Strangers in the night
[Screen on the Hill, Novembre 2007]
Recentemente hanno mandato in onda un po' di spezzoni dell'opera prima di un giovane regista israeliano che si chiama Eran Kolirin. Era cosi' bello quello che ho visto, una specie di incrocio tra Almodovar, Jarmusch e Kaurismaki, che sono uscito di matto e ho giurato a me stesso che questo The band's visit non l'avrei perso per nessuna ragione.
Una decina di giorni fa ho scoperto che lo avrebbero dato al buon vecchio Screen on the Hill. E adesso che senza neanche tanti preamboli e' tornata la stagione in cui la Domenica si va volentieri al cinema di pomeriggio, lo scorso fine settimana prima sono andato a bere un te' bello caldo nel verde di Hampstead Heath, e poi piano piano me ne sono sceso fino al glorioso schermo di Belsize Park.
Il film non e' bello, e' di piu'. Ti stringe il cuore e contemporaneamente fino dalla prima scena ti fa ridere e divertire e diventare i personaggi, che e' sempre la condizione fondamentale perche' a me un film piaccia.
La storia e' minima, semplicissima. I musicisti di una banda militare egiziana (guardateli nel trailer, vi prego) devono partecipare all'inaugurazione di un centro culturale arabo in Israele. Ma sbagliano pullman. E finiscono in un villaggio israeliano in mezzo al nulla. Qui scoprono che fino al giorno dopo non ci sono piu' mezzi e quindi non se ne possono andare. Il film racconta la loro notte tra in quel villaggio che decide di ospitarli.
E' pieno di silenzio questo film, con una direzione pressoche' inesistente e dialoghi che immagino improvvisati, di una naturalezza impressionante. Ci sono silenzi che dovrebbero andare avanti per sempre, non finire mai, andrebbe benissimo. La scena in cui Dina, la sosia israeliana di PJ Harvey, che e' quella che li accoglie, si mette il suo vestito migliore per andare al negozio di kebab con il comandante della banda, e il modo in cui si guarda nello specchio, sono di una sensualita' insostenibile.
E pero' non c'e' solo silenzio, c'e' anche musica, di quella che scioglie le tensioni e accorcia le distanze. Summertime cantata quando a cena non si sa piu' cosa diamine dire. Sunny ascoltata in una roller disco deserta cosi' triste da essere comica e da esserlo in modo irresistibile.
Ci sono tante scene terribilmente evocative per ognuno di noi nel film. C'e' l'attesa di una telefonata che forse non arrivera' mai, davati a un telefono circondato da un nulla che e' vuoto pneumatico. Ci sono dialoghi sempre piu' sparsi tra Dina e il comandante, su una panchina sotto le stelle, e l'attesa di un bacio che sembra ad ogni istante piu' lontano e impossibile.
C'e' questa tensione tra cose che succedono e cose che non succedono, ed entrambe sono altrettanto probabili, nel film proprio come nella vita, possibilita' vicinissime e conseguenze lontane anni luce.
E poi, tutto sembra finire proprio come e' iniziato. Ma non e' mica cosi', lo senti dentro che e' stata una notte importante, una di quelle notti nelle quali impari cose che non dimentichi piu', notti che succedono sempre per caso, quando meno te l'aspetti. Notti che non ti puoi difendere e che fanno di te quello che vogliono loro. E ti accorgi sempre di quanto sono state importanti che e' ormai troppo tardi. Per tornare indietro e riviverle. E restano dentro di te per sempre, cristallizzate nella memoria dove le puoi ripescare e finisci per ritrovarle ancora intatte dopo anni.
Poi certo, c'e' tutta la questione arabo-israeliana sullo sfondo del film, e il dialogo tra mondi che e' possibile, e forse basta anche poco. C'e' anche quello. Ma non mi sembra quello il punto centrale. Sarebbe sminuire un film che e' piu' grande di cosi'.
E' sull'incontro di esseri umani che arrivano da storie e vissuti diversi, non importa da dove e non ha importanza dove stanno andando.
E dopo arriva il mattino, ed e' ora di partire.
In fatto di cinema, non so se ve l'ho gia' detto, settimana dopo settimana mi sto convincendo che non c'e' niente di meglio per tenersi informati di un programma che va in onda sulla versione inglese di Al Jazeera. Credetemi sulla parola o ancora meglio andatelo a cercare in rete. Si trova facilmente, se ne trovano anche svariate puntate arretrate in You Tube. Si intitola The fabulous picture show ed e' sempre pieno di interviste vere a registi veri registrate in cinema veri con domande poste dal pubblico vero.
