Deutsch Amerikanische freundschaft

Il mio ripasso dei capolavori di Wim Wenders prosegue. L'ultima pellicola che sono andato a rivedere sul grande schermo del Barbican, in lingua originale con sottotitoli, e' stata L'amico americano.

Me lo ricordavo come un film abbastanza pieno di salti narrativi, affatto lineare, e sono uscito anche questa volta un po' con la stessa impressione. Non sento di condividere il giudizio che ne da' David Thompson nel New biographical dictionary of film, dove lo indica come the most vivid film Wenders had yet made. Alice nelle citta' e Nel corso del tempo, girati precedentemente a questo, personalmente li trovo nel complesso piu' originali, di caratura superiore.

Ci sono pero' un paio di elementi che ho trovato ancora una volta straordinari. Il primo sono le ambientazioni: sia le scene girate ad Amburgo che quelle filmate a Parigi sono di una tetraggine noir che conferisce un tono spettrale, gelido, metallico a tutto il film. Respiri gli anni '70, ci finisci proprio dentro.

E il secondo e' la recitazione di Bruno Ganz, quell'emotivita' repressa a fatica, quell'agitarsi nel suo personaggio del dilemma morale di chi e' convinto che la sua vita sara' ancora breve. Come ci cambia tale consapevolezza? Che cosa diventa moralmente ammissibile, mentre prima non lo era? In questo senso, e forse perche' in questi giorni sto molto riflettendo sul tempo e sul suo trascorrere inesorabile, a me e' sembrato, piu' delle altre volte, proprio un film sul tempo. Su come cambia il nostro rapporto con la nostra vita una volta che la consapevolezza della sua finitezza inizia a essere vissuta con un misto di ispirazione e paura.

Il finale, ancora una volta, mi e' sembrato un pochino tirato via, a meno che non mi sia perso ancora una volta qualcosa, ma la scena del pedinamento e dell'omicidio nella metropolitana parigina, con quel senso di ripensamento, dubbio, inesorabilita' che si mischiano nel comportamento del corniciaio diventato killer, merita il suo piccolo posto nella storia del cinema.

Commenti

artemisia ha detto…
Sai che sono d'accordo in tutto? Anche secondo me ne ha fatti di migliori.

Bruno Ganz ĆØ un grandissimo, uno che come attore ĆØ diventato sempre meglio. Recentemente, ne "Il bunker" dove lui interpreta Hitler. Da Oscar.
artemisia ha detto…
... intendevo naturalmente "Der Untergang" di Bernd Eichinger.

ChissĆ  come avranno tradotto il titolo in italiano:"Fine di un ladro di figurine"?
Unknown ha detto…
damn! :( ne sono uscita solo oggi dalla malattia...adesso guardo se e' sempre a l'affiche.
Fabio ha detto…
Arte -

Sai che interpretera' il tuo concittadino Tiziano Terzani nella versione cinematografica di La fine e' il mio inizio?

Mi pare che Der untergang in italiano l'abbiano tradotto Se mi mandi nel lager ti cancello.
Fabio ha detto…
Myriam -

Siamo contenti che tu stia meglio!
Renato ha detto…
Questo film mi manca.
lophelia ha detto…
e del Bruno Ganz di Dans la ville blanche, vogliamo parlarne?
anzi, vogliamo parlare di Alain Tanner? Se ne parla troppo poco, si proietta troppo poco, in dvd non si trova. E' un vero peccato.
Nel 1987 a Berlino vidi Una fiamma nel mio cuore, fu una folgorazione - Fabio scusa l'OT!
Fabio ha detto…
Renato -

Non conosco i tuoi gusti, ma immagino che il post ti dia un'idea di quanto sia un film che ti puo' interessare.

