Tutti dovrebbero far parte dell'elite.
- Roman Vlad
Non so se voi che passate di qui abbiate mai aperto un blog, ne' per quanto tempo lo abbiate aggiornato e con quale frequenza. E non so nemmeno se proviate, come provo io, un senso di vertigine rispetto ai mezzi di comunicazione che abbiamo visto svilupparsi nel corso delle nostre vite. Alle infinite possibilita' di mettere in comune quello che vediamo, sentiamo, leggiamo, pensiamo. La rete, la fotografia digitale, Facebook, Twitter... tutte cose impensabili 15 anni fa, quando molti di noi erano studenti, con molto tempo a disposizione e una superiore capacita' di sorprenderci della vita.
Sta di fatto che se vado a rileggere post di 6 o 7 anni fa (questo blog ne festeggera' tra poco 8), mi rendo immediatamente conto di quanto piu' sciolta era la mia scrittura. Quanto di me rivelavo, ad esempio.
Quella capacita' col tempo e' andata perduta. Non e' che non voglio rivelarmi. E' proprio che ho perso quella naturale spontaneita'. Chiedendomi come mai, ho maturato l'impressione (dobbiamo sempre esternalizzare le responsabilita', lo sapete) che il blocco sia stato generato soprattutto da quello che mi capita di leggere in Facebook. Che, come ho gia' scritto (ma naturalmente senza anatemi, ci mancherebbe), considero un po' la degenerazione della comunicazione in rete, un delirio cacofonico di frasette suggestive, foto di bambini e animali, gente sorridente col bicchiere in mano, battute, ecc. con il quale non sono mai riuscito a scendere a patti provandone simpatia, ma che non sono nemmeno mai riuscito a evitare del tutto. Mi incuriosisce da pazzi, pur non piacendomi affatto. Come quelle situazioni dove quando vai ti trovi male, ma se non ci vai ti senti escluso, e se vai e non ti conformi, escluso ti ci fanno sentire.
Tutta questa lunga premessa, per dire una cosa semplicissima. Non so piu' bene che cosa farne, di London Calling. Potrei non farne piu' nulla, chiudere qui. Ma se rileggete la premessa, se ripensate a quel senso di vertigine che ci prende davanti alle infinite possibilita' comunicative che ci sono offerte, beh allora forse concluderete con me che chiudere un blog e' un po' un controsenso. Hai diecimila possibilita', e non ne sfrutti neanche una. Come andare a New York e chiudersi in camera a leggere il Corriere che ti hanno dato in aereo.
Piuttosto, si tratta di capire qual e' il modo migliore per fare tesoro di questi media. Potrei, come ho fatto negli ultimi tempi, tagliare fuori frequenze. Ho una competenza, la musica, e parlo di quella. Per un po' va bene. Ma non per sempre, perche' a un certo punto tutti gli altri miei interessi (il cinema, la fotografia, la politica, le persone, la vita) chiedono spazio.
La conclusione di questo post non esiste. Lo lascio aperto, in attesa che dalla confusione nasca una forma, un equilibrio, un ordine. Di solito succede, se resti in quello stato difficile da definire (attesa consapevole?) che e' ricettivo, verso la realta' e verso la fantasia.
Pensavo solo di dirvelo, perche' c'e' qualcuno che questo blog torna di tanto in tanto a visitarlo, e lo fa da anni, e mi piace condividere serenamente anche un momento come questo. E di solito, lo scambio aiuta (e se lo scambio non dovesse avvenire, sarebbe un chiaro segnale che cambiare e' necessario).
- Roman Vlad
Non so se voi che passate di qui abbiate mai aperto un blog, ne' per quanto tempo lo abbiate aggiornato e con quale frequenza. E non so nemmeno se proviate, come provo io, un senso di vertigine rispetto ai mezzi di comunicazione che abbiamo visto svilupparsi nel corso delle nostre vite. Alle infinite possibilita' di mettere in comune quello che vediamo, sentiamo, leggiamo, pensiamo. La rete, la fotografia digitale, Facebook, Twitter... tutte cose impensabili 15 anni fa, quando molti di noi erano studenti, con molto tempo a disposizione e una superiore capacita' di sorprenderci della vita.