Recentemente hanno mandato in onda un po' di spezzoni dell'opera prima di un giovane regista israeliano che si chiama Eran Kolirin. Era cosi' bello quello che ho visto, una specie di incrocio tra Almodovar, Jarmusch e Kaurismaki, che sono uscito di matto e ho giurato a me stesso che questo The band's visit non l'avrei perso per nessuna ragione.
Una decina di giorni fa ho scoperto che lo avrebbero dato al buon vecchio Screen on the Hill. E adesso che senza neanche tanti preamboli e' tornata la stagione in cui la Domenica si va volentieri al cinema di pomeriggio, lo scorso fine settimana prima sono andato a bere un te' bello caldo nel verde di Hampstead Heath, e poi piano piano me ne sono sceso fino al glorioso schermo di Belsize Park.
Il film non e' bello, e' di piu'. Ti stringe il cuore e contemporaneamente fino dalla prima scena ti fa ridere e divertire e diventare i personaggi, che e' sempre la condizione fondamentale perche' a me un film piaccia.
La storia e' minima, semplicissima. I musicisti di una banda militare egiziana (guardateli nel trailer, vi prego) devono partecipare all'inaugurazione di un centro culturale arabo in Israele. Ma sbagliano pullman. E finiscono in un villaggio israeliano in mezzo al nulla. Qui scoprono che fino al giorno dopo non ci sono piu' mezzi e quindi non se ne possono andare. Il film racconta la loro notte tra in quel villaggio che decide di ospitarli.
E' pieno di silenzio questo film, con una direzione pressoche' inesistente e dialoghi che immagino improvvisati, di una naturalezza impressionante. Ci sono silenzi che dovrebbero andare avanti per sempre, non finire mai, andrebbe benissimo. La scena in cui Dina, la sosia israeliana di PJ Harvey, che e' quella che li accoglie, si mette il suo vestito migliore per andare al negozio di kebab con il comandante della banda, e il modo in cui si guarda nello specchio, sono di una sensualita' insostenibile.
E pero' non c'e' solo silenzio, c'e' anche musica, di quella che scioglie le tensioni e accorcia le distanze. Summertime cantata quando a cena non si sa piu' cosa diamine dire. Sunny ascoltata in una roller disco deserta cosi' triste da essere comica e da esserlo in modo irresistibile.
Ci sono tante scene terribilmente evocative per ognuno di noi nel film. C'e' l'attesa di una telefonata che forse non arrivera' mai, davati a un telefono circondato da un nulla che e' vuoto pneumatico. Ci sono dialoghi sempre piu' sparsi tra Dina e il comandante, su una panchina sotto le stelle, e l'attesa di un bacio che sembra ad ogni istante piu' lontano e impossibile.
C'e' questa tensione tra cose che succedono e cose che non succedono, ed entrambe sono altrettanto probabili, nel film proprio come nella vita, possibilita' vicinissime e conseguenze lontane anni luce.
E poi, tutto sembra finire proprio come e' iniziato. Ma non e' mica cosi', lo senti dentro che e' stata una notte importante, una di quelle notti nelle quali impari cose che non dimentichi piu', notti che succedono sempre per caso, quando meno te l'aspetti. Notti che non ti puoi difendere e che fanno di te quello che vogliono loro. E ti accorgi sempre di quanto sono state importanti che e' ormai troppo tardi. Per tornare indietro e riviverle. E restano dentro di te per sempre, cristallizzate nella memoria dove le puoi ripescare e finisci per ritrovarle ancora intatte dopo anni.
Poi certo, c'e' tutta la questione arabo-israeliana sullo sfondo del film, e il dialogo tra mondi che e' possibile, e forse basta anche poco. C'e' anche quello. Ma non mi sembra quello il punto centrale. Sarebbe sminuire un film che e' piu' grande di cosi'.
E' sull'incontro di esseri umani che arrivano da storie e vissuti diversi, non importa da dove e non ha importanza dove stanno andando.
E dopo arriva il mattino, ed e' ora di partire.
Commenti
http://www.asiapacificscreenawards.com/the_awards/winners_2007/the_unesco_award
auro
Grazie per le tue parole, mi fanno davvero piacere.
Auro -
Dopo aver scritto il post mi sono accorto che ha vinto anche un premio proprio dalle tue parti, quello della giuria Un certain regard. Molto meritato direi. Belle le ultime foto che hai postato nella tua pagina!
Io l'ho gia' visto in anteprima al BFI London FIlm Festival, ma e' cosi bello che sarei tornata volentieri a rivederlo...purtroppo quel giorno devo lavorare fino alle 20.30.
Moya