Songs to remember
[Balanescu Quartet, Union Chapel, Aprile 2008]
Ho appiccicato qui sopra qualche foto scattata ieri sera, e poi mi sono messo a fissare lo schermo del computer provando un'insolita sindrome da foglio bianco.
Da dove iniziare a parlare di un'esperienza come il concerto di ieri. Dal luogo, dalla musica, dal contesto, dal pubblico, dall'atmosfera, dalle immagini che scorrevano sullo schermo alle spalle dei musicisti. Significherebbe in qualsiasi caso scindere qualcosa di profondamente indivisibile, del quale fai esperienza tutt'insieme. Un tutto armonico, capace di infondere grazie proprio a quella combinazione di elementi uno stato contemplativo, qualcosa di simile a una meditazione.
Alla Union Chapel sono arrivato presto, forse anche un po' troppo. La Union Chapel e' una chiesa congregazionale, che vuol dire che la Domenica leggono il Vangelo e poi lo commentano un po' tutti assieme con l'obiettivo di capire cosa ci puo' insegnare nel mondo di oggi. Sono non gerarchici, ci tengono a specificare.
E invece la sera ci fanno concerti. Io ci ho visto un po' tutti, da Sparklehorse ai Low, dalla Penguin Cafe Orchestra agli Spiritualized. Tutti piu' o meno unplugged, con la luce delle candele a illuminare l'abside che diventa un piccolo palco, con tutte le panche attorno.
Ieri sera alla Union Chapel ha suonato il quartetto di Alexander Balanescu. Entravi e ti davano un foglietto con il programma della serata. Io mi sono seduto su una panca proprio davanti al palco e mi sono messo a pensare a questa frase di Primo Levi, riportata come introduzione al programma:
Perhaps the memory is like a bucket: if you want to cram into it more fruit than it will hold, the fruit is crushed.
Arriva da Se non ora, quando?, e si', la memoria e' come un secchio e dobbiamo stare attenti a cosa mettiamo in quel secchio. Che l'acqua sia sempre pulita, cristallina. Il resto via, via senza rimpianti.
Alexander Balanescu e' uno che ha collaborato un po' con tutti: David Byrne, Peter Greenaway, Gavin Bryars, gli Spiritualized, Kate Bush, i Kraftwerk. Uno che arriva dall'Arditti Quartet, uno che col violino suona, bene, tutto quello che vuole: folk, contemporanea, pop. Uno da seguire, che ti porta in posti che nemmeno te li immagini.
Ieri sera ha fatto tre cose. La prima e' un ritratto in musica dello scultore Maurice Blik, uno che e' stato bambino in un campo di concentramento e che oggi realizza bronzi non troppo diversi da quelli di Brancusi. La musica accompagna un video di Gillian Lacey e ne segue le atmosfere. Si fa dissonante quando vuole evocare l'esperienza del lager e poetica quando la videocamera accarezza le forme delle sculture.
La seconda e' un brano tratto da Luminitza, il disco del ritorno in Romania dopo la caduta del ditattore Ceausescu, e del recupero della tradizione folkloristica di quel Paese. Si intitola Mother e ascoltate in una fredda serata in una chiesa silenziosa e poco illuminata puo' commuovere fino alle lacrime. E' di una dolcezza e di un raccoglimento come solo raramente la musica, la migliore musica, sa essere.
La terza e' una celebrazione della vita, dei piccoli piaceri che rendono la nostra esistenza degna di essere vissuta. Il video che l'accompagna e' il montaggio di una serie di pellicole abbandonate e poi ritrovate dopo molti anni, che ritraggono i ballerini di una compagnia di danza russa in tour in Australia, mentre danzano in costume da bagno su una spiaggia. Immagini ingiallite, che sono il tempo che scivola via, e, penso mentre le vedo scorrere, le memorie cristalline che vogliamo portare con noi, quelle che ci fanno sorridere.
Il concerto finisce e mi fermo a scambiare qualche impressione con Alexander. Ricordiamo il freddo di una sera invernale, quando lui e Gavin Bryars suonarono sul ponte della Turbine Hall e io, come e' successo anche ieri, mi lasciai trasportare dalle loro note senza opporre un'inutile resistenza. Mentre stiamo parlando, si intromette tra di noi la figlia della violista del quartetto, una bambina che avra' sei o sette anni. Congratulazioni, ma ho avuto paura quando ho visto le immagini dei campi di concentramento dice, un po' turbata. Alexander e io la guardiamo e poi rimaniamo silenziosi.
Forse stiamo pensando la stessa cosa: anche noi abbiamo provato il suo stesso, purissimo e nobile, sentimento.