Sta di fatto che se vado a rileggere post di 6 o 7 anni fa (questo blog ne festeggera' tra poco 8), mi rendo immediatamente conto di quanto piu' sciolta era la mia scrittura. Quanto di me rivelavo, ad esempio.
Quella capacita' col tempo e' andata perduta. Non e' che non voglio rivelarmi. E' proprio che ho perso quella naturale spontaneita'. Chiedendomi come mai, ho maturato l'impressione (dobbiamo sempre esternalizzare le responsabilita', lo sapete) che il blocco sia stato generato soprattutto da quello che mi capita di leggere in Facebook. Che, come ho gia' scritto (ma naturalmente senza anatemi, ci mancherebbe), considero un po' la degenerazione della comunicazione in rete, un delirio cacofonico di frasette suggestive, foto di bambini e animali, gente sorridente col bicchiere in mano, battute, ecc. con il quale non sono mai riuscito a scendere a patti provandone simpatia, ma che non sono nemmeno mai riuscito a evitare del tutto. Mi incuriosisce da pazzi, pur non piacendomi affatto. Come quelle situazioni dove quando vai ti trovi male, ma se non ci vai ti senti escluso, e se vai e non ti conformi, escluso ti ci fanno sentire.
Tutta questa lunga premessa, per dire una cosa semplicissima. Non so piu' bene che cosa farne, di London Calling. Potrei non farne piu' nulla, chiudere qui. Ma se rileggete la premessa, se ripensate a quel senso di vertigine che ci prende davanti alle infinite possibilita' comunicative che ci sono offerte, beh allora forse concluderete con me che chiudere un blog e' un po' un controsenso. Hai diecimila possibilita', e non ne sfrutti neanche una. Come andare a New York e chiudersi in camera a leggere il Corriere che ti hanno dato in aereo.
Piuttosto, si tratta di capire qual e' il modo migliore per fare tesoro di questi media. Potrei, come ho fatto negli ultimi tempi, tagliare fuori frequenze. Ho una competenza, la musica, e parlo di quella. Per un po' va bene. Ma non per sempre, perche' a un certo punto tutti gli altri miei interessi (il cinema, la fotografia, la politica, le persone, la vita) chiedono spazio.
La conclusione di questo post non esiste. Lo lascio aperto, in attesa che dalla confusione nasca una forma, un equilibrio, un ordine. Di solito succede, se resti in quello stato difficile da definire (attesa consapevole?) che e' ricettivo, verso la realta' e verso la fantasia.
Pensavo solo di dirvelo, perche' c'e' qualcuno che questo blog torna di tanto in tanto a visitarlo, e lo fa da anni, e mi piace condividere serenamente anche un momento come questo. E di solito, lo scambio aiuta (e se lo scambio non dovesse avvenire, sarebbe un chiaro segnale che cambiare e' necessario).
Commenti
E che insomma che quel libro della metafora di Fabio forse ha senso scriverlo.
Qohelet.
Anche per me e' stato un po' cosi', anche se ripensando a quel lontano ottobre 2004 stavo cosi' male che il blog fu per me una terapia per uscire da un momento proprio difficile.
Chiudere London Calling forse avrebbe anche un significato simbolico: quello di avere superato un momento, definitivamente. Adesso, se non altro, lo scrivo perche' mi va, non perche' ne ho bisogno. Certo pero', che e' una motivazione, quella di adesso, assai piu' debole.
Analizzando un po' meglio il "perche' mi va" che ho scritto, viene fuori esattamente quello che dici tu Massimo: se non ci si proponesse di scriverci sopra qualcosa, tante esperienze scivolerebbero via.
Quello che mi propongo di fare, fermandomi, e' invece proprio domandarmi cosa quell'esperienza (ascolto, visione) mi ha lasciato. Un disco mi e' piaciuto, bene, ma perche'? Cosa mi ha detto che non sapevo gia'? Che emozioni ha suscitato?
