Seguira' dibattito
Non sto scherzando, c'e' stato davvero. Moderato dalla direttrice del dipartimento di studi cinematografici del King's College, che e' una elegante signora francese.
Tra l'altro in tutto il cinema (quello al primo piano dell'Istituto Culturale Francese) saremo stati, voglio esagerare, venti spettatori (essendo sabato pomeriggio, e il primo sabato pomeriggio di saldi). La direttrice del dipartimento cinematografico ecc. ecc. si vede che doveva proprio stare li' una mezz'oretta e quindi in pratica faceva domande a ciascuno di noi, come non mi capitava dal tempo della scuola: tu, che cosa ti ha comunicato il film che abbiamo visto? Detto cosi' sembra quasi un'interrogazione, e invece ne sono uscite osservazioni interessanti.
Non so cosa ne pensiate voi (sappiamo tutti cosa ne pensava Moretti invece) ma io ammetto che a me l'idea di una mezz'ora per riflettere su quello che ho visto, potendo scambiare commenti prima di dedicarmi a qualcosa d'altro, piace molto.
Un condamne' a mort s'est echappe' (quarto film della cinematografia di Robert Bresson, uscito nelle sale nel 1957) e' un film molto essenziale. Tutto girato in un carcere (pressoche' interamente in una cella), tranne la scena inziale e quella conclusiva. E' la storia di un prigioniero che progetta con enorme caparbieta' e poverissimi mezzi (un cucchiaio che usera' per incidere un po' ogni giorno il legno della porta, e indumenti che tagliera' in striscioline e che intreccera' per formare funi) la fuga verso la tanto sognata liberta'.
Ricco di simbologie religiose, con una messa di Mozart come adattissima colonna sonora, sorprendentemente privo di violenza considerando il tema, il capolavoro di Bresson e' anche una riflessione sulla fiducia che qualche volta dobbiamo riporre, ciecamente, nel nostro prossimo (sto pensando alla scena nella quale Fontaine sale sulle spalle di Jost per fuggire: da solo non sarebbe mai riuscito a scalare uno dei muri di cinta).
E' un film straordinariamente moderno, che prende le mosse da una storia vera accaduta durante l'occupazione tedesca del suolo francese, ma la trascende: mi e' parso che la ricostruzione storica non fosse per Bresson che un pretesto per rappresentare tutta la disciplina necessaria a ognuno di noi per raggiungere la liberta'.
La rassegna sulla Resistenza continua fino a questo giovedi, qui c'e' il programma (io penso di andare anche domani, saltando una private view serale della Tate).
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