98/ Molti di noi, noi, la mia famiglia, io, tutti.



1) Molti di noi.

In questi giorni, molti di noi si stanno confrontando con la solitudine.

E' una delle cifre caratteristiche di questa malattia terribile. I pazienti sono isolati. Dai loro famigliari, dai loro affetti, dal mondo come lo conoscevano.

Alcuni sono stati mandati in terapia intensiva all'estero. Pensateci per un momento. Trasportati a Colonia. A Norimberga. Dove non erano mai stati. Mentre sono piu' fragili. Su aerei militari. A centinaia di chilometri da tutti i legami, senza sapere dove sono. Una solitudine immensa.

Poi c'e' la nostra, di solitudine. Tante piccole storie di lontananza da chi amiamo.


2) Noi.

La Gio' e io abbiamo passato la seconda parte di gennaio a Londra e la prima di febbraio a Milano, insieme. Poi ci aspettava un periodo di lavoro lontani. La Gio' sarebbe rimasta a Milano e io dovevo ripartire per Londra, per starci poco meno di 4 settimane.

Questa volta non ti faccio partire, ha iniziato a dire la Gio' quando mancavano pochi giorni. Non e' la prima volta che lo dice, ma questa volta lo diceva con piu' convinzione perche' nelle nostre previsioni Londra era molto piu' pericolosa di Milano.

Immaginavamo Londra infetta e la nostra Milano un porto sicuro dove eventualmente tornare. E' cosi' nelle nostre fantasie, no? Abbiamo tutti un luogo che ci offre protezione, nel cui abbraccio non ci puo' succedere niente di brutto. Per noi quel luogo e' Milano.

Poi invece e' andata come sappiamo. Le famose misure di contenimento ci hanno colti lontani.


3) La mia famiglia,

Nello stesso periodo, la mia mamma e' stata dimessa in fretta dal centro di riabilitazione dove stava ricominciando a camminare dopo l'operazione al femore.

Prima ci sono stati giorni di telefonate frenetiche per capire che stava succedendo. Medici che non rispondevano, direttrice sanitaria che rifiutava di dare informazioni al telefono, infermieri consapevoli che se avessero parlato si sarebbero messi in guai seri. Insomma, il virus era arrivato.

Nessun test, nonostante la mia accorata richiesta. E quindi il ritorno a casa dal mio babbo, che e' stato problematico come sono tutte le quarantene in un appartamento condiviso. Ne conosciamo tutti di storie cosi'. Ieri la quarantena e' finita. Sospiro di sollievo, enorme.


4) Io.

E io intanto sono rimasto bloccato qui. La Farnesina tiene aperto un collegamento Alitalia su Roma. Arriva a mezzanotte. Una volta atterrato, dopo avere affrontato un viaggio durante il quale potresti esporti al contagio, sei li' da solo. Non una grande prospettiva. Cosi' ho deciso di non rischiare.

La solitudine fisica aumenta la paura. Te la devi cavare da solo, qualsiasi cosa succeda. Devi fare un piano mentale.

Se mi viene la febbre cosa faccio. Se non posso uscire a fare la spesa cosa faccio. Se si rompe qualcosa in casa e mi serve un tecnico lo chiamo o no e chi chiamo. E' successo ieri con la caldaia. Poi e' ripartita, ma ci sono volute un bel po' di carezze e parole dolci per convincerla.

E poi. Se succede qualcosa ai miei genitori. E avranno la spesa. E come faranno ora che le visite di routine per le loro patologie le hanno dovute rimandare.

Problemi pratici per i quali devi preparare una soluzione mentre una parte della mente si affanna a dire all'altra che andra' tutto bene.

E poi le strategie quotidiane di sopravvivenza, che per me sono fatte di due componenti entrambe necessarie.

Le telefonate, tantissime e molto lunghe. Alla Gio', alla mia famiglia, agli altri expat, ai miei amici che stanno in Italia. Prima domanda sempre la stessa, hai in casa un po' di spesa?

E poi la ricerca di bellezza per farsi travolgere e non pensare per un'ora.