Impossibile a quel punto, se si e' sinceri, non entrare in territori personali.
E confesso di stupirmi, come fai tu, rileggendo vecchi post, di alcune intuizioni, magari minime ma che ha avuto senso fissare.
io sono contentissima di averlo fatto per anni, non solo per le persone che ho conosciuto così, ma perché ormai lo uso come archivio personale. e ogni tanto viene un'idea per qualcosa da postare, e lo si fa.
comunque sono d'accordo che la confusione è grande sotto il sole!
poi io, per esempio, certi post di Instagram vorrei pubblicarli anche sul blog perché c'entrano e perché saltano fuori commenti, ma non so come fare. Bisognerebbe sapersi inventare una propria maniera di usarle, 'ste diavolerie.
I blog sono cosi' diventati il regno della lentezza e del pensiero, archivi personali condivisi.
Ho letto qualche tempo fa che Facebook sarebbe responsabile anche della fine della navigazione libera, l'Internet surfing estemporaneo. La maggior parte degli intenauti oggi si lasciano guidare dal navigatore satellitare automatico, l'aggregatore di Facebook. E di conseguenza i blog sono meno visitati di prima. Anche tu e io, per esempio, non aggiorniamo i nostri blogroll da mesi, perche' non li usa praticamente piu' nessuno.
Poi si', la confusione e' grande sotto il sole come dici. La situazione e', pertanto, eccellente, come sempre pero' se si evitano i Tomtom e le strade battute.
il fallimento dei blog si trova nello stesso territorio in cui avviene la sua resistenza.
e in qualche modo queste tue parole lo confermano, Fabio.
quello che è successo a me personalmente è di raggiungere la saturazione, di cose lette e di cose scritte.
e in entrambi i casi andare a consultare gli archivi, dunque sia i miei (sul mio hard disk) che quelli altrui ancora presenti in rete, mi lascia sempre addosso una sensazione di disagio e inadeguatezza.
a pensarci bene le cose che resistono al tempo poi sono sempre meno (molte meno) di quelle che vengono prodotte e create, lo si può vedere nella musica, nel cinema, nella letteratura, cioè le forme espressive più vicine o intrecciate alla forma blog.
io personalmente di tutto quello che ho scritto salverei 3 o 4 cose, il resto sono scritti di circostanza che ora non hanno più consistenza né una qualche pulsazione.
per carità, io amo il passato ma resto convinto che blog e facebook siano strumenti dell'istante, del presente.
pare che ora anche l'inventore del concetto di "non-luogo" sia giunto alla conclusione che non esiste altro per noi, cioè il presente atroce e immobile in cui siamo costretti a vivere.
Avevo letto peraltro la sua teoria del tempo nel saggio "Che fine ha fatto il futuro", e anche in quel caso mi aveva poco convinto.
Il presente non lo trovo ne' atroce, ne' immobile: e', considerazione fin troppo banale, cio' che riusciamo a farne (cioe' non e' per forza atroce) e si muove, velocemente e imprevedibilmente.
Ti dico che cosa mi piace molto del tuo intervento, e poi anche quello che non condivido tanto.
Mi piace l'inizio. E' cosi' come dici, molti di noi sono giunti a una saturazione informativa che impone di erigere barriere di difesa. E contemporaneamente gli incontri veri e reali scarseggiano. Va recuperato un equilibrio, ed e' un processo che richiede capacita' di selezione che, personalmente, sento che mi mancano. Forse e' cosi' per molti.
Invece quello che non condivido e' l'isolamento di singoli scritti rispetto a quello che vedo come un progetto complessivo (il tuo blog, il mio, in genere tutti).
London Calling e' una ricerca che mi fa piacere condividere. Come in tutte le ricerche, io credo che ci siano pochi eureka e molti momenti di attesa. Pero', gli eureka sono proprio conseguenti ai "vuoti costruttivi", chiamiamoli preparatori.
Per cui, nella mia visione delle cose (piuttosto informata, perche' come sai per mangiare mi occupo di ricerche sociali), gli eureka valgono esattamente come l'attesa, la preparazione.
