Nirvana, Nevermind deluxe edition (Geffen, 2011)


- Tocca a me? Vorrei un etto di gorgonzola.

- Ecco qua. Basta cosi'?

- No, mi dia anche 4 etti di crosta.

Commenti

ivan ha detto…
(dalle nostre parti il gorgonzola è comunemente detto -formaggio verde-)
Fabio ha detto…
Parlare di gorgonzola in Engadina, in effetti...

Se ti va di parlarne, quanti quintupli prevedi di vendere o hai gia' venduto?

E quanti doppi?

E tieni ancora in negozio l'edizione singola?

Ripeto Ivan: solo se ti va di parlarne, io conoscevo un negoziante di dischi che queste cose non le diceva.

E quando tempo fa parlai con Micro del numero di dischi che vende Spin-go, divisi per generi, etichette, ecc., mi pare mi abbia detto che se avessi scritto anche una sola cifra qui nel blog mi avrebbe tagliato personalmente la mano destra.

Quindi rispondi solo se ti senti.
ivan ha detto…
allora, premetto subito che il mio è un (piccolo) negozio un po' 'particolare' nel senso che mi permetto di tenere per la maggior parte cose che voglio vendere, ovviamente devo pur tenere cose che presumo mi possano chiedere, lavoro in realtà molto più diciamo sul venduto (sui dischi che cercano e non trovano e sui dischi che consiglio ai miei clienti alcuni dei quali di trentennale conoscenza...), di solito tengo l'edizione singola, magari ora prenderò la delusso, della quintupla ho un paio di prenotazioni...
Fabio ha detto…
Pero' che tristezza vedere queste nuove generazioni che mangiano di gusto gli avanzi che noi abbiamo lasciato nel piatto.

E ne vogliono ancora. Immagino che per il trentennio uscira' la versione decupla, che conterra' tra l'altro inedite registrazioni di Grohl che canta sotto la doccia e una rara fotografia di Novoselic che butta la spazzatura.

E Mojo Necrolojo approvera' ancora una volta, 5 stelle e via, come quando ne dava 4 o 5 a ciofeche senili di REM e U2, sul nome (mi domando se quei dischi dopo averli recensiti si sono preoccupati di sentirli ancora una volta).

Mi domando: che bisogno c'e' di rovinare ricordi cosi' belli? Perche' spiegare i trucchi del prestigiatore? Perche' non lasciarci ricordare quella magia cosi' com'era, senza inquinarla con scarti e frattaglie?

E poi guardo la copertina, cosi' profetica...
Anonimo ha detto…
tu chiamal, se vuoi, Retromania...

xoxo

JC
Fabio ha detto…
Non so JC. Mi viene piu' spontaneo chiamarla necrofilia, una veglia funebre collettiva a quel cadavere sempre piu' maleodorante che e' la buonanima della musica rock.

Guarda, io mi sono domandato molte volte cosa mi abbia attratto, in tenera eta' verso la musica (invece che verso l'enigmistica, la pesca al luccio, la raccolta di francobolli di San Marino, ecc.).

E ne ho concluso che fu lo spirito di ricerca che la musica, allora sapeva esprimere.

Leggere Rockerilla era un'esperienza di scoperta che non so nemmeno definire. Ogni mese saltavano fuori meraviglie, come da un forziere senza fondo.

E non erano meraviglie del passato: accadevano nel presente, ora.

Oggi, sentire musica rock mi sembra come guardare un amico che sta morendo dissanguato, circondato da vampiri. Non potendo aiutarlo, mi ritraggo, inorridito.

Di chi e' la responsabilita'? Solo delle agonizzanti case discografiche?

No, non solo secondo me. Una parte non secondaria di responsabilita' secondo me l'ha la stampa rock mainstream (Uncut, Mojo), arroccata su una deriva conservatrice che e', esattamente, al polo opposto rispetto alla ricerca che fu caratteristica principale del piacere di leggere tutti i mesi Rockerilla.

