Ma che cosa significa la parola "clandestino", ci avete mai pensato? Io credevo che clandestini fossero i passeggeri che non avevano pagato un biglietto di viaggio. Invece, i "clandestini", come quelli che vediamo in questa sua foto, vendono tutto quello che hanno per acquistare un passaggio verso un'altra vita.
Vita che viene poi loro negata, non capisco davvero con quale pretesto. Ma non siamo tutti esseri umani, abitanti di uno stesso pianeta? Perche' alcuni allora sarebbero clandestini? Perche' molti di noi sono stati accolti con tutti i diritti a vivere in un Paese diverso da quello dove siamo nati, mentre chi fugge dalla fame, dalle epidemie, dalle guerre non viene ricevuto nello stesso modo?
Di cosa si tratta? Paura di che? Di perdere il diritto che per qualcuno e' divino a guidare un SUV? Perche', in base a quale meccanismo, l'avidita' di queste persone e' diventata legge che condanna miliardi di persone a una vita senz'acqua, medicine, cibo?
A questo pensavo qualche giorno fa, mentre visitavo questo nuovo spazio dedicato al fotogiornalismo, che e' stato aperto a 2 minuti a piedi da dove vivo. Le foto di Medina sono davvero impressionanti, stringono il cuore in una morsa di compassione, rabbia, disperazione. Un grande schermo le propone con cadenza incessante. Immagini di corpi annegati, giovani stremati, coperti di stracci o avvolti in coperte, occhi senza luce, bambini che piangono.
[Non ho invece apprezzato, forse perche' molto provato, le sue foto che occupano l'altra meta' della galleria].
***
Vi racconto un altro paio di cose legate a questa giornata. La prima l'ho letta in un'intervista al chitarrista dei Public Image Limited, Keith Levine. Levine, non tutti lo sanno, si considerava discepolo di Steve Howe, proprio il chitarrista degli Yes, del quale era stato roadie quando aveva 15 anni. E infatti, la sua tecnica chitarristica era superlativa, specie se accostata ai chitarristi punk ai quali veniva spesso accostato. Lo sapete come ha inventato il suono squadrato come un blocco di granito e affilato come un rasoio che sentiamo nei dischi dei PIL? Sbagliando. Proprio cosi'. Levine, invece di correggere i propri errori, li ripeteva. Questo sfata il famoso luogo comune. E' una cosa che mi ha fatto molto pensare.
***
La seconda cosa mi e' successa sempre stamattina. Mi serviva una pianta da mettere in terrazzo e cosi' ho preso il 55 e in 20 minuti sono arrivato ai colori incredibili del Columbia Road Flower Market. Mi aggiro un po' tra fiori e piante dai nomi a me per lo piu' misteriosi, tra le grida dei venditori, fino a quando il mio sguardo incrocia lui, che sapevo avrei fatto mio.
Lui e' un meraviglioso pero fiorito, dell'altezza di quasi 4 metri (che va benissimo perche' il mio e' un roof terrace, quindi the sky's the limit). Pago il prezzo, decisamente decente, e mi ritrovo con tra le braccia il mio pero e nessuna idea di come portarlo a casa. Passo davanti alla fermata del 55, sempre stretto in quell'abbraccio, ma gli sguardi delle persone con piante piu' maneggevoli, del tipo "Non vorrai salire sul bus con quel babab, ti ci vuole un bus solo per te", mi dissuadono dall'idea di tornare come sono arrivato.
Resta un'unica soluzione: camminare, facendo un pezzo di Hackney Road e tutta, tutta Old Street abbracciato al mio altissimo albero di pero. Cosi' il nostro Fabio/ Marcovaldo si incammina, attento a evitare gli altri alberi, quelli fissi, nonche' ultra-insidiose segnalazioni stradali basse.
Ci ho messo una bell'ora a tornare, e intanto pensavo. Perche' in questo periodo sono single e nemmeno innamorato, ma insomma, sarebbe stato cosi' bello se invece avessi avuto qualcuno dal quale andare dicendo qualcosa tipo "Tesoro, sai, ho pensato di portarti un mazzo di fiori, ma vedi, mi sembrava troppo poco per te, per cui, ecco, ehm, ti ho portato fin qui un intero albero fiorito". Quel pensiero mi ha tenuto compagnia mentre invece, un'ora dopo, sono riuscito ad arrivare fino alla porta di casa, a risalire sempre stretto al mio albero i quattro piani di scale fino alla porta del mio appartamento, a lottare con qualche ramo ribelle trascinando infine il mio meraviglioso pero fiorito fino sul terrazzo, dove sta che e' una meraviglia.
Ed e' un po' come se quell'abbraccio lungo un'ora avesse generato un rapporto proprio speciale tra di noi.
Vita che viene poi loro negata, non capisco davvero con quale pretesto. Ma non siamo tutti esseri umani, abitanti di uno stesso pianeta? Perche' alcuni allora sarebbero clandestini? Perche' molti di noi sono stati accolti con tutti i diritti a vivere in un Paese diverso da quello dove siamo nati, mentre chi fugge dalla fame, dalle epidemie, dalle guerre non viene ricevuto nello stesso modo?