Non so se London Calling chiudera', ma so che e' stato un bel percorso, tutto. Gli archivi, vedrai, un giorno torneranno utili, magari anche solo per confrontarci con essi.
Insomma, anche se dovessi fermarmi qui, salverei ogni post, ogni parola, ogni fotografia, ogni momento. A tutto questo sono molto legato, come quelle persone che amano la propria vita, per quanto insignificante sia nel grande schema delle cose.
tu vedi la forza della parola, la forza salvifica, quella che evita la violenza e la disperazione, nei confronti di sé e degli altri, quella che libera dall'ignoranza, quella che crea le basi per la condivisione.
e questo c'è senz'altro, anche se il virtuale non raggiungerà mai la forza del reale.
io invece riesco a vedere solo la parola che si sbrodola addosso, l'aspetto narcisistico o autoreferenziale.
ma sia chiaro non è un discorso rivolto a te e al tuo blog, è un discorso molto generale, una sensazione che ho sempre avuto, fin dagli esordi, che riguardava me e un po' tutti, una specie di tara originaria del mezzo stesso.
e non riesco a cambiare idea, facebook mi appare solo una nuova forma, più ancora di massa, una forma accessibile a tutti, una forma che dà fastidio a chi viveva in un mondo precedente.
è come se improvvisamente su quella spiaggia deserta dove pensavamo di esserci solo noi arrivassero un mare di persone.
ma probabilmente anche prima, nelle ore e nei giorni in cui noi non c'eravamo,ugualmente la spiaggia era popolata ma noi non lo vedevamo con la stessa evidenza, peraltro solo numerica giacché di blog con le foto dei gatti e dei bicchieri, e tutte le altre cose che ti danno fastidio di facebook, ce n'erano già a migliaia.
probabilmente la tua caratteristica migliore, ciò che davvero ti distingue, è che non solo hai una competenza ma soprattutto un "mestiere", perdona il termine, per esprimerla. il che funziona anche nei post in cui parli di te o di altro e rende il tutto molto piacevole da leggere, mai noioso, mai stucchevole come in tanti altri casi. e forse anche più resistente al tempo e all'attacco di facebook! :-)
un mestiere che ti permette
poi parleremo di Augé...
Carver in un'intervista disse che si scrive perche' si ha qualcosa da dire, non si scrive per dire qualcosa. E io credo che il confine sia sempre abbastanza chiaro.
Scrivere un blog penso che richieda un paio di caratteristiche, senza le quali non vai avanti molto:
1) una competenza specifica. Puo' essere qualsiasi cosa: la musica, il calcio, la politica, la cucina, la poesia, ecc. Conosco una persona che scrive un blog postando foto di unghie con l'unghiolina, e va benissimo anche quello, se sull'unghiolina hai delle competenze che nessun altro ha. Ma devi essere profondamente appassionato del tema. E le passioni, anche se tutti pensano di averne, a mio parere scarseggiano abbastanza. L'unico surrogato di una competenza specifica (surrogato assai desiderabile) e' una vita davvero interessante (quella del viaggiatore, dello scrittore, del giornalista, che pero' poi finiscono per avere competenze specifiche pure loro)
2) quello che chiami, giustamente, mestiere. Un minimo di scioltezza con la scrittura, di capacita' di raccontare e farti leggere senza sbadigliare.
Chi possiede entrambe le qualita', in genere scrive ottimi blog: che vale la pena leggere, ai quali si ritorna sempre volentieri, che restano impressi (il primo esempio che mi viene in mente, tanto per non fare nomi, e' Fabio De Luca che ha commentato qui sopra).
Per tutti gli altri c'e' Facebook, e lo dico senza alcuno spirito critico, ne' spocchia, come puro dato di fatto.
(E sempre a scanso di equivoci, lascia che precisi che nonostante tu sia stato generoso nei miei confronti, la strada che devo fare per costruire competenza e mestiere sento che e' ancora lunghissima).
