E io? Cos'avrei potuto fare io?



"It is childish and stupid to ask whether this one or that one is guilty. I propose that for one short hour we ask ourselves instead: “What about myself? What has been my share of the guilt? When have I been too loudmouthed, too arrogant, too credulous, too boastful?

What is there in me that may have helped… all the illusions that have so suddenly collapsed?”.

If the war goes on...


A volte le citazioni che pubblico qui le condivido completamente. A volte le scrivo solo per pensarci su.

Questa appartiene alla seconda tipologia. Certo, dobbiamo sempre domandarci come abbiamo contribuito a certe situazioni spiacevoli nelle quali capita di trovarci invischiati. A patto che non indulgiamo in elaborazioni che rischiano di farci sentire inadeguati e di abbatterci.

Ho in corso una lunga querelle con l'analista danese molto ECM sui post-it che appiccico al mio frigorifero.

Ho iniziato anni fa, per tenere traccia di cose piacevoli da fare delle quali avevo letto. Film, mostre, dischi da cercare. 

Quando nella prima parte di quest'anno mi fu diagnosticato uno stato ansioso-depressivo, mi sembro' una buona idea trasformare una parte di quel taze-bao in un elenco di preoccupazioni da risolvere, cosi' da tenerle a mente e farne qualcosa. 

L'analista danese molto ECM non apprezzo'. Mi diede una serie di idee per gestire le mie preoccupazioni, e mi chiese pero' di staccare i post-it, che quelle preoccupazioni me le avrebbero ricordate in continuazione impedendo di liberarmene.

Non diteglielo, ma io quei post-it non li ho mai staccati. Stamattina pero' ne ho scritti un paio, arancioni in modo che risaltino rispetto a tutti gli altri. Su uno ho scritto "Do what you love" e sull'altro "It's OK to be yourself".

Per controbilanciare la citazione di Hesse, credo, e tornare a un giusto equilibrio.

Saranno le mie stelle polari per il 2019.

Il proponimento e' intrappolare ansia e depressione, facendole rimanere per sempre prigioniere di questo 2018. Mentre noi andiamo avanti, finalmente senza di loro. 

Commenti

Andrea ha detto…
Sarebbe ora di condividere un'idea molto semplice ma molto potente secondo me. Le fasi della vita umana sono inevitabilmente cambiate, con l'innalzamento dell'età media.

Nessuno si stupisce delle bizze adolescenziali dei 12-13-14enni. È una fase importante e necessaria. Tutti lo sappiamo e accettiamo come un dato di fatto. Ci saranno tonnellate di carta che ne parlano in tutte le salse.

I post 40anni, da qualche parte, per qualcuno prima e per qualcuno dopo, sono una nuova fase. Non mi stupisce per niente il numero di persone che hanno bisogno di essere "accompagnate" in questa fase (analista, coach, quel che è). È una fase in cui succedono secondo me cose molto comuni e condivise, e gli analisti (anche quelli molto ECM) non fanno altro che farci sentire, ancora una volta, come persone normali, con un'esperienza tutto sommato simile a molti altri.

Un abbraccio, un bacio e tanti auguri!
Fabio ha detto…
Un giorno tornando dalla seduta dall'analista pensavo tra me e me che si e' costretti ad andarci perche' chi ne avrebbe davvero bisogno non ci va.

Ci vanno i tormentati perche' non ci vanno i tormentatori. Che invece di risolvere quietamente i propri problemi li diffondono come si diffonde una malattia infettiva. Costringendoci a curarci perche' non l'hanno fatto loro.

Qualche tempo fa la Gio' e io discutevamo di cambiamenti del mercato del lavoro con Jacopo Perfetti, che insegna imprenditoria alla SDA Bocconi e che su tali cambiamenti scrive libri, una newsletter e un blog. Quindi uno che ne capisce, informatissimo.

Jacopo affermava che la nostra e' la generazione che piu' di ogni altra prima di noi soffre la velocita' del cambiamento. Che, sono giunto a questa conclusione, e' piu' antropologico che tecnologico.

E per questo ci lascia indifesi. Di fronte a questo ci sono solo due possibilita'. Una e' l'escapismo, che viene oggi servito su un piatto d'argento in cambio dei nostri dati sensibili oppure quando nemmeno quello e' sufficiente sotto forma di antidepressivi chimici.

L'altra, scelta da una minoranza, e' guardare in faccia la realta' cercando di comprenderla come siamo capaci. Per farlo serve una bella conoscenza di se stessi. Che si ottiene a volte grazie a un maieuta che ci accompagna ripercorrendo con noi la nostra autobiografia aiutandoci a porci le giuste domande, che sono quelle che spesso piu' evitiamo.

Un abbraccio forte a te, Ila & kids. Auguri! Ci vediamo a gennaio!
CICCILLO ha detto…
Sono per un escapismo critico e consapevole!😊
Fabio ha detto…
Devi spiegarmi in cosa consiste, perche' nel momento in cui eserciti critica e consapevolezza, l'oblio diventa impossibile da raggiungere. E quindi cessa lo scopo.

Il paradigma escapista consiste nell'eradicare i processi di pensiero profondo negando la realta' attraverso il consumo acritico.

L'escapismo e' sottomissione volontaria al paradigma capitalista della superficialita', della velocita', della competizione, della prevaricazione.

L'escapismo e' fuga dalla consapevolezza e dalla critica.

L'escapismo e' una dichiarazione di sconfitta. Escapismo e' conformarsi in cambio di un senso illusorio di appartenenza.

Dove le vedi critica e consapevolezza in questo?

CICCILLO ha detto…
era una battuta!

si può anche non avere voglia di guardare in faccia la realtà proprio perché la si è già vista fin troppo.
e magari decidere di sottrarsi, di ritirarsi, di disertare.
il che implica, a meno di non volersi azzerare del tutto, esercitare un consumo critico, una scelta meditata e fuori dai meccanismi coercitivi del mercato.
ci si può appartare senza sentire necessariamente di appartenere a qualcosa.

le dinamiche violente che ci conducono alla sofferenza psichica le si conosce fin troppo, sarebbe ora di una qualche reazione all'altezza di questa sofferenza.
ma se appunto le nuove generazioni non ne sono consapevoli possiamo solo tentare di mostrarglielo oppure, se non vogliono ascoltarci, ritirarci in una sacrosanta difesa della nostra originalità.
Fabio ha detto…
Il senso del tuo intervento me l'hanno chiarito le ultime parole, quella "sacrosanta difesa della nostra originalita'" che supera la dicotomia dei miei precedenti commenti.

Anche se poi forse quel consumo critico fuori dai codici indotti dal mercato porta in modo (credo) inevitabile all'analisi della realta'.

Anzi, magari non a un'analisi, ho usato il sostantivo sbagliato. Pero' a una percezione profonda dei suoi elementi metafisici, si'. Pensa alle musiche che amiamo.

Alla fine non e' un vero sottrarsi. Quello si ottiene infilandosi in vena l'ago della modernita' (centro commerciale, social, cibo scadente, celebrities, ecc.). Quello si' e' un modo per sentirsi parte, e sottrarsi a ogni dolore insopportabile, in primis l'invisibilita'.