Saranno anche riviste ben scritte, come mi faceva notare qualche tempo fa l'ottimo Carlo Massarini, ma l'attitudine genuflessa e retrograda che portano avanti riesce davvero a farmi perdere la pazienza.
Fabio ha detto…
E questo, che ha appena diffuso in rete il mio caporedattore Claudio Agostoni, e' un altro fantastico esempio di un'attitudine che e' andata perduta, disintegrata dalle leggi del mercato, dalle versioni quintuple, dalla ristampa della ristampa della ristampa:

http://www.youtube.com/watch?v=cGyIQnnJdBM.
Anonimo ha detto…
concordo sull'agonia ma non del tutto. Nel senso che la spinta all'innovazione è oramai esaurita ovunque, sennò perche ascolteresti madrigali del '600 cavandone un piacere immenso? La mia teoria è che questo atteggiamento cannibalistico-necrofilo è frutto di una serie di cause che sono frutto della modernità squallida in cui viviamo: frammentarietà estrema della produzione e del consumo (con la morte del concetto di "disco Evento" che sancisce le epoche); ne deriva un'impossibilità a tracciare ipotesi di futuro che spaventano chiunque; succede allora che l'arte si rifugia in ciò che meglio conosce, IN TEORIA per dare risposte, IN REALTA' per cercare conforto. Inoltre, la facilità con cui si fanno dischi crea una marea montante di roba inutile nella quale devi faticare come un animale per cercare qualcosa di buono, che peraltro esce. Vero che le case discografiche - che alla canna del gas ci si sono messe in gran parte da sole - hanno le loro belle responsabilità, e idem certa stampa che, lo ripeto, adora farsi confortare e consolare più di quanto non voglia ammettere...

è un gran casino sotto il cielo, ma - smentendo Mao Zedong - la situazione NON è ottimale.

xoxo

JC

p.s.: dischi più ascoltati di recente: Badfinger, Anna Calvi, PJ Harvey, Walkabouts, Aamon Duul, Prince Far I.
Fabio ha detto…
Hai colto in pieno, come sempre.

E' proprio come dici, quello che personalmente mi disturba e' questo cercare conforto, rassicurazione. Che genera chiusura, arroccamento nel gia' detto e gia' sentito. Over and over and over, in una giostra che continua a girare e a riportarti al punto di partenza.

Ed e' per questo che, infatti, trovo un piacere enorme nell'ascolto dei madrigali del '600 (oltre che per il fatto che li trovo emotivamente devastanti).

Perche' permettono, quasi paradossalmente, di ricreare la magia del punk. Quel senso di uscita dagli schemi, di esplorazione di qualcosa che (soggettivamente) e' completamente nuovo.

Che non da' consolazione, che non rassicura.

Tutt'altro: provoca, costringe a fare un piccolo (o grande: dipende) sforzo.

Ci porta fuori dalla nostra comfort zone, che e' il regalo piu' grande che le arti possono portarci, per salvare le nostre vite.
Anonimo ha detto…
il paradosso incarnato dal fatto ceh trattasi di musica che viene dal passato. cioè, il domani lo troviamo dentro uno ieri così ieri da essere inimmaginabile. Così, anche la nostalgia di qualcosa che non abbiamo vissuto (i '60, il punk, whatever...) non può mettersi in atto. Troppo remoto il referente temporale; resta comunque una forma "sana" di abbeverarsi al passato, lontana dalla coazione a ripetere che dici tu, Fabio. Faccenda comunque complessa, eh.

xoxo

JC
Fabio ha detto…
La "frammentarietà estrema della produzione e del consumo (con la morte del concetto di disco Evento che sancisce le epoche)" che citi, e' massivamente amplificata proprio dal fenomeno del file sharing, che ha reso il consumo rapidissimo.

Non puo' esistere il disco evento, nel momento in cui il disco non esiste piu'.

E quindi si ricorre ai dischi evento del passato, gonfiandoli con ogni estrogeno e anabolizzante possibile (come certi pupazzoni da palestra di periferia che non hanno nemmeno piu' la forma di esseri umani).