Di cosa si tratta? Paura di che? Di perdere il diritto che per qualcuno e' divino a guidare un SUV? Perche', in base a quale meccanismo, l'avidita' di queste persone e' diventata legge che condanna miliardi di persone a una vita senz'acqua, medicine, cibo?
A questo pensavo qualche giorno fa, mentre visitavo questo nuovo spazio dedicato al fotogiornalismo, che e' stato aperto a 2 minuti a piedi da dove vivo. Le foto di Medina sono davvero impressionanti, stringono il cuore in una morsa di compassione, rabbia, disperazione. Un grande schermo le propone con cadenza incessante. Immagini di corpi annegati, giovani stremati, coperti di stracci o avvolti in coperte, occhi senza luce, bambini che piangono.
[Non ho invece apprezzato, forse perche' molto provato, le sue foto che occupano l'altra meta' della galleria].
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Vi racconto un altro paio di cose legate a questa giornata. La prima l'ho letta in un'intervista al chitarrista dei Public Image Limited, Keith Levine. Levine, non tutti lo sanno, si considerava discepolo di Steve Howe, proprio il chitarrista degli Yes, del quale era stato roadie quando aveva 15 anni. E infatti, la sua tecnica chitarristica era superlativa, specie se accostata ai chitarristi punk ai quali veniva spesso accostato. Lo sapete come ha inventato il suono squadrato come un blocco di granito e affilato come un rasoio che sentiamo nei dischi dei PIL? Sbagliando. Proprio cosi'. Levine, invece di correggere i propri errori, li ripeteva. Questo sfata il famoso luogo comune. E' una cosa che mi ha fatto molto pensare.
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La seconda cosa mi e' successa sempre stamattina. Mi serviva una pianta da mettere in terrazzo e cosi' ho preso il 55 e in 20 minuti sono arrivato ai colori incredibili del Columbia Road Flower Market. Mi aggiro un po' tra fiori e piante dai nomi a me per lo piu' misteriosi, tra le grida dei venditori, fino a quando il mio sguardo incrocia lui, che sapevo avrei fatto mio.
Lui e' un meraviglioso pero fiorito, dell'altezza di quasi 4 metri (che va benissimo perche' il mio e' un roof terrace, quindi the sky's the limit). Pago il prezzo, decisamente decente, e mi ritrovo con tra le braccia il mio pero e nessuna idea di come portarlo a casa. Passo davanti alla fermata del 55, sempre stretto in quell'abbraccio, ma gli sguardi delle persone con piante piu' maneggevoli, del tipo "Non vorrai salire sul bus con quel babab, ti ci vuole un bus solo per te", mi dissuadono dall'idea di tornare come sono arrivato.
Resta un'unica soluzione: camminare, facendo un pezzo di Hackney Road e tutta, tutta Old Street abbracciato al mio altissimo albero di pero. Cosi' il nostro Fabio/ Marcovaldo si incammina, attento a evitare gli altri alberi, quelli fissi, nonche' ultra-insidiose segnalazioni stradali basse.
Ci ho messo una bell'ora a tornare, e intanto pensavo. Perche' in questo periodo sono single e nemmeno innamorato, ma insomma, sarebbe stato cosi' bello se invece avessi avuto qualcuno dal quale andare dicendo qualcosa tipo "Tesoro, sai, ho pensato di portarti un mazzo di fiori, ma vedi, mi sembrava troppo poco per te, per cui, ecco, ehm, ti ho portato fin qui un intero albero fiorito". Quel pensiero mi ha tenuto compagnia mentre invece, un'ora dopo, sono riuscito ad arrivare fino alla porta di casa, a risalire sempre stretto al mio albero i quattro piani di scale fino alla porta del mio appartamento, a lottare con qualche ramo ribelle trascinando infine il mio meraviglioso pero fiorito fino sul terrazzo, dove sta che e' una meraviglia.
Ed e' un po' come se quell'abbraccio lungo un'ora avesse generato un rapporto proprio speciale tra di noi.
Commenti
Per quanto concerne il pero ti dico solo che ti invidio
Arrivai all'albergo stravolto dalla fatica, e trovai la mia ex che mi guardò esterrefatta (le donne non capiranno mai come un uomo possa letteralmente amare una coppia di speakers o un amplificatore ...)
Certo il pero è molto più romantico.
Sei un narratore notevole.
Nicola
Questa cosa mi fa riflettere. Chi è "cieco" non è solo chi non può vedere la luce perchè nascosto nella stiva del mondo, nella parte oscura della terra alla quale si nega ogni opportunità, ma anche chi non vuole vedere che esiste un altro mondo parallelo al nostro, altre esistenze negate.
Penso specialmente ai bambini dei clandestini, degli illegali, di chi ufficialmente non esiste. Come ci vedono, noi e i nostri figli?