Lophelia -

I tuoi OT non sono mai OT, e i film che segnali non li ho visti, cerchero' di recuperarli. Il secondo mi sembra, dalla trama e soprattutto dalle atmosfere, un film che piu' Lophelia di cosi' e' impossibile :)
alessandro ha detto…
Il Bruno Ganz di "Dans la ville blanche" ĆØ uno dei migliori Ganz (e Tanner) possibili.
E quello ĆØ uno dei piĆ¹ bei film mai girati a (o su) Lisbona: per certi versi ĆØ l'opposto del mediocrissimo "Lisbon Story" in cui il Wenders degli anni novanta torna al bianco e nero in un goffo tentativo di fare il verso al Wenders degli anni settanta, riuscendo solo a confezionare un imbarazzante clippone dei Madredeus e della loro cantante.
Da " Paris Texas" in poi, Wenders diventa talmente banale che per qualche tempo temetti che lo spessore di film come "Alice nelle cittĆ ", "Nel corso del tempo", "Lo stato delle cose" o "L'amico americano" fosse stato un mio abbaglio.
Poi ebbi il coraggio di rivederli (non ne ho quasi nessuno in cassetta o dvd: per qualche ragione non mi paiono film che si possano vedere in tv, come invece Woody Allen e in generale il cinema "di dialoghi") e per fortuna non ne uscii deluso: continuano a essere i miei Wenders preferiti, compreso "L'amico americano" di cui non trovai tirato via nƩ il finale nƩ altre parti (ma forse perchƩ conoscevo a menadito il libro della Highsmith, altra mia preferita).
Di fatto, tra il 1967 e l'82 Wenders non sbaglia un film (non ho mai riletto il Castorocinema che gli dedicĆ² Filippo D'Angelo ma lo conservo gelosamente anche perchĆ© -- pubblicato nell'82 -- arriva giusto a "Lo stato delle cose" e "Hammett"). Dopo, non ne azzecca uno che sia uno: nei casi migliori sembra una parodia -- quella sƬ tirata via -- di Wenders, riuscendo a rendere tronfie, pretestuose e ridicole anche le parole di Handke e a sprecare attori come Bauchau o Ganz, inguardabile come angelo, mentre era (e sarebbe stato) ottimo in buona parte della propria filmografia precedente e successiva, da "La marchesa von..." al "Coltello in testa", da "La donna mancina" a "Pane e tulipani" e persino (quasi) in "Oggetti smarriti" di Giuseppe Bertolucci (certo, anche Ganz ha recitato in qualche filmaccio, come immagino sia quello su Woityla, ma in quei casi piace pensare che l'oggetto smarrito fosse proprio lui, con quell'aria di uno che sta pensando ad altro).
Quanto a Tanner, per qualche motivo il suo "Jonas che avrĆ  vent'anni nel 2000" divenne un film di culto nella Bologna di fine anni settanta: non saprei quantificare l'estensione del culto ma tra i miei amici ben pochi (me compreso) vi si sottrassero. Poi "Gli anni luce" mi parve un po' new age ma "Dans la ville blanche" me lo fece subito rivalutare, assieme a una bella rassegna di quelle che si facevano in quegli anni (in cinemini come l'Angelo azzurro e poi il piĆ¹ ampio Rialto), con tutti i film in pellicola, magari un po' rovinata ma proiettata su uno schermone senza quel velo di vaselina sull'obbiettivo che paiono avere i videoproiettori.
Vidi cosƬ anche tutto il Wenders degli anni sessanta-settanta (dopo averlo scoperto al corso di filmologia del Dams, dove il docente, Gian Vittorio Baldi http://digilander.libero.it/godot61/gvbaldi.htm, ci proiettĆ² in aula "Nel corso del tempo" -- in pellicola -- come una sorta di regalo) e le personali di Tod Browning, Fritz Lang e non so quanti altri, prima che fossero "istituzionalizzate" (giustamente, non dico di no) dal cinema LumiĆØre, gestito dalla cineteca comunale.
Ciao
a
Fabio ha detto…
Quello che mi colpisce molto del tuo commento, al di la' della straordinaria competenza che conosco bene, cosi' come la conoscono gli ascoltatori di Radio Popolare, e' il contesto nel quale hai visto le pellicole delle quali parliamo.

Ricordo i corsi di storia del cinema all'Universita' di Pavia come una delle esperienze piu' anni '70 della mia vita. Eravamo nel pieno degli anni '80, ma ricordo che scendendo le scale dell'aula magna sotterranea mi sembrava di ritornare in pieni anni della contestazione.

Qui a Londra esiste qualcosa di ancora simile, come atmosfera, al cineforum della SOAS (la scuola di studi africani e orientali, parte della University of London), nel cuore di Bloomsbury. Ma gli orari delle proiezioni si adattano poco alla mia vita di lavoratore.

Sono cosi' costretto a sopperire andando in sedi assai piu' istituzionali, ricordando quegli anni con estrema nostalgia.

Entrando nel merito del tuo commento, non sono sicurissimo di condividere il fatto che dopo il 1982 Wenders diventa totalmente banale, ma qui si scende nel terreno del gusto personale.

Paris, Texas, l'omaggio a Ozu Tokio-ga e Il cielo sopra Berlino a me piacquero molto. Mentre trovai mortale Fino alla fine del mondo, e poco degni di nota i film che seguirono.

