Buongiorno, notte (Marco Bellocchio, 2003)

Davvero ottima la rassegna che l'Istituto Culturale Francese ha dedicato questa settimana ai film che hanno raccontato gli anni del terrorismo politico.

In particolare, se non l'avete ancora visto, consiglio di cercare il film di Marco Bellocchio ispirato dalla bella autobiografia Il prigioniero, di Anna Laura Braghetti, pubblicata qualche anno fa da Feltrinelli.

La Braghetti era una componente della colonna romana delle Brigate Rosse che rapi' Aldo Moro: a lei era intestato l'appartamento di via Montalcini nel quale il leader democristiano venne tenuto prigioniero e processato. Era lei che, insospettabile bibliotecaria, manteneva i contatti tra i brigatisti che tenevano prigioniero Moro e il mondo esterno.

Il film e' un racconto struggente, diverso dal libro al quale e' liberamente ispirato, ma non meno impressionante. Attraverso documenti d'epoca (interviste, telegiornali, suoni) riviviamo un momento terribile della nostra storia nazionale. E anche della nostra biografia personale: quando Moro fu rapito avevo 12 anni, e l'Italia di allora me la ricordo proprio come quella ricostruita con dovizia di particolari da Bellocchio.

Ripercorriamo i passi di un'illusione romantica, utopica, rivoluzionaria, e il violento ritorno alla realta' che consegui' da quel progetto irrazionale, che di una stagione segno' l'epilogo.

Di quel progetto, Bellocchio e' stato bravo a raccontare lo spirito improvvisativo. Ma a colpire, piu' di ogni altro elemento, e' l'umanita' fragile di quel prigioniero abbandonato. E la sua curiosita', il suo desiderio di capire, le sue domande, che si fanno strada tra momenti di disperazione. La consapevolezza che non lo abbandona, e che viene ribadita nelle lettere sempre piu' sconsolate alle quali affida una speranza di liberazione.

Magistrale l'uso della musica, dei Pink Floyd: Shine on you crazy diamond (la scena immaginaria di Moro che lascia la prigione e cammina libero) e The great gig in the sky (la scena piu' bella del film, nella quale la Braghetti legge una lettera di Moro alla moglie e associa il suo sacrificio a quello dei condannati a morte della Resistenza).

Un racconto bellissimo, vivo, dall'interno: drammatico e partecipato. Storia di sogni finiti male e di trasformazioni dalle quali non vi e' ritorno.

Commenti

auro.m ha detto…
non dimentichiamoci di maya sansa, che in questo film fa faville.

e quei colloqui, tra moro ed il capo dei brigatisti (con il sempre ottimo lo cascio, che nella mia memoria resta legato alla "meglio gioventĆ¹"), dove si amalgamano pensiero politico ed emozioni personali.

grazie
Fabio ha detto…
Grazie a te per aver aggiunto cio' che mancava.

Anche io sono stato immensamente colpito da quei colloqui: dalla confusione ideologica di una parte alla quale si contrapponeva la lucidita' dell'altra.

Lucidita' amplificata proprio dall'abbandono che sembro' vivere come conferma.

E esemplare fu la decisione della famiglia Moro di non dare il cadavere dello statista in pasto alle istituzioni deviate che approfittarono della situazione.

In quel senso ho letto il suo camminare finalmente libero.

Un film meraviglioso, intenso, umano, di profondita' che ci vogliono giorni per afferrare.
lophelia ha detto…
lo vidi quando uscƬ, per ben due volte a breve distanza (per Auro: una delle due volte c'era Maya Sansa in persona a presentarlo). Inspiegabilmente a chi era con me la seconda volta non piacque affatto - forse non tutti digeriscono l'elemento surreale del finale.
Fabio ha detto…
Il fatto che tra i protagonisti ci siano Lo Cascio e la Sansa, avvicina ancora maggiormente il film a La meglio gioventu' di Giordana. Il linguaggio e' molto simile, con l'aggiunta qui di un tocco di surrealismo che tu sottolinei, Lo.

Personalmente, pur essendo un realista assolutamente radicale, incapace di tollerare qualsiasi soluzione narrativa fantastica, il finale l'ho trovato molto appropriato.

Moro, dai colloqui che indicava Auro, emerge dal film come un uomo libero. Prigionieri, di loro stessi, sono i terroristi.

Bellocchio e' stato bravissimo a rendere questa conclusione.

Anche il prossimo post riguardera' un film sul terrorismo: realizzato con linguaggio efficiace ma molto diverso, molto meno poetico.