[David Byrne-Balanescu Quartet-Possessed]
Ho appiccicato qui sopra qualche foto scattata ieri sera, e poi mi sono messo a fissare lo schermo del computer provando un'insolita sindrome da foglio bianco.
Da dove iniziare a parlare di un'esperienza come il concerto di ieri. Dal luogo, dalla musica, dal contesto, dal pubblico, dall'atmosfera, dalle immagini che scorrevano sullo schermo alle spalle dei musicisti. Significherebbe in qualsiasi caso scindere qualcosa di profondamente indivisibile, del quale fai esperienza tutt'insieme. Un tutto armonico, capace di infondere grazie proprio a quella combinazione di elementi uno stato contemplativo, qualcosa di simile a una meditazione.
Alla Union Chapel sono arrivato presto, forse anche un po' troppo. La Union Chapel e' una chiesa congregazionale, che vuol dire che la Domenica leggono il Vangelo e poi lo commentano un po' tutti assieme con l'obiettivo di capire cosa ci puo' insegnare nel mondo di oggi. Sono non gerarchici, ci tengono a specificare.
E invece la sera ci fanno concerti. Io ci ho visto un po' tutti, da Sparklehorse ai Low, dalla Penguin Cafe Orchestra agli Spiritualized. Tutti piu' o meno unplugged, con la luce delle candele a illuminare l'abside che diventa un piccolo palco, con tutte le panche attorno.
Ieri sera alla Union Chapel ha suonato il quartetto di Alexander Balanescu. Entravi e ti davano un foglietto con il programma della serata. Io mi sono seduto su una panca proprio davanti al palco e mi sono messo a pensare a questa frase di Primo Levi, riportata come introduzione al programma:
Perhaps the memory is like a bucket: if you want to cram into it more fruit than it will hold, the fruit is crushed.
Arriva da Se non ora, quando?, e si', la memoria e' come un secchio e dobbiamo stare attenti a cosa mettiamo in quel secchio. Che l'acqua sia sempre pulita, cristallina. Il resto via, via senza rimpianti.
Alexander Balanescu e' uno che ha collaborato un po' con tutti: David Byrne, Peter Greenaway, Gavin Bryars, gli Spiritualized, Kate Bush, i Kraftwerk. Uno che arriva dall'Arditti Quartet, uno che col violino suona, bene, tutto quello che vuole: folk, contemporanea, pop. Uno da seguire, che ti porta in posti che nemmeno te li immagini.
Ieri sera ha fatto tre cose. La prima e' un ritratto in musica dello scultore Maurice Blik, uno che e' stato bambino in un campo di concentramento e che oggi realizza bronzi non troppo diversi da quelli di Brancusi. La musica accompagna un video di Gillian Lacey e ne segue le atmosfere. Si fa dissonante quando vuole evocare l'esperienza del lager e poetica quando la videocamera accarezza le forme delle sculture.
La seconda e' un brano tratto da Luminitza, il disco del ritorno in Romania dopo la caduta del ditattore Ceausescu, e del recupero della tradizione folkloristica di quel Paese. Si intitola Mother e ascoltate in una fredda serata in una chiesa silenziosa e poco illuminata puo' commuovere fino alle lacrime. E' di una dolcezza e di un raccoglimento come solo raramente la musica, la migliore musica, sa essere.
La terza e' una celebrazione della vita, dei piccoli piaceri che rendono la nostra esistenza degna di essere vissuta. Il video che l'accompagna e' il montaggio di una serie di pellicole abbandonate e poi ritrovate dopo molti anni, che ritraggono i ballerini di una compagnia di danza russa in tour in Australia, mentre danzano in costume da bagno su una spiaggia. Immagini ingiallite, che sono il tempo che scivola via, e, penso mentre le vedo scorrere, le memorie cristalline che vogliamo portare con noi, quelle che ci fanno sorridere.
Il concerto finisce e mi fermo a scambiare qualche impressione con Alexander. Ricordiamo il freddo di una sera invernale, quando lui e Gavin Bryars suonarono sul ponte della Turbine Hall e io, come e' successo anche ieri, mi lasciai trasportare dalle loro note senza opporre un'inutile resistenza. Mentre stiamo parlando, si intromette tra di noi la figlia della violista del quartetto, una bambina che avra' sei o sette anni. Congratulazioni, ma ho avuto paura quando ho visto le immagini dei campi di concentramento dice, un po' turbata. Alexander e io la guardiamo e poi rimaniamo silenziosi.
Forse stiamo pensando la stessa cosa: anche noi abbiamo provato il suo stesso, purissimo e nobile, sentimento.
[David Byrne-Balanescu Quartet-Possessed]
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