La nostalgia e' spesso, nella musica come nella vita, uno spreco energetico. Io sono dell'idea che si debba sempre cercare di evolversi.

Sto parlando di tempo soggettivo naturalmente. Per me, ad esempio, gli anni '90 sono dietro le spalle, perche' li ho vissuti. Riviverli che senso avrebbe?

Ascoltare musica rinascimentale, invece, e' un po' paradossalmente vivere in pieno nel presente: una scoperta di quest'anno, di adesso.

Troppo remoto e' il referente temporale, come osservi, perche' si possa parlare di nostalgia (nostalgia di cosa?).
Anonimo ha detto…
di qualcosa che non si è vissuto.
Quindi non è un anelito "retro" in senso stretto. Sarebbe "retro" rimpiangere il 1991 o il 1987, o pre altre persone il '77 o il '68.
Oggettivamente, come si può rimpiangere, che so, il 1677 ?

JC
Fabio ha detto…
Nessun rimpianto, nessun desiderio di tornare al passato. Il piacere di conoscerlo, piuttosto, e di condividerlo. Qui e ora.
prospettive musicali ha detto…
Non tutte le edizioni deluxe sono inutili: è vero, per lo più raccattano scarti, false partenze e semilavorati e li buttano dentro per allungare la sbobba ma in alcuni casi recuperano invece materiali di un qualche interesse.
Per esempio: il dvd allegato all'edizione deluxe di "Electric Ladyland" di Hendrix è piuttosto ben fatto. Oppure l'edizione deluxe di "Cut " delle Slits può essere interessante per capire dai demo come fossero i brani prima del trattamento di Dennis Bovell, scoprendo così che erano sì più rozzi ma molto meno di quanto ci si sarebbe potuto aspettare.
A volte non è neppure necessaria un'edizione deluxe (l'inedito di Kevin Ayers con Syd Barrett è per esempio un normale bonus track della normale ed economicissima ristampa Emi di "Joy of a Toy", che forse è addirittura tra quelle in vendita in questi giorni a 5 euro) ma ho letto da qualche parte che le edizioni deluxe sono quelle che ancora riescono a vendere qualcosa, perché il cofanetto, le fotografie di Novoselic che butta la spazzatura, le testimonianze e tutto li resto concorrono a formare un prodotto difficilmente replicabile in versione download.
Ciao
a
Fabio ha detto…
La domanda che mi pongo pero' e': mi interessa davvero possedere i demo di Cut, o al limite mi basta sentirli una volta in streaming giusto per farmi un'idea?

Facciamo l'esempio di un film, prendi, che so, Taxi Driver. Sono sicuro che nell'archivio personale di Scorsese ci sono decine di versioni di scene che poi non sono state incluse nel film. Ad esempio spezzoni nei quali De Niro, facendo una prova, sbaglia una battuta, ecc.

Tra i compiti del regista di un film c'e' quello di scegliere le versioni delle scene venute meglio, e realizzare un prodotto finito nel quale e' stato fatto l'editing migliore possibile.

Il film che desidero vedere e' quello.

Siamo sicuri che vedere le scene sbagliate, o versioni prova, non rovini il piacere di rivedere il film?

Siamo sicuri che conoscere i trucchi del prestigiatore non rovini lo spettacolo, qualora lo volessi rivedere?

Questo in primis.

Secondariamente, se anche mi fossi risposto che voglio conoscere i demo pre-produzione e le scene prova (cosa che per me non e'), sono sicuro che non le vorrei possedere. Mi fa piacere, invece, possedere la versione che gli artisti e la produzione hanno considerato la migliore possibile (anche perche' le cosiddette edizioni deluxe che ho avuto la sventura di comprare dimostrano che e' cosi': la versione che e' stata venduta all'epoca era assai migliore rispetto agli scarti poi inseriti per allungare il brodo).

Ho appena letto che il 31 ottobre uscira' una versione fermaporte decupla di Achtung baby, album che nel 1991 usci' come singolo.

