Paolo Fresu, Musica dentro (Feltrinelli, 2009)

Un minuto prima di lasciare Milano alla volta della mia vacanza toscana, mi sono accorto di non avere messo nello zaino nulla da leggere. Cosi' passando a prendere un pezzo di focaccia da mangiare in viaggio, sono entrato al Libraccio e ho preso questo libro.

Che se ne e' rimasto nello zaino per tutta la vacanza, e che ho letto, piu' o meno tutto d'un fiato, solo una volta tornato a Milano.

Paolo Fresu l'ho scoperto solo negli ultimi anni. Ne abbiamo parlato tante volte: la magnifica specificita' culturale italiana l'ho compresa, e ho iniziato ad amarla profondamente, solo andandomene. Prima non la capivo, come non si riesce a vedere cio' che ci e' troppo vicino.

Fresu e' molto apprezzato internazionalmente proprio come esponente di un patrimonio culturale e di valori che sono profondamente nostri ma che, a volte mi viene da pensare, all'estero sono molto piu' apprezzati che da noi.

Ogni nota suonata dal trombettista sardo mi sembra parlare di Mediterraneo. Un nome che, da quando me ne sono andato, mi trasmette sempre i brividi e che evoca un'idea di tempi lenti, buon cibo, familiarita', amichevolezza. Tutti valori che qui in Inghilterra mancano, che ci invidiano.

Il libro di Fresu e' da leggere sentendo la sua musica, naturalmente. Direi il suo disco di quest'anno, quello inciso con il coro corso A Filetta e con il fisarmonicista marchigiano Daniele di Bonaventura, che vi ho proposto a Prospettive Musicali, del quale vi parlai qui, e che non mi stanco mai di riascoltare. Musica che parla il linguaggio del mare, del vento, dei grandi spazi aperti.

Per questo il jazz mi ha cambiato la vita. Perche' mi ha dato modo di respirare attraverso le note la bellezza che c'e' intorno a noi e la speranza che sia possibile con la poesia e la creativita' cambiare cio' che bello non e'.

Potere della musica migliore, quella non compromessa con il mercato, le mode, l'effimero, il momento. Quella che e' linguaggio universale capace di unire geografie, spazi, tempi, esperienze, ricordi. Che accompagna i momenti migliori delle nostre vite, e rende sopportabili e leggeri tutti gli altri.

Commenti

CICCILLO ha detto…
per quello che ho potuto vedere e sentire Fresu ĆØ un caso molto originale ma piĆ¹ come persona che come musicista.
e dico persona e non personaggio perchĆ© nel suo caso le due cose coincidono e quello che si vede ĆØ esattamente quello che ĆØ.
questo, io credo, ĆØ il suo valore e va al di lĆ  della sua musica che percorre solamente, anche se in un modo straordinariamente affascinante, sentieri e linguaggi battuti e strabattuti.
ĆØ interessante quello che ha fatto come operatore culturale, in Sardegna e altrove, e forse se esistesse un Lula italiano lui potrebbe essere il suo Gilberto Gil.
peccato che quest'ultima ipotesi sia solo una fantasia ma meglio per lui che in un caso del genere finirebbe solo per farsi dei nemici, cosa che miracolosamente fino ad ora non ĆØ accaduta, nemmeno in fondo fra quelli che mal sopportano il suo essere uno dei dieci o quindici soliti che suonano dappertutto, essendo parte di quello che potrebbe definirsi, non in senso stilistico ma culturale, il "mainstream" jazzistico italiano.
Fabio ha detto…
E' l'impressione di Fresu che mi sono fatto anch'io, dopo aver letto la sua autobiografia.

E' certamente mainstream, come dici. Pero' ti dico una risoluzione fatta quando ho iniziato ad ascoltare jazz, musica classica, musiche del mondo, insomma musiche diverse dalla musica rock con la quale ho trascorso la maggior parte della mia vita.

Ho deciso che la musica e' meglio sentirla senza saperne troppo, senza leggere pile di riviste e recensioni. Perche' mi sono reso conto anche che i miei ascolti di musica rock erano filtrati da tutta una serie di costrutti mentali che mi impedivano, alla fine, di sentire davvero la musica.

Per cui, in particolare con la musica jazz, sto cercando di non ricadere nello stesso errore, quello di costruire partizioni di matrice critica.

Ascolto in modo disordinato ma partecipato, tenendo i preconcetti fuori dalla porta, o almeno provandoci.

Quelli stessi preconcetti che, alla fine, mi hanno alienato dalla musica rock, spingendomi a guardare altrove.