Scrivere.



Se c'e' qualcosa che e' cambiato in questi anni e' stato per me imparare a amare la musica delle parole. Una frase costruita con cura ha sempre un bel suono.

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"Outside the Downs had disappeared, obliterated by a swelling wall of thunderheads. The cloud was growing as I watched, banking up into headwalls and cornices and deep ice-blue gullies. It looked like the aftermath of an explosion, like the world beyond the hills had been bombed to smithereens. But that’s how we go, is it not, between nothing and nothing, along this strip of life, where the ragworts nod in the repeating breeze?

Like a little strip of pavement above an abyss, Virginia Woolf once said. And if she’s right, then the only home we’ll ever have is here. This is it, this spoiled earth. We crossed the river then and pulled away, and in the empty fields the lark still spilled its praise".

E' un frammento tratto da To the river di Olivia Laing, che stasera leggevo a voce alta a me stesso. 

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Chi scrive bene, ti fa venire voglia di leggere i suoi libri a voce alta. Cosa che peraltro la Gio' e io facciamo spesso, alternandoci alla lettura anche in luoghi e mezzi pubblici. Le letture di Gio' alla radio le scegliamo e le proviamo di solito nel lungo tratto che facciamo sul tram 14 da Porta Genova a Via McMahon. 

Leggevo qualche tempo fa che se scrivi male perche' tutti nel tuo ambiente scrivono cosi', dovresti cambiare ambiente. Chi parla male pensa male, mi pare dicesse in un suo film Nanni Moretti. E chi scrive male mi da' sempre l'impressione che viva male, con sciattezza, senza prestare attenzione, senza la capacita' e la volonta' di analizzare le proprie emozioni. 

Prima che mi diagnosticassero i problemi di salute mentale dei quali ho sofferto nella prima parte di quest'anno, conseguenti a una situazione molto difficile al lavoro perche' per fortuna la mia vita personale e' al contrario molto serena e in equilibrio, mi svegliavo di soprassalto di notte. E allora mi alzavo e iniziavo a scrivere, per un'ora o anche un'ora e mezza che volavano. Ho scritto tantissime riflessioni, che rilette a distanza di mesi mi sembrano profonde e bellissime, come se non le avessi nemmeno scritte io.

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La scrittura salva. La scrittura ci fa capire tante cose di noi e del mondo, se solo le dedichiamo tempo e attenzione ogni giorno.

Evitiamo il fracasso dei social media. Scriviamo per noi stessi. Pagine bianche da riempire di osservazioni e riflessioni da rileggere quando ci va. E magari, se ci sentiamo, ogni tanto annotiamo qualche pensiero anche su un blog, per chi passa di qui e senza chiedere nulla in cambio.

Commenti

Anonimo ha detto…
Scrivere come un esercizio di meditazione dove il cuore e il sƩ profondo trovano contatto diretto con il corpo e la mano che scrive, senza filtri... In questi ultimi anni ho perso questo impulso, le tue parole mi stanno spronando. Grazie
Grazia
Fabio ha detto…
Non credo esista un modo per entrare in contatto con noi stessi in modo profondo quanto scrivere, cercando con cura le parole che esprimono meglio quello che sentiamo.

Buona scrittura, Grazia :)
CICCILLO ha detto…
mi capita ogni tanto di rileggere miei commenti su questo blog, commenti di tanti anni fa, a volte lunghe discussioni piuttosto articolate fatte con te e/o Alessandro.
e mi stupisco io stesso nel rileggermi, ĆØ come se non mi riconoscessi.
ma non tanto nelle argomentazioni quanto nell'argomentare che quello di adesso al confronto mi pare senza piĆ¹ energie, come frutto di una stanchezza infinita.
e allo stesso tempo rileggendo parole di grandi scrittori e pensatori che mai hanno avuto a che fare con questo mezzo (di recente Primo Levi, anche la sua famosa intervista con Roth) mi rendo conto di quanto il pc sia penetrato nel nostro pensiero, forse alterandone anche il funzionamento e soprattutto privandoci dell'esperienza reale (o riducendo gli spazi di essa) e togliendoci il senso piĆ¹ pieno di essa che piĆ¹ che l'"altruismo" di cui tu parli in un post precedente io continuo a intendere come "relazione", cioĆØ l'unico luogo in cui mi pare di esistere, a dispetto pure della stanchezza e della disillusione.
in questo senso, anche se in passato l'ho fatto, scrivere sul moleskine non mi appaga piĆ¹.
preferisco un qualsiasi momento di relazione, con gli allievi, gli amici, gli amori, persino con mia madre affetta da demenza e che sta scomparendo a poco a poco.
anzi ĆØ proprio con lei che ho capito come la "relazione" sia possibile anche senza le parole o con pochissime parole.
ĆØ una fiamma che tiene vivo anche chi non si ricorda nemmeno piĆ¹ chi sei.
Fabio ha detto…
Grazie come sempre Francesco per i tuoi commenti che sono sempre ricchi di spunti.

Non sono sicuro che la relazione con noi stessi e quella con gli altri siano contrapposte. Anzi, in genere quando riesco a instaurare una buona relazione con me (anche riflettendo in forma scritta) migliorano le mie relazioni con gli altri.