Ecco, spero di non sentirla mai.
prospettive musicali ha detto…
Al di là del fatto che adesso mettono spesso anche in coda ai dvd un po' di scene scartate, sono d'accordo con te: mi fa piacere avere la versione che gli artisti e il produttore hanno considerato la migliore possibile o comunque quella pubblicata all'epoca, perché comunque è quella ad aver influenzato altri artisti, a essere stata recensita, ad aver suscitato pareri positivi o negativi, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Può capitare che quella pubblicata non fosse la versione che gli artisti avevano giudicato la migliore: per esempio perché la migliore era troppo lunga per un ellepì e la casa discgrafica non voleva un doppio, oppure perché la casa discografica censurò o eliminò qualche brano per motivi commerciali, politici o di altro genere.
A volte è l'intero disco a essere stato stravolto (pensa a "Extraordinary Machine" di Fiona Apple, prodotto da Jon Brion e rifiutato dalla Epic che lo trovava poco commerciale e per pubblicarlo lo fece produrre ex novo da Mike Elizondo) ma più spesso -- soprattutto nei casi di censura -- è solo un brano o pochi brani: per esempio capitò più volte a Zappa e prima ancora a Mingus, che aveva scritto Fables of Faubus con un testo tagliente contro il governatore dell'Arkansas, dopo che questi mandò la guardia nazionale a impedire l'iscrizione di nove adolescenti neri alla Little Rock Central High School. La Columbia non consentì a Mingus di incidere quel testo e così wu "Ah Um" (1959) il brano apparve in versione strumentale (la versione cantata uscì in seguito su "Charles Mingus Presents Charles Mingus", per l'indipendente Candid).
Ecco, a me edizioni più o meno deluxe di "Extraordinary Machine" e "Mingus Ah Um" contenenti sia la versione pubblicata sia il "director's cut" non dispiacerebbero.
Invece, come giustamente dici tu, la maggior parte delle edizione deluxe è realizzata aggiungendo chili di fuffa all'originale.
E nel jazz è peggio che nel rock, giacché nel rock esiste quanto meno l'idea dell'album come una sorta di unità indivisibile, di opera organica, e quindi mettono in genere l'album "storico" nella sua versione originaria, eventualmente rimixata o rimasterizzata ma senza nulla che inframmezzi o interrompa la sequenza dei brani; e solamente dopo l'ultimo brano o in uno o più cd aggiuntivi mettono tutte le versioni scartate, incomplete, sbagliate ecc. ecc.: ok, il più delle volte sono inutili ma non arrivano quasi mai a fare come nel jazz, dove spesso trovi le alternate takes inserite tra i brani dell'album originario, anche alterandone la sequenza pur di farti sentire quattro volte di seguito uno stesso brano ma con assoli diversi, false partenze ecc. (mi viene in mente "The Complete 1957 Riverside Recordings" di Monk & Coltrane: nel primo dei due cd ci sono tra l'altro tre versioni di Crepuscule with Nellie, seguite da una di Blues for Tomorrw e da altre due di Crepuscule with Nellie: ma perché? Qual è il criterio? Poi, certo, jazzisti come Monk e Coltrane ogni volta che affrontavano uno stesso brano facevano, anche in studio, un assolo diverso o cambiavano il ritmo o altre caratteristiche e quindi può avere un senso pubblicare più versioni, anche se incise in una stessa seduta, ma perché organizzare in quel modo la sequenza sul disco?).
Ciao
a
Fabio ha detto…
Ecco, l'unica eccezione e' proprio quando l'opera come e' stata concepita dall'artista e dal suo produttore ha incontrato il veto della casa discografica.

Un esempio che mi viene in mente e' quello di Catch a fire, che usci' per il mercato americano in versione diversa (piu' riccamente arrangiata) rispetto a quella originale giamaicana. Si dovette attendere qualcosa come 25 anni prima che la Island decidesse di farci sentire com'era l'originale. Che io tutto sommato preferisco.

Pero' appunto stiamo parlando di casi un po' limite, che nulla hanno a che fare con la regola di mercato di questi anni. Che e' quella di allungare una bottiglia di Bordeaux di un'annata eccezionale con 4 cartoni di Tavernello.