Da NAZIONE INDIANA:
Come al solito però quello che può apparire un limite può svelarsi una opportunità. Quella di scoprire – quasi con una perseveranza tignosa, dal vago sapore antimoderno, di chi vive in un mondo governato dalla velocità -, anzi, di riscoprire il ritmo, il passo umano.
Come al solito però quello che può apparire un limite può svelarsi una opportunità. Quella di scoprire – quasi con una perseveranza tignosa, dal vago sapore antimoderno, di chi vive in un mondo governato dalla velocità -, anzi, di riscoprire il ritmo, il passo umano.
Siamo animali strani noi. Non veloci, non potenti. Ma costanti. Possiamo camminare, fin dalla notte dei tempi, per giorni. Quattro, cinque chilometri l’ora. Più o meno tutti. L’abbiamo dimenticato, ma è così, dall’alba dei tempi, che abbiamo colonizzato il mondo.
A piedi. E quindi, sì, facciamola pure un po’ di filosofia: non ho la patente non perché bocciato all’esame di guida, ma per scelta. Di vita, potrei dire vagamente tronfio. Scelta che negli anni ha assunto sempre più connotati etici, politici.
Abbiamo dimenticato il paesaggio che ci circonda, l’abbiamo lasciato sullo sfondo, come una cartolina, come un album di fotografie stereotipate e nel frattempo abbiamo permesso lo sciupio del territorio.
Ma in un viaggio, ogni autentico viandante lo sa, quello che conta non è mai la meta, quella magari immortalata dalle Polaroid (o Instagram che sia). È il percorso. Da farsi a piedi. È solo così che si scoprono tesori inattesi.
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