141/ L'autoinganno funzionale.



Ieri sera durante la seduta del giovedì la mia analista ha parlato di autoinganno funzionale. E' un concetto interessante da conoscere. Ci autoinganniamo in modo funzionale quando accettiamo come vera una realtà immaginaria, di comodo.

La mia vita va bene così in fondo, diciamo a noi stessi. Lo facciamo per paura di cambiare, spesso. Di aprire la porta del Truman show, in genere.

La vita è un autoinganno funzionale Fabio, ha detto l'analista. E' così per tutti. Senza ingannarsi, nessuno potrebbe vivere. Il peso da portare sarebbe insostenibile. 

E' un post breve, perchè ogni parola in più ne diluirebbe il senso.

Commenti

CICCILLO ha detto…
io cambierei analista
Fabio ha detto…
Per te non è così, Francesco? Non ti costruisci mai realtà e narrative di comodo? Pensaci bene.
CICCILLO ha detto…
Forse ogni tanto ma in generale no, per questo soffro e magari cerco conforto nella psicoterapia.
Per me un buon psicoterapeuta è quello che ti aiuta a comprendere cosa ti fa soffrire e ti accompagna in un percorso di trasformazione, non uno che giustifica l’autoinganno.
Ma può darsi che questa sia una narrativa di comodo.
Certo esistono due modi, anche nella psicoterapia: uno maggioritario che ti insegna a sopportare la vita e il mondo per come sono, anche mediante l’autoinganno.
L’altro, basato sulla relazione e non individualistico, che tenta quanto meno di trovare “quello che non è inferno e farlo crescere”, per citare Calvino.
Quindi teso alla trasformazione di sé e del mondo, anche se questo ormai è un pensiero minoritario.
Fabio ha detto…
La psicoterapeuta citata nel post è allieva di Giorgio Nardone, che con Paul Watzlawick scrisse il classico L'arte del cambiamento. Tutto il lavoro di Watzlawick e di Nardone è orientato alla rimozione delle cause che impediscono il cambiamento. L'obiettivo, come scrivi molto bene tu, è la trasformazione di sè e del mondo.

Rivelare al paziente l'autoinganno è centrale in quel percorso. Se la terapeuta avesse voluto usare un modo molto meno sofisticato di esprimersi avrebbe detto: guarda che quella che mi stai raccontando è una balla che racconti a te stesso per non affrontare il cambiamento.

Di fronte al mio turbamento dopo la doccia gelata, ha reagito affermando che ingannarci e autocnvincerci è un processo molto comune che mettiamo in atto un po' tutti. E anche questo credo che sia piuttosto vero.

Una volta rivelato l'autoinganno e averci puntato un cono di luce, poi sta al paziente decidere cosa fare. Se cambiare oppure restare nel Truman show ormai svelato. Lo psicoterapeuta il suo lavoro l'ha fatto. Non ti pare?
CICCILLO ha detto…
detto così, suona meglio, come l'avevi scritto nel post appariva un atteggiamento un po' giustificazionista e teso al perpetuarsi dell'autoinganno stesso come "male minore" o strategia di sopravvivenza in un mondo considerato senza alternative.
Fabio ha detto…
Esatto. Quello dipende dal paziente. Il ruolo del terapeuta per come lo vedo io è quello di accompagnare, non di prendere decisioni per conto del paziente.

L'esistenza o meno delle alternative aprirebbe un discorso molto complesso, peraltro. Quante di queste alternative scegliamo di non vedere, per l'appunto con l'autoinganno?
CICCILLO ha detto…
L’unica alternativa è una società socialista o qualcosa di simile, liberi dalle preoccupazioni economiche e dalla violenza insita nei rapporti umani che si genera nel mondo liberal-individualista, si potrà forse tornare a occuparsi in terapia dei vecchi problemi intrapsichici del singolo paziente.
Altre alternative non ne vedo.
Ma anche questo qualcuno potrebbe chiamarlo un autoinganno funzionale: sposto il problema fuori da me stesso perché non voglio affrontarlo.
Spesso i terapeuti adottano questi tricks concettuali.
Ma io lo vedo come un espediente per lasciarti solo, alla fine.
Ti consiglio, se non l’hai letto, “oltre le passioni tristi” di Miguel Benasayag.
Il titolo italiano è fuorviante perché richiama, sempre per ragioni di mercato, un altro volume di successo dello stesso autore.
Ma è una critica dall’interno di tutto il mondo “psi” e propone un’alternativa concreta.
Fabio ha detto…
Credo tu abbia ragione nell'individuazione dell'alternativa. Un welfare che funzioni bene e sostenga chi è in procinto di cadere risolverebbe forse non tutte le ansie ma certamente molte sì.