E neanche sono un'esperta di niente. Scrivo di quotidianità, di nostalgie, di libri, musica, persone. Scrivo d'amore e quindi anche di mia figlia. Ho forti sospetti che Ciccillo, che pure so essere uno dei miei lettori più fedeli, mi trovi in realtà autoreferenziale, ripetitiva e stucchevole!
Ogni tanto ho pensato (e penserò) di chiudere. Finora non l'ho fatto. I miei lettori mi hanno sempre convinta a non farlo, e ogni volta, leggendo le loro parole, mi sono meravigliata, perché fa meraviglia capire che qualcuno davvero ti legge regolarmente, magari senza mai commentare, ma ti legge ogni giorno.
Ecco, finchè esisteranno i miei lettori esisterà il mio blog. E io spero che anche London Calling continui ad esserci, perché scrivi bene, perché sei competente, cordiale e curioso. Come amico non ti perderei di vista comunque, ma come blogger mi mancheresti se sparissi.
Devo dire che i tuoi post che apprezzo di più sono quelli - come questo - in cui apri al dialogo. Secondo me dovresti farlo più spesso, perché hai dei lettori che lo meritano, e tu lo meriti. A me personalmente piacerebbe una fusione tra Passeggiate brevi e London Calling. Non vedo perché separarli - sono due aspetti di te.
Il tuo blog e' molto partecipato perche' e' prima di ogni altra cosa un luogo accogliente, un punto di ritrovo. La tua forza credo sia il fatto di rivelarti sapendo pero' qual e' la linea da non oltrepassare. Ci cammini sopra a quella linea, in notevole equilibrio, con una infinita sincerita'. E questo si sente, subito.
Le tue competenze sono molte, ma la principale e' una singolare capacita' di vivere la vita fino in fondo. E' la competenza piu' importante, altro che la musica, la cucina, l'unghiolina, la politica.
Operare una fusione a freddo tra London Calling e Passeggiate Brevi (peraltro un progetto abbandonato gia' molte volte, sul quale avevo piu' che altro lavorato graficamente per dare una nuova veste grafica a London Calling, pure quello un progetto spiaggiato da molti mesi) non so se sia una buona idea, nel senso che un blog ha senso se prosegue un discorso un po' organico. Altrimenti diventa un po' una maionese impazzita (come a volte London Calling e' stato).
Sono sempre piu' confuso. Mi sto dando come orizzonte per un nuovo progetto il mese di ottobre, quando London Calling compira' 8 anni. A quel punto, o mi viene un'idea, o abbandono la blogosfera, pur naturalmente commentando i blog che mi piacciono e che seguo.
M -
Che memoria! Mi hai fatto venire in mente tanti ricordi.
Piu' che uno sguardo sul mondo, forse sono uno sguardo su Clerkenwell e Porta Genova, non e' che recentemente abbia visto molte altre porzioni di vasto mondo (ma sto per rimediare, approfittando dell'estate).
Aggiornamento: all'edicola di Porta Genova, adesso che lo compro qui a Clerkenwell, Wire arriva con germanica regolarita' e svizzero tempismo. E il ragazzo dell'edicola ha il sorriso piu' simpatico di tutti gli edicolanti del globo terracqueo: mi vede una volta ogni due mesi e mi fa festa ogni volta come se fossi il suo migliore cliente.
Il barba di Supporti invece non lo vedo da anni, mi dicono pero' che prosegue nella sua invidiabile routine di giardinetti, Tuttosport e bianchi della casa.
alzerò la mano quando chiederanno "chi non ha mai smesso di leggere Fabio?". e mi schiererò per i blog quando Pilato chiederà chi, fra blog e facebbok, vorremo lasciare liberi di esistere.
io, mannaggia, sempre di fretta, ma ho letto tutto e mi è venuto dal cuore farti sapere che ti supporto, ti sostengo, ti stimo (e già lo sapevi) e ti seguo. poi la decisione sarà sempre la tua, ma tu saprai la mia.
a presto caro Fabio,
borguez
Si sente che le tue parole arrivano dal cuore, come del resto tutto quello che scrivi nel tuo blog.
