We are family
Anche per gli standard londinesi, piuttosto alti, per gli appassionati di cinema questo mese di Gennaio e' un paradiso. Sara' che le giornate qui sono cortissime e alle tre e mezza e' gia' buio, che fa troppo freddo per stare fuori mentre al cinema fa un bel calduccio, che i parchi chiudono prima che uno abbia tempo di accorgersi che e' intrappolato dentro, insomma sara' per tutte queste cose che i programmatori delle sale di qualita' si sono dati da fare per non farci mai annoiare.
Anzi, spesso di tratta di correre trafelati per la citta' per non perdere qualcosa e pentirsi per gli anni a venire. Oltre alla retrospettiva dedicata a Wenders dal Barbican, della quale abbiamo parlato e parleremo ancora (vi anticipo solo che ieri pomeriggio sono andato a rivedere Paris, Texas), gemma della stagione e' la rassegna che il British Film Institute sta dedicando a Yasujiro Ozu e alla sua influenza sui registi contemporanei, giapponesi e non. Lunghissima: si estende per due mesi, fino alla fine di Febbraio.
E' nell'ambito di quella rassegna che ho scoperto questo gioiellino intitolato Aruitemo aruitemo, del regista Hirokazu Koreeda, che di Ozu e' considerato il legittimo erede.
Aruitemo aruitemo e' una pellicola di infinita delicata eleganza. Il tema del film e' quell'inestricabile groviglio di naturalissimo affetto e inevitabilissimi conflitti che e' caratteristico della famiglia, di ogni famiglia. In questo senso, e' un film universale, che non puo' non coinvolgerci: e infatti nei titoli di testa e' citato tra gli attori un you, che sta a significare l'impossibilita' di tirarsi fuori, di osservare la storia con eccessivo distacco.
La storia e' molto semplice. Aruitemo aruitemo racconta quasi in tempo reale una breve riunione di famiglia. Il fascino della pellicola sta nell'assoluta normalita' di cio' che vediamo.
L'ho gia' scritto altre volte qui in Engadina Calling: non esiste un'eperienza per me preferibile al cinema che funziona come uno specchio, capace di riflettere la vita reale, di fornirci una prospettiva interessante su noi stessi (e parimenti faccio una gran fatica a comprendere il cinema che e' escapismo, evasione dalla realta': mi distraggo, penso al lavoro, a cosa devo comprare al supermercato quando esco dalla sala, ecc. Insomma tendo a ritornare naturalmente da una dimensione metafisica che sento forzata e innaturale alla realta'. Piacevole o no, e' in quella che siamo destinati a vivere, e che dobbiamo cercare di migliorare quanto ne siamo capaci, magari proprio con gli strumenti che ci vengono forniti dal miglior cinema).
Quelli che scorrono davanti a noi sono i preparativi per il pranzo (la preparazione di sushi e tempura e' filmata cosi' dettagliatamente che pare di assietere a una lezione di cucina giapponese) e poi il pranzo stesso, fatto di dialoghi che progressivamente ci permettono di scoprire antiche ruggini e pregiudizi.
Il finale (che naturalmente non vi racconto), assolutamente meraviglioso, ci ricorda che il tempo su questa Terra e' limitato, e che e' bene sciogliere i conflitti in un caldo e comprensivo abbraccio prima che sia troppo tardi per poterlo ancora fare. Degna conclusione di un film dolce-amaro che resta dentro di noi per molto tempo dopo che i titoli di coda sono terminati di scorrere.
Piccolo capolavoro: vedrete che ne parleranno anche altri.
Anzi, spesso di tratta di correre trafelati per la citta' per non perdere qualcosa e pentirsi per gli anni a venire. Oltre alla retrospettiva dedicata a Wenders dal Barbican, della quale abbiamo parlato e parleremo ancora (vi anticipo solo che ieri pomeriggio sono andato a rivedere Paris, Texas), gemma della stagione e' la rassegna che il British Film Institute sta dedicando a Yasujiro Ozu e alla sua influenza sui registi contemporanei, giapponesi e non. Lunghissima: si estende per due mesi, fino alla fine di Febbraio.
E' nell'ambito di quella rassegna che ho scoperto questo gioiellino intitolato Aruitemo aruitemo, del regista Hirokazu Koreeda, che di Ozu e' considerato il legittimo erede.
Aruitemo aruitemo e' una pellicola di infinita delicata eleganza. Il tema del film e' quell'inestricabile groviglio di naturalissimo affetto e inevitabilissimi conflitti che e' caratteristico della famiglia, di ogni famiglia. In questo senso, e' un film universale, che non puo' non coinvolgerci: e infatti nei titoli di testa e' citato tra gli attori un you, che sta a significare l'impossibilita' di tirarsi fuori, di osservare la storia con eccessivo distacco.
La storia e' molto semplice. Aruitemo aruitemo racconta quasi in tempo reale una breve riunione di famiglia. Il fascino della pellicola sta nell'assoluta normalita' di cio' che vediamo.
L'ho gia' scritto altre volte qui in Engadina Calling: non esiste un'eperienza per me preferibile al cinema che funziona come uno specchio, capace di riflettere la vita reale, di fornirci una prospettiva interessante su noi stessi (e parimenti faccio una gran fatica a comprendere il cinema che e' escapismo, evasione dalla realta': mi distraggo, penso al lavoro, a cosa devo comprare al supermercato quando esco dalla sala, ecc. Insomma tendo a ritornare naturalmente da una dimensione metafisica che sento forzata e innaturale alla realta'. Piacevole o no, e' in quella che siamo destinati a vivere, e che dobbiamo cercare di migliorare quanto ne siamo capaci, magari proprio con gli strumenti che ci vengono forniti dal miglior cinema).
Quelli che scorrono davanti a noi sono i preparativi per il pranzo (la preparazione di sushi e tempura e' filmata cosi' dettagliatamente che pare di assietere a una lezione di cucina giapponese) e poi il pranzo stesso, fatto di dialoghi che progressivamente ci permettono di scoprire antiche ruggini e pregiudizi.
Il finale (che naturalmente non vi racconto), assolutamente meraviglioso, ci ricorda che il tempo su questa Terra e' limitato, e che e' bene sciogliere i conflitti in un caldo e comprensivo abbraccio prima che sia troppo tardi per poterlo ancora fare. Degna conclusione di un film dolce-amaro che resta dentro di noi per molto tempo dopo che i titoli di coda sono terminati di scorrere.
Piccolo capolavoro: vedrete che ne parleranno anche altri.
Commenti
un po' mi sento di far parte della tua famiglia
Sono molto contento che ne parlino in tanti.
Lo -
Infatti per gli esempi da te citati non parlerei affatto di evasione, quanto forse di riflessione (metaforica fin che si vuole) su aspetti della vita che sono difficili da rappresentare in modi piu' concreti. Sempre di vita si tratta pero', no?
"sono contento che tu ti senta un po' parte della mia famiglia"..ed invece, no...un blando commento sulla crescente popolarita' di questo film. Ti diseredo! E domani mi siedo dall'altra parte del tavolo.
Splendido.
Lo davano qui al cinema, come se niente fosse.
"Stiamo dicendo la stessa cosa" :)
Myriamba -
Sono contento che tu ti senta un po' parte della mia famiglia.
Arte -
Notevole l'Anteo di Trondheim!