Naturalmente tu e io sappiamo che si tratta di un obiettivo lontanissimo, impossibile da raggiungere. Il mondo va in direzione opposta e contraria, e a tutta velocità. Si attraversano deserti e mari aperti, si viaggia all'interno di rimorchi e nei carrelli degli aerei non certo perchè si sogna il socialismo.

Un po' scherzando e un po' no, sostengo spesso che quello che non gli era riuscito con l'eroina gli è invece venuto benissimo con la combinazione mortale smartphone + social. Il social-ismo di oggi è quello.

La propaganda del sistema viaggia in quel modo, in forme onnipresenti che ci seguono ovunque e alle quali nessuno può davvero sottrarsi, pena un senso molto concreto di isolamento. Spero tu abbia visto The social dilemma, altrimenti lo consiglio per i contenuti pur essendo un film che usa un linguaggio irritante. Il nuovo social-ismo ha il potere di fornire un sollievo immediato che fa impallidire quello dei nostri tempi.

Benassaig che tu citi del resto parla di individui che si fanno marionette e che dagli smartphone prendono ordini. Credo che per molti sia abbastanza vero. Autoinganno funzionale all'ennesima potenza.

Sto andando fuori tema. Come te, anch'io sono vittima dell'autoinganno (nemmeno troppo funzionale) di spostare i problemi fuori da me stesso.

Troppo difficile sarebbe vivere altrimenti. Ognuno ha i soi autoinganni funzionali. Di questi tempi sono incerto se riconoscerli come tali o tenerli stretti mentre crolla ogni certezza.

In fondo stiamo confermando quello che ha sostenuto la mia analista.

La via d'uscita la cerco nella nebbia. Quando vedo quella porta poi faccio finta di non averla vista. E continuo a cercare.
CICCILLO ha detto…
Parole amare le tue ma tutto sommato condivisibili.
Sì, Benasayag è uno di quelli che senza mezzi termini si è scagliato contro la tirannia dell'algoritmo, in questo giorni sto leggendo il suo "Il cervello aumentato, l'uomo diminuito" e ho avuto modo di confrontarmi con lui anche di persona in un paio di occasioni su questi e altri argomenti.
Tuttavia ritengo che la sua sia una posizione un po' dall'esterno, di uno che non conosce bene la cosa da dentro e infatti non possiede nemmeno il vecchio telefonino, però usa ampiamente skype con i suoi vari contatti italiani.
Non so, a me spaventano di più altre cose che ci sarebbero comunque anche senza smartphone.
Per esempio, per usare una terminologia psicoanalitica. la pulsione di morte che abita gran parte degli esseri umani e in particolare molti di quelli, prevalentemente maschi, che hanno potere, politico ed economico.
I social sono in effetti una droga funzionale al consumo e all'individualismo e dunque all'economia di mercato.
Però esistono in quel mondo delle sacche di resistenza, delle differenze generazionali, non penso che sia tutto nero, standoci dentro da anni so che esistono spazi d comunicazione che altrimenti non si darebbero, per distanze geografiche e culturali.
Anche questo nostro dialogo è uno di quegli spazi.
Fabio ha detto…
Francesco, lo smartphone e i social sono più pericolosi dell'eroina, anche perchè li hanno diffusi più capillarmente. Sono le droghe contemporanee, legali e economiche.

Il concetto chiave per capire il presente io credo sia la guerra tra poveri. Qui nella stiva si litiga su tutto. Per un parcheggio, un letto d'ospedale, per un esame clinico, una televisione in sconto al centro commerciale, la mascherina sì o no.

Poi finita la battaglia si trova un sollievo immediato nell'ultimo video virale della scimmia che balla e del bambino prodigio che ci si passa fino a quando arriva il prossimo.

Non tu, non una minoranza. Che però minoranza resta senza sapere come coinvolgere chi di quella minoranza illuminata non fa parte.

Intanto al piano superiore nelle cabine di lusso si brinda indisturbati. Molti non lo sanno, molti lo sanno e gli va bene così. Magari il pargolo che va così bene a scuola diventerà il nuovo Zuckerberg. Meglio lasciare tutto così.

Non so se questa sia la ragione della pandemia di malattie mentali della quale non parliamo noi, parla l'OMS. Ma credo che una responsabilità significativa stia nella mancanza di consapevolezza diffusa. E cosa genera più inconsapevolezza degli algoritmi?