Sposterei l'asticella dal 1982 al 1990, ma appunto, si tratta di gusti.

Mi hai fatto tornare in mente il Ganz leggero di Pane e tulipani che avevo quasi rimosso, grazie.
alessandro ha detto…
SƬ, in "Pane e tulipani" (forse il film piĆ¹ recente in cui l'ho visto) Ganz ĆØ perfetto per la parte.
Ed ĆØ vero che il punto temporale nel quale porre l'asticella del crollo wendersiano ĆØ questione di gusti, o forse ancor piĆ¹ di generazioni: quando io vidi quei film, sembrava che parlassero proprio a noi e anche di noi, o quanto meno di persone che avremmo potuto conoscere, frequentare. Parevano parte di una comunitĆ  (o per lo meno di un "comune sentire", se mi perdoni l'espressione ritrita) anche quando parlavano di solitudini.
E c'era -- pareva esserci -- una sintonia notevole anche tra la nostra visione del mondo e la loro: non soltanto di Wenders ma di un po' tutto quello che era chiamato "Nuovo cinema tedesco"; per esempio, non ricordo un solo film (men che meno italiano) capace di cogliere certi aspetti di quegli anni meglio di "Germania in autunno".
L'affinitĆ  non si limitava alla politica in senso piĆ¹ o meno stretto. Anche altre cose erano nell'aria e si potevano "respirare assieme". Al Dams -- dove diedi quell'esame di filmologia su "Nel corso del tempo" -- la cattedra d'inglese era di Gianni Celati che, l'anno in cui lo frequentai io, fece il corso su Hammett, Chandler e Highsmith (e ci distribuƬ una dispensa intitolata Tales of Man-Hunting).
Quindi sƬ, anche "il contesto" nel quale vidi quelle pellicole aveva caratteristiche particolari.
Tra l'altro, non ricordo di aver mai visto uno di quei film con un gruppo di amici o assieme a qualcuno e anzi nella nebbia della mia memoria vedo tutti spettatori soli; eppure immagino che sentissero tutti di avere non poche cose in comune in virtĆ¹ della sola scelta di quel film in quel momento, tanto che all'uscita capitava spesso di commentare con uno sconosciuto (o preferibilmente una sconosciuta, che ovviamente ci sarebbe piaciuto fosse una Liza Kreuzer), certi di parlare con una persona interessante.
Tornando a Wenders, "Tokyo-Ga" non mi era dispiaciuto ma da allora non l'ho piĆ¹ rivisto e non so che effetto mi farebbe oggi; del "Cielo sopra Berlino" salvo solamente la musica (e piĆ¹ in generale il lavoro sul suono: pensa alla scena della biblioteca) di un sempre grandissimo JĆ¼rgen Knieper e la fotografia del decisivo Henri Alekan (che -- oltre ad aver fatto meraviglie per Cocteau, Losey, CarnĆ©, Wyler, Dassin, Ruiz, Robbe-Grillet, Straub, Kramer, Gitai e mille altri -- giĆ  aveva firmato per Wenders le luci bellissime dello "Stato delle cose", anche se il direttore della fotografia piĆ¹ classicamente wendersiano resta Robby MĆ¼ller).
Ciao
a
Fabio ha detto…
Capisco bene cosa intendi per "comune sentire": e' quello che cercavo di dire scrivendo "Respiri gli anni '70, ci finisci proprio dentro", nel post. Cosi' come la Nouvelle Vague ha raccontato le spinte libertarie degli anni '60, il Nuovo Cinema Tedesco ha dato voce agli aneliti e alle interpretazioni dell'esistente della generazione successiva.

Restano film legati alla nostra generazione: al Barbican non ho visto molti men che quarantenni: forse un paio per proiezione. Molti spettatori seguono la retrospettiva per conto loro, e si leggono un libro mentre attendono l'inizio dei film. Gli altri sono coppie o gruppi di due amici. A me e' un'atmosfera che piace molto, molto silenziosa prima e dopo le proiezioni: sembra di andare a una lecture piu' che a vedere un film. Certo, senti che non si tratta di nulla di contemporaneo. (Lisa Kreuzer del resto adesso credo si avvii verso la settantina).

Il cielo sopra Berlino lo vado a rivedere dopodomani, fino ad allora sospendo i commenti, poi ti dico come mi sembra rivisto dopo tanti anni (sulla musica del film concordo, non vedo l'ora di rivedere Nick Cave, i Bad Seeds e soprattutto il compianto Rowland Howard in azione).