Forse, a pensarci, il segreto per scrivere bene e' solo quello.
Ora sembri sentire l'esigenza di un ritorno a un approccio più personale e forse interattivo (naturalmente un blog lo è sempre, se non altro perchè evidenziare agli altri ciò che ci piace significa comunque parlare di noi).
Non è un caso che al tuo post siano subito seguiti numerosi e interessanti commenti, certamente stimolati dalle tue notevoli considerazioni.
Un disco di musica barocca, per quanto bello, difficilmente potrebbe suscitare un tale feedback.
Forse quello che scrivo è poco significativo e "out of tune", ma consideralo semplicemente una piccola provocazione e un modo per salutarti e per dirti che resto dell'idea di fare la tua conoscenza reale, a proposito di interazioni ...
Nicola
I blog che preferisco sono quelli nei quali si genera un dialogo, uno scambio. Si mette in comune, collettivamente.
Questo blog e' in cerca di una formula che metta insieme segnalazioni e scambio, sempre che ne esista una.
Spero di poterne parlare presto con te di persona.
Non è certo un motivo, lo so, per tenerlo aperto...
Uno e' ricevere messaggi come il tuo, sapere che i miei scritti hanno dato un po' di sollievo a qualcuno che magari nemmeno conosco personalmente, in un momento un po' difficile che spero definitivamente superato.
Ora, lo dico a te e a chi passa di qui, sono in un momento silenzioso. Ma sto accumulando foto, idee, musiche che condivideremo presto insieme (diciamo dalla seconda decade di agosto).
Mi viene da dividere i motivi per cui si tiene un blog in due ordini, come è stato già evidenziato nei commenti: interno (un impulso generato da una fase dell'esistenza, come tu stesso Fabio hai individuato per l'inizio di London Calling) ed esterno (voglia di comunicare ai lettori determinati contenuti).
Si può scrivere solo in base al primo, e allora si sarà autoreferenziali (peccato veniale, dato che non si obbliga nessuno a leggerci) a meno di non avere un innato ed estremo talento letterario che determinerà da solo il fine esterno (buona letteratura).
Scrivere solo in base al secondo è più "razionale", e lo si fa quando l'interesse per ciò di cui si scrive è vitale (visto che non si viene pagati), e se viene fatto con criterio si avrà comunque un pubblico, più o meno ristretto.
Sintetizzando lapalissianamente: si scrive perché e quando se ne ha voglia. Alla fine è questo che ci fa decidere...ma non chiuderei né cancellerei niente (parlo per London Calling Fabio, ma anche per me), perché amando la vita e il suo percorso ne amo anche le tracce.
L'unica cosa che mi ha periodicamente saturato è l'inevitabile filtratura del "sé relazionale" che ognuno di noi effettua nelle interazioni tramite blog, che possono essere molto costruite. Dal vero si è più facilmente smascherabili, nel blog l'artificio, è più accentuato, più smaccato, favorito dal mezzo - la parola pensata e scritta.
Per il resto, lunga vita allo slow blogging :-)
Anzi, inizio a pensare che proprio la coesistenza delle due ragioni che indichi (quella interna e quella esterna) abbia moltissimo ancora da esprimere.
Quella interna era prevalente agli albori del fenomeno ("vi racconto chi sono"), ma la sua spinta si e' esaurita per varie cause (a un certo punto non si capisce piu' fino a dove ci si puo' spingere nelle rivelazioni, specie se chi ci legge si sente coinvolto).
Quella esterna rende i blog un po' compilativi, a meno che non si sappia scrivere davvero bene.
Se invece scrivi di te e di quello che ti piace/ in cui credi e lo fai con competenza, allora il blog continua ad essere interessante. Perche' quando lo leggi non ti sembra ne' di guardare attraverso il buco della serratura, ma nemmeno di leggere una rivista.
e più che di motivazioni interne o esterne, ripensandoci, forse parlerei di finalità - per sé e per gli altri. L'auspicio, e non solo nel bloggare, è farle coincidere.
Soprattutto: sollecitare partecipazione e dialogo, scambio e condivisione.