegante basement mi ha regalato la generosita', una generosita' che considero immensa, di non recitare con me.

Commenti

Anonimo ha detto…
Io purtroppo Patty Smith non ho mai avuto il piacere di conoscerla, ma ho sempre avuto l'impressione che la Patty delle interviste non e' la vera Patty o almeno quella che io ho sempre immaginato... forse nelle interviste si cerca sempre di etichettarla, darle una particolare profilo, mentre credo sia una di quelle persone che devi semplicemente ascoltare quando parlano a ruota libera.

Elena

Fabio ha detto…
Hai colto perfettamente Elena. Mi ero preparato una lista di domande. Le ho fatto la prima, chiedendole di parlarmi del nuovo disco. Lei mi ha risposto un po' come una macchina che ripeteva per la centesima volta una risposta gia' data.

L'ho guardata bene in quesi suoi occhi segnati e un po' strabici che non sanno nascondere i segni di una vita vissuta davvero. Sembrava davvero molto stanca. Ho capito che non gliene importava di rispondere alle mie domande e per un momento mi sono sentito un po' perso.

Allora mi sono messo a parlare io. Le ho raccontato della prima volta che ho letto il suo nome. Avevo 14 anni. Ero in vacanza con la mia famiglia in Sardegna. Era un pomeriggio di fine estate e presi in mano un giornale trovato non so dove per dare un'occhiata a cos'era successo.

Il giornale riportava la foto di un grande concerto che si era tenuto a Firenze, piu' un raduno giovanile che un concerto. C'erano molte foto di giovani con lunghi capelli, di quelli che a me, adolescente cresciuto in una cittadina di provincia, davano un'idea di immensa liberta', di immensa scoperta.

Sul palco c'era questa cantante della quale, dissi a me stesso leggendo quell'articolo, volevo conoscere assolutamente la musica.

Tornato a casa da quella vacanza, la prima cosa che feci fu cercare i suoi dischi. Ne trovai e ne comprai 2: Horses e Wave.

Li suonai ininterrottamente per mesi. In Wave c'era un piccolo poster, che appesi proprio sopra il mio letto.

Cercai di sapere di questa Patti Smith il piu' possibile (e se allora un veggente mi avesse detto che 30 anni dopo saremmo stati seduti a parlare su un divano in un sotterraneo di Londra, l'avrei cacciato a male parole!).

Le ho raccontato queste cose, e si e' improvvisamente illuminata con un sorriso, finalmente guardandomi negli occhi con simpatia. Poi non ho piu' dovuto fare domande.

Le davo qualche spunto, e l'ascoltavo. Lei mi faceva capire, con lo sguardo e con le pause che faceva, dove voleva che il discorso si dirigesse.

Ho perso il senso del tempo che passava. Quando gli impiegati della casa discografica ci hanno interrotto, mi sono reso conto che le domande che volevo farle non gliele ho fatte, e tornando a casa pensavo a come avrei potuto scusarmi con i miei colleghi di Milano che avevano organizzato l'intervista.

Riascoltando il nastro, una volta a casa, ho capito che non era stata un'intervista, ma che era stato decisamente meglio cosi'.
CICCILLO ha detto…
io ero uno di quei giovani con lunghi capelli, però a Bologna.

potresti rimettere il link dove sentire o leggere la tua non-intervista?

Fabio ha detto…
A volte ho pensato che mi piacerebbe conoscere le storie di quei giovani con i lunghi capelli. Di ognuno di loro. Sapere chi sono diventati, in cosa credono, cosa provano in questo mondo così impoverito di senso rispetto a quello che cercarono di costruire.

Ecco il link:

http://mir.it/servizi/radiopopolare/patchanka/speciale-patti-smith-intervista-a-cura-di-fabio-barbieri/.

Buon ascolto.