Meredith Monk, Impermanence (ECM New Series, 2008)

Scrive Meredith Monk a commento di questo suo disco:

What we have in common as human beings is that we will all die and we don't know when or how. We will lose our loved ones, our own health and finally our own bodies. Keeping this in mind leads to a deep appreciation of the moments we have, to not taking anything for granted.

Impermanence e' un disco di straordinaria poesia e profondita'. La voce si fa strumento musicale e la sparsa orchestrazione diventa una voce, capace di comunicare l'esperienza della fragilita' e della perdita, cosi' come di celebrare il mistero della vita.

Si tratta di una suite suddivisa in sedici movimenti, di considerevole complessita e ricchezza cromatica. Frammenti di danza contemporanea si alternano a momenti ambientali di poetica staticita', in una sequenza volta a rappresentare i diversi stati d'animo che accompagnano le nostre giornate, e quindi le nostre vite.

L'album e' infuso di una sobria eleganza, alla quale non sono estranei momenti piu' impulsivi e di ironia leggera, che rendono l'ascolto agile e scorrevole, almeno a tratti. Non e' pero' il disco con il quale avvicinarsi alla poetica della Monk (inizierei magari dal piu' leggero ma altrettanto emozionante Facing North, quando non addirittura da Beginnings, entrambi proposti varie volte a Prospettive Musicali).

Il lavoro e' stato ispirato dalla scomparsa della coreografa Mieke van Hoek, compagna della Monk per 22 anni. Si percepisce il dolore della perdita, ma anche il desiderio di affermazione della vita. Bellissima proprio perche' fragile, transitoria, inafferrabile. Impermanence e' un invito a trasformarla in sorpresa, scoperta, viaggio.

Commenti

Anonimo ha detto…
un altro consiglio prezioso. sono in ufficio, una pausa rigenerante dalle scartoffie :) thank u
eLena
Fabio ha detto…
E' proprio quello che mi fa piacere sia questo blog: un momento di pausa durante magari una giornata un po' hectic.

Per me e' proprio questo: scriverlo mi consente di fermare per un po' il tempo e approfondire quello che sento quando ascolto la musica che amo.

Per le musiche delle quali si parla qui, credo che l'approfondimento e la concentrazione siano elementi importanti.

Ci si deve fermare ogni tanto, non si puo' correre sempre.
CICCILLO ha detto…
Meredith ĆØ sempre uguale a sĆ© stessa ma ĆØ indiscutibile.
Ha inventato queste che si sentono nel video e altre cose piĆ¹ di 30 anni fa e da allora ĆØ stata solo emulata da schiere di epigoni.
Ho sentito tutto Impermanence su Youtube e questo che hai postato ĆØ forse il brano piĆ¹ toccante e originale.
Grazie e a presto!
Fabio ha detto…
Infatti penso proprio di trasmettere questa traccia alla radio prossimamente.

Molto vero quello che dici a proposito della progressione molto rapida di Meredith Monk ai suoi esordi (passi da gigante ben testimoniati da Beginnings, pubblicato un paio di anni fa dalla Tzadik di John Zorn). Dopodiche' si e' un po' ripetuta come osservi.

Peraltro sono un po' in ritardo con la sua discografia e non ho ancora ascoltato Songs of ascension. Devo accelerare un po'.
CICCILLO ha detto…
Questo commento ĆØ stato eliminato dall'autore.
CICCILLO ha detto…
sƬ, ho sentito la prima volta Meredith Monk alla Triennale nei primi anni 80, lo spettacolo si chiamava, se non ricordo male, "Recent ruins" e le musiche furono poi quelle raccolte su "Dolmen Music".
fu scioccante.
da allora non ho proprio riprovato la stessa sensazione e la stessa emozione, malgrado nel suo ensemble vi siano musicisti notevoli della scena americana, come Theo Bleckmann e John Hollenbeck che sentiti poi in duo (al GheroartĆØ dei bei tempi) erano assai meglio dell'ensemble di lei la sera prima al Ciak (intorno al 2003, forse 2004) in cui appunto fecero pezzi di 30 prima.
perĆ² mi piace molto un pezzo per 2 pianisti che si trova su questo disco:

http://www.newworldrecords.org/uploads/fileMdKIV.pdf

dove c'ĆØ anche il fantastico TONK di Ellington e Strayhorn, in realtĆ  solo di Strayhorn...
Fabio ha detto…
Entrambi i musicisti che citi sono presenti su Impermanence.

Quando si parla della Monk si pensa immediatamente ai suoi esperimenti con la voce, e invece le sue composizioni strumentali sono molto piu' che intermezzi.

Sono molto d'accordo con le note del disco che suggerisci, dove dicono che la musica per pianoforte composta dalla Monk "has affinities with that of Erik Satie, in economy of means, apparent simplicity, and a mixture of elegant reserve and heartfelt expression".