Bellissima storia quella del pero. Ma fa proprio le pere?
ma proprio oggi, come potrei stare zitta zitta??
( so già che mi odierai per questo ... ;-) )
2 maggio ...
tanti auguri a te,
tanti auguri a te,
tanti auguri a Fabio,
tanti auguri a teeeeeeeeeeeeee !!
ps: so che Cassiopea stasera ti farà trovare una bella torta di mele .. dalle un bacio da parte mia..
Un abbraccio,
Simo
buon compleanno Fabio e 1000 baci
raffaella
Sarebbe bello che a sentire il desiderio di nascondersi fosse chi usa quella terribile parola. A proposito di USA e di trattamento inumano dei poveri, hai letto "Nickel and dimed" di Barbara Ehrenreich? Quel libro parla di vite stritolate da commuting, orari e ritmi di lavoro impossibili. Anche leggendo queste storie, immensamente umane, ci si domanda come dici tu dove questa societa' sbaglia.
Nicola -
Mi fai venire in mente che non vi ho raccontato di un incontro importante. Qualche giorno fa ero a Soho (Wardour Street) e ho visto questo signore che scaricava degli scatoloni apparentemente pesantissimi da una macchina. Quando si e' voltato, mi e' sembrato di riconoscerlo, e poi le due lettere scritte a pennarello sugli scatoloni, KL, non mi hanno lasciato dubbi.Ero cosi' emozionato che ho detto ad alta voce il suo nome: "Ken Loach!", pietrificato. Ken mi ha guardato, poi ha detto "Yes", con un gran sorriso, e io non sapevo bene cosa fare, cosi', da sciocco perche' lui aveva le mani completamente impegnate, gli ho porto la mano. Lui, come il gentleman che e', ha appoggiato per terra i suoi scatoloni, mi ha fatto un gran sorriso e ha stretto la mia mano sempre sorridendo. Poi gli ho detto "I just would like to say thank you for your movies". Lui sembrava sinceramente contento, abbiamo parlato un po' dell'altra volta che lo vidi a Londra, sul palco di una manifestazione, in occasione della visita di Bush al suo poodle-dog londinese, poi ci siamo salutati con tanta cordialita', tornando alle nostre occupazioni. Chissa' se anche lui stava trasportando una coppia di Aegis One! [Le donne non capiscono come un uomo possa amare un amplificatore magari, ma io credo che capiscano molte, molte piu' cose di noi].
Emanuela -
Ho fatto un po' di foto al mio pero appena ho trovato per lui una degna posizione sul terrazzo, ma sono venute malissimo. Il fatto e' che avevo tirato la macchina a 400 ISO al concerto di Tift Merritt, e capisci che foto fatte in pieno sole con quel settaggio non potevano che venire da schifo. La ragione mi e' venuta in mente stanotte in un momento di insonnia, e rimediero' al piu' presto. Anticipo anche un'altra cosa. Ho intenzione di aprire London Calling 2, che sara' un semplice diario fotografico, un photoblog insomma. Succedera' presto e li' mi sbizzarriro' a postare tutte le foto che all'interno di London Calling farebbero disordine.
Artemisia -
Sai cosa mi hai fatto venire in mente? L'atteggiamento che hanno le persone che fanno le pulizie nel mio ufficio. A volte mi tocca fermarmi qui fino a tardi, fino a quando arriva questo esercito di filippini e sud americani armati di detersivi stracci e aspirapolvere. Io naturalmente saluto, sorrido, mi comporto normalmente, ma vedo che e' come se esistesse un muro tra me che sto lavorando dietro a un computer con la scrivania piena di carte e loro con i loro stracci, come se appartenessimo a mondi diversi, come se bisognasse gridare per farsi sentire al di la' di quel muro. Quel muro va assolutamente abbattuto, "by any means necessary". E si', il pero dovrebbe fare le pere a fine Settembre, cosi' c'e' scritto sul foglietto che lo accompagnava. I fiori ci sono gia', e tanti.
Emauff -
Mi fai sempre piu' venire voglia di anticipare l'apertura di London Calling 2!
Momo, Raffaella e Pib -
Grazie per gli auguri. Non so se capita solo a me, ma ho questo rapporto difficilissimo con il mio compleanno, vorrei che fosse il piu' possibile un giorno come tutti gli altri. E' un momento che considero molto intimo, molto mio, in qualche modo, se posso dire questa cosa, che mi ricorda che un anno in piu' e' stato vissuto e che ne resta uno in meno da vivere. Per cui evito accuratamente i festeggiamenti. Pero' grazie di cuore per i vostri auguri.
che poi scusa, anche ogni giorno che passa è un giorno in meno, e allora???? si dovrebbe piangere ogni giorno per questo? La vita è fatta così, e se davvero la ami non dovresti perdere occasione per festeggiare. Il tuo compleanno è l'anniversario del giorno in cui hai visto il mondo per la prima volta, secondo me lasciarlo passare nell'indifferenza è proprio un peccato...E' la TUA festa! al tempo che passa puoi pensarci un altro