Della cui esistenza non siamo consapevoli



"Man can be a slave even without being put in chains… The outer chains have simply been put inside of man. The desires and thoughts that the suggestion apparatus of society fills him with, chain him more thoroughly than outer chains.

This is so because man can at least be aware of outer chains but be unaware of inner chains, carrying them with the illusion that he is free. He can try to overthrow the outer chains, but how can he rid himself of chains of whose existence he is unaware?".

The art of being.


La ragione per la quale all'universita' mi appassionai alla sociologia (fino a laurearmi con una tesi in quella materia) ha origine da una professoressa di filosofia che al liceo ci fece leggere Fromm. Una professoressa un po' strana, che arrivava da un paese del sud, dove (l'ho saputo molti anni piu' tardi quando qui a Londra divenni amico di un suo ex-studente di quegli anni) organizzava occupazioni insieme agli studenti, venendo cosi' considerata dai suoi colleghi una "testa calda".

Fu grazie a lei (e poi grazie al mio amatissimo professore di psicologia sociale, con il quale lavorai alcuni anni dopo la laurea e che ci ha lasciati da poco) che scoprii la forza delle costrizioni che abbiamo interiorizzato, una forza assai maggiore rispetto a quella delle autorita' esterne e visibili.

Il passaggio qui sopra ci ricorda quanto si tratta di costrizioni invisibili, delle quali spesso non siamo consapevoli. Tutto questo continua a spaventarmi moltissimo. Quanto di cio' che facciamo lo scegliamo davvero, con consapevolezza? E sto parlando anche di decisioni importanti.

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