Sto dando ragione a Benasayag, o forse espandendo un po' le sue premesse con osservazioni personali che immagino non troppo distanti dal suo pensiero. Magari potremmo chiederglielo direttamente.

I social non sono i blog e le newsletter. Sono una degenerazione. Un blog e una newsletter sono piccoli progetti editoriali. Richiedono pensiero, passione, dedizione, costanza. Hanno una loro dignità.

Questo blog è il contrario di un social, almeno nelle mie intenzioni. E' un'oasi di silenzio e tranquillità.

Non è un caso che ci leggiamo e ci scriviamo qui, dedicando un pochino di tempo, di riflessione, di pensiero. Non in Facebook, tra faccine e commenti di mezza riga con 2 errori di battitura che non fanno altro che distrarre.

Faccio presente che non stiamo andando poi fuori tema rispetto al post. Stiamo parlando della forma più diffusa di autoinganno. Collettivo e pandemico. Non a caso si usa l'aggettivo virale.
CICCILLO ha detto…
che facebook sia uno strumento di marketing di sé stessi è pacifico, molti se ne sono resi conto e se ne sono andati, te compreso.
però come ogni strumento può essere usato in vari modi, non solo con torte e gattini, anche se la maggioranza posta solo torte e gattini o foto delle vacanze atte a suscitare invidia e dunque ulteriore strumento di marketing di sé stessi.
ci sono anche realtà, singolari o associate, che lo usano per diffondere informazione o per chiedere sostegno economico a nobili cause o, più semplicemente, tentano di usarlo come strumento di dibattito.
io ne seguo parecchie, non sono felice di ciò e preferirei di gran lunga usare uno strumento simile ma diverso, senza pubblicità e senza un algoritmo che decide cosa farti vedere e cosa no.
poi esiste Mastodon, che sto frequentando da un po' per vedere come gira.
non è il massimo della vita e in Italia è diffuso solo con un'istanza nata nel giro del movimento anarchico.
però è una alternativa, minoritaria ma funzionante.
io credo che dai blog, come li abbiamo conosciuti e usati noi da più di 10 anni, alla fine derivi tutto il resto.
facebook è molto simile alla scomparsa piattaforma splinder, è una versione più complessa e allo stesso tempo alla portata di tutti, che lo si usi da smartphone o da pc.
il problema è diffondere la coscienza critica sull'uso di questi mezzi, non demonizzarli in assoluto.
se è per quello tempo fa Giovanna Marini fece una canzone in cui nel testo contrapponeva la mobilitazione permanente in uso dal 68 in poi, fatta di passa parola, volantinaggio, tazebao etc ai "blog" che comunque, per una della sua generazione, appaiono comunque strumenti individualistici e tutto sommato inutili.
Fabio ha detto…
Ieri sera la Giò ha preso posizione a tuo favore e ha provato a farmi capire il tuo punto di vista. Alla fine c'è abbastanza riuscita. E ho dovuto ammettere che sì, esistono piccole realtà che usano Facebook per diffondere informazione indipendente e ottenere sostegno economico per cause valide.

Resta la mia perplessità per un mezzo che usa un algoritmo per scegliere per te. Ma del resto lo fa anche Youtube, per fare l'esempio di una piattaforma che tutti usiamo.

Credo che alla fine sia come dici tu. Si tratta di essere consapevoli di questi meccanismi. Di usare anzichè farsi usare.

Cionondimeno, anche tu e la Giò mi auguro che concordiate con me sul fatto che l'uso che una grande maggioranza di persone fa dei social network è ben diverso rispetto a quello auspicato. Non so nemmeno se sia marketing di se stessi. Vedo altre motivazioni: noia, ricerca di sollievo, un qualche tipo di rivincita sociale che si cerca di ottenere suscitando invidia con una narrazione artefatta e farlocca.

La carta vincente che ha permesso ai social network di affermarsi rispetto ai blog è la velocità. Ed è proprio questa la caratteristica che me li fa sentire distanti.

Semplificando molto, credo che alla fine i blog e le newsletter si adattino a chi cerca profondità ed è disposto a dedicare tempo. I social al contrario si adattano a chi preferisce un consumo di informazioni veloce e superficiale.

E comunque, Francesco, non credo che all'utilizzatore medio di social importi granchè della coscienza critica. Ci considererebbe un po' due vecchi scocciatori nostalgici. Che è un po' come sempre più spesso mi sento, peraltro.