La musica. Che in questi giorni e' Satie, Schubert, Coltrane, la Sagra della Primavera per ricordarci cosa sta succedendo la' fuori, Debussy, la collezione ECM, Chopin, Automatic for the people, Silvestrov, Perotin, Ghosteen, Gesualdo.

I documentari di arte e storia contemporanea.

I libri, quando riesco a leggere senza trasalire ogni volta che i personaggi escono, la mascherina!, i guanti!, si deve stare a casa!, e addirittura si abbracciano. 

Se cerco notizie su Milano so che le foto mostreranno la mia casa o almeno la mia via o il ponte davanti al portone. E che restero' a guardarli per interi minuti domandandomi perche' non sono rimasto li'.


5) Tutti.

E poi ci sono queste domande che tutti ci stiamo facendo. Sulla solitudine che misteriosamente aumenta senza aumentare davvero.

Certo, cresce il desiderio di incontrarsi. E pero' intanto il dialogo a distanza si approfondisce. Aumenta l'empatia reciproca. Sentiamo che sentiamo insieme.

Guardate che non capita in condizioni normali. Ognuno di solito ha i suoi problemi. C'e' quello che perde il lavoro, quello che sta cercando una casa piu' grande, quello che torna in Italia. Adesso tutti pensano alla stessa cosa. Come stanno le persone a noi care. Come sopravvivere senza ammalarsi.


6) Noi (ripresa).

E quindi. Non so se e' proprio la stessa cosa per voi. Ma questo distanziamento sociale mi sta facendo sentire molto meno isolato di quanto potessi immaginare. Forse perche' da solo con me stesso sono abituato a starci comunque tanto e non mi e' mai pesato.

Certo se si fa eccezione per chi mi manca ogni giorno di piu'. Perche' sa sempre farmi sentire che andra' tutto bene. E nel cui abbraccio, e questa volta davvero, niente di brutto potra' mai succedere.

Commenti

Claudia ha detto…
Ecco, parlando di commozione, il tuo post mi ha fatto salire le lacrime. PerchĆ© siamo tutti, chi piĆ¹ chi meno, attanagliati dalle stesse paure, dagli stessi dilemmi. Non poter stare vicino ai propri cari, preoccuparsi per i genitori anziani, e anche avere timori per se stessi, quello di ammalarsi, quello che qualcosa si rompa, quello di non farcela a pensare positivo...
The power of introverts, ti ricordi quel libro? Sicuramente essere introversi aiuta in questa quarantena, anche se mi piacerebbe rompere l'isolamento per prendere un caffĆØ, andare ad una mostra, fare una passeggiata, senza metri di distanza, per (ri)abbracciare gli affetti. E attraversare di nuovo, non solo Londra, ma la mia cittĆ  natale, che mai mi ĆØ mancata come in questo momento, assieme a casa mia...
Fabio ha detto…
Nei primi tempi anch'io ho pensato che noi introversi avessimo maggiore resistenza, perche' abbiamo bisogno di tanto tempo per noi stessi.

Ma abbiamo anche tanto bisogno di quella forma di socialita' da introversi che hai descritto molto bene. Soprattutto quelli come noi che sono introversi espressivi. Nel senso che poi le idee che generiamo da soli chiedono di essere condivise con altri introversi come noi per completarsi.

E' un po' il concetto danese di hygge, che implica una condivisione in piccoli gruppi coesi e in luoghi tranquilli come un piccolo caffe' o una galleria d'arte o all'ombra di un angolo tranquillo di parco.

Insomma e' un equilibrio che si e' rotto e va ricostruito all'interno di questi limiti.

Tu peraltro ci stai riuscendo benissimo. Mi e' troppo piaciuta la distribuzione dei kiwi che hai raccontato. Non riesco a commentare perche' ho perso la password di Wordpress e ti chiedo scusa.

Bellissimo che la signora nella casa vittoriana abbia deciso di lasciare un po' di kiwi anche alla reduce del punk.

Chissa' se avrebbe usato quella gentilezza anche prima di questi giorni, mi sono trovato a domandarmi.