Forse non sono tanto d'accordo con la tua affermazione che la relazione con altri sia l'unico luogo nel quale ci sentiamo vivi. Oggi ho camminato in compagnia dei miei pensieri da Marylebone a Primrose Hill. Il cielo era azzurro punteggiato da nuvole come batuffoli di cotone. La temperatura era gradevole. Arrivato in cima alla collina mi sono messo a leggere un po'. Avevo un invito per andare a cena con amici, ma ho pensato che avevo in realta' bisogno di tempo per me.

Si tratta di trovare equilibri che vanno bene per noi. Sapendo che un centro di gravita' permanente non esiste quando si parla di relazioni.

Dopodiche' abbiamo gia' discusso a fondo del fatto che le relazioni o hanno un certo livello di profondita' oppure non le trovo interessanti. La mia analista quando le racconto questa cosa ride sempre un po' ma fa parte credo della relazione analitica non spiegarmi cosa quelle risatine sottintendano. Un giorno forse lo scopriro' :)

CICCILLO ha detto…
probabilmente viviamo due situazioni opposte. tu bisognoso di solitudine, io di relazione.
ma siamo entrambi (e come tanti altri che spesso nemmeno se ne accorgono) disequilibrati rispetto al mondo in cui viviamo, come sottolinei molto acutamente nel post successivo a questo.
difficile trovare una soluzione che tenga insieme le necessitĆ  introspettive e quelle relazionali, tanto quanto far quadrare i conti fra le necessitĆ  di silenzio, aria pulita e cibi sani con equitĆ  di accesso economico a queste cose, senza contare le opportunitĆ  offerte dalla vita urbana, a qualcosa tutti dovremmo rinunciare, io credo.

piuttosto la domanda che mi sorge spontanea ĆØ simile a quella che mi faccio spesso a proposito della musica: ha senso una musica che nessuno ascolta?
e allo stesso modo ha senso scrivere cose che nessuno legge?

anche nella psicoterapia io ho avuto un percorso opposto, a me ĆØ servita proprio per ridare valore alla relazione, a cominciare da quella che nasce nel rapporto fra insegnante e allievo.

"les deux versants se regardent....." (sto ascoltando la tua puntata del 6 maggio...)
Fabio ha detto…
Sono gia' stato bacchettato a dovere per la mia pronuncia francese di quel titolo :) Disco molto bello davvero, nella sua enorme complessita' della quale non si vede mai il fondo anche dopo tanti ascolti attenti.

Si', ha senso scrivere cose che nessuno legge, perche' a volte e' essenziale fissare sulla carta i propri pensieri e poi guardarli negli occhi. Si capiscono tante cose che non saprei come capire altrimenti.

Sulla musica non so dire, dato che non suono alcuno strumento.

Non vorrei pero' essere frainteso. Con la mia psicoterapeuta parliamo spesso di hygge, che e' un'espressione appartenente alla sua lingua madre e ormai almeno qui un po' di moda. Nello stile di vita hygge (per altri aspetti criticabile, ma cerchiamo di concentrarci su quelli positivi) la relazione va certamente ricercata. Ma si tratta di una relazione umana calda e profonda, che prevede piccoli gruppi. Spesso una diade. Come quella di una coppia o quella tra insegnante e un allievo, che citi.

Negli anni (diciamo gli ultimi 10) ho scoperto il potere del numero 2. E' un numero che mi fa stare bene, all'interno del quale e' facile negoziare spazi di uguaglianza se entrambi i partecipanti alla diade affrontano la relazione con disponibilita'.

Ognuno di noi poi trova il proprio equilibrio. Per esempio nei miei fine settimana londinesi proteggo un giorno che tengo tutto per me, quando riesco. Passeggio, vado a vedere mostre e film, leggo. Faccio un piano della giornata e poi improvviso cambiandolo a seconda di quello che mi va in quel momento.

Poi pero' uno dei due giorni cerco di dedicarlo alla socialita'.

Da quell'equilibrio nasce lo stare bene: con se stessi e con gli altri.

Poi guarda, non riesci sempre a trovarlo quell'equilibrio perfetto. Ma se diventi consapevole, poi in qualche modo la proporzione giusta riesci a raggiungerla. Magari, cosa che per me e' stata difficilissima da imparare, qualche volta facendo una proposta alternativa che protegga i miei spazi senza perdere i contatti.

Sul post successivo: sto finendo il libro, la cui tesi discutevo oggi con un amico e siamo giunti alla tua stessa conclusione: si tratta di negoziare con noi stessi rinunce.

Pero' a me la situazione lavorativa complessa di quest'inverno, che mi ha lasciato con le ossa rotte, ha fatto molto riflettere. Oggi vedo la mia vita con molta piu' chiarezza. E dato che non mi piace un gran che, sto seriamente pensando di ribaltare il tavolo, lasciando il lavoro che mi sta dando solo preoccupazioni e peso.

Il che implicherebbe parecchie rinunce, ma anche una rinnovata liberta' e immagino nuove scoperte.