240/ L'algoritmo e la cultura d'uso.



Fino a poco tempo fa, di fronte al dilagare dell'algida, disumanizzante cultura digitale si poteva affermare che in fondo con una buona cultura d'uso ci si poteva ancora difendere.

All'uso smodato degli smartphone per esempio si poteva contrapporre un uso molto limitato, solo per controllare un indirizzo o mandare un messaggio Whatsapp.

Peraltro anche con i social era vero. Potevi anche passare qualche minuto al giorno a vedere le foto degli utenti che seguivi in Instagram. Se ne seguivi una settantina scelti con grande cura, alla fine di ogni giornata ti trovavi nel feed in media un 20 - 30 foto piuttosto belle.

E quindi esercitando un pensiero critico in fase di scelta degli account era anche un bel modo per rilassarsi osservando luoghi e atmosfere piacevoli. Piacevoli anche perchè scelti.

Questa giustificazione, quella dell'esercizio del pensiero critico o se volete della cultura d'uso, oggi non ha più senso.

Se per disgrazia vi capita di entrare ancora qualche volta in Instagram o su un altro social, sarete sottoposti a un palinsesto che non avete scelto, con priorità non determinate da voi ma da un algoritmo i cui parametri vi sono ignoti.

E dunque, non esiste una cultura d'uso dei social se non quella, l'unica possibile, di evitarli e suggerire ai propri amici ad ogni occasione di fare altrettanto.

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