Radiohead, OK computer (Parlophone, 1997)

The king of limbs mi ha fatto tornare il desiderio di riascoltare l'incubo orwelliano OK computer, un lavoro cosi' visionario che sembra ancora oggi, a quattordici anni dalla sua pubblicazione, arrivare dal futuro, come succede con i racconti di Ballard, i cut-ups di Burroughs, la macchina dei sogni di Gysin.

OK computer non e' il disco dei Radiohead che preferisco, non possiede la genialita' in stile libero di Kid A e Amnesiac ad esempio. Della generazione di quei dischi e' pero' pre-condizione necessaria, per la sua capacita' di condensare il passato della musica inglese (unendo finalmente complessita' prog e minimalismo post-punk, lampi Pink Floyd e oscurita' Joy Division) e prefigurarne un futuro possibile.

OK computer nasce nel bel mezzo di una stagione di autocmpiacimento stagnazione della musica britannica, e quella stagione supera di slancio, mettendone in discussione le auto-celebratorie premesse.

Per realizzare OK computer, i Radiohead compirono una complessa operazione fatta di estremo isolamento (fu registrato in una vecchia casa nella campagna inglese, con pochi contatti con l'esterno, in un'atmosfera di ricerca interiore) e contemporaneamente di immersione totale nelle contraddizioni del mondo (del quale denunciano conservatorismo valoriale e politico, accettazione e conformismo, claustrofobia e incapacita' di reagire per imprimere trasformazioni).

Il suono e' magniloquente, pinkfloydiano, eppure ritmicamente futuribile: chitarristico ma di chitarre che si fanno liquide, immateriali, inafferrabili.

Si possono citare le singole canzoni che lo compongono, il viaggio intestellare progressivo di Paranoid android, la poesia esangue di Exit music (for a film), l'invocazione che compie cerchi concentrici Karma police, le ballate piu' tradizionali eppure in qualche modo spettrali No surprises e The tourist.

Ma ha poco senso perche' OK computer e' un disco da ascoltare, possibilmente concentrati e leggendosi le splendide liriche, tutto d'un fiato, come fosse un concept album di altri tempi. L'agilita' ritmica e l'obliquita' melodica di The king of limbs erano gia' tutte, in nuce, presenti in questi solchi che immaginarono il futuro della musica britannica ed ebbero il coraggio di generare un'onda ancora oggi capace di stupire e sedurre.

Commenti

Tania ha detto…
Son d'accordo, bellissimo disco.
Anonimo ha detto…
Non so. Anche se ci sono diversi pezzi molto belli in "Ok computer", io ho sempre preferito, nel suo complesso, "Hail to the Thief", che contiene dei pezzi davvero trascinanti ("Ehere I end...", "2+2=5", etc.), e nichilistici. Proverò a riascoltare meglio questo. Massimo.
Fabio ha detto…
Tra i dischi di quella che e' considerata la fase piu' sperimentale dei Radiohead, Hail to the thief ha lasciato in me poche tracce, ma provero' a riascoltarlo (come tu hai intenzione di fare con OK computer) dato che lo ricordo molto poco.

Kid A e' quello che ho letteralmente rovinato di ascolti.

Bello che due commenti presentino opinioni cosi' polarizzate, come spesso capita nel caso di dischi molto celebrati.
lophelia ha detto…
perché l'idea di riascoltare i Radiohead mi attira e mi spaventa al tempo stesso?
Fabio ha detto…
Forse perche' appartengono a un passato troppo vicino, che non siamo ancora riusciti a metabolizzare e classificare?

A proposito, hai notato come devono passare circa 20 anni per comprendere un decennio? Altrimenti la distanza in qualche modo non basta.

In parte vale anche per la musica. Pensa a quante persone ora ascoltano la musica degli anni '60, '70, '80 e a quanto quella dei '90 e' andata pressoche' dimenticata - o meglio non si e' ancora classicizzata.

Poi certo, ci possono essere ragioni personali che non conosco.
lophelia ha detto…
nessuna ragione personale, credo tu abbia saputo cogliere benissimo le ragioni. Aggiungerei che per quanto magnifici lo stato d'animo che inducono non è esattamente dei più euforici, e a volte proprio non si ha voglia.
Fabio ha detto…
Verissimo. I Radiohead posseggono la malinconia dei cieli invernali inglesi. Appena il tempo cambia, i loro dischi si ripongono nell'armadio dei cappotti, per rispolverarli ai primi freddi.
Anonimo ha detto…
Kid A e, sopra tutti, Amnesiac, sono a mio parere superiori a OK Computer, che è ancora legato ad una forma più strutturata e classica di canzone (anche se gran parte dei brani erano e restano di altissimo livello). In questo concordo con te, Fabio, nel vedere quest'album (e può sembrare un paradosso) un lavoro di "transizione" tra due fasi sostanzialmente diverse (basti pensare all'uso massivo dell'elettronica da Kid A in poi).
Si tratta di uno di quei lavori che ogni tanto senza rendermi conto cerco nei miei scaffali (disordinati) senza ricordare se lo avevo ascoltato un anno o un giorno prima.
Nicola
Fabio ha detto…
In parte credo che OK computer (che peraltro ho ascoltato anche stasera) sia il lavoro di un gruppo che si accorge di avere a disposizione un vocabolario troppo limitato per le idee che intendeva esprimere, senza sapere (o avere il coraggio di) andare oltre soluzioni ritmiche e melodiche tutto sommato tradizionali.

La svolta di Kid A e Amnesiac (portata poi alle estreme conseguenze minimaliste ed elettroniche sul magnifico The eraser di Thom Yorke) consenti' di individuare una sintassi ritmica e melodica nuova, che diede al messaggio un nuovo, piu' ampio respiro.

Le idee in OK computer appaiono compresse, come una casa che diventa troppo piccola. In questo senso sono d'accordo con te Nicola, e' un lavoro di transizione. E contemporaneamente, misteriosamente e' un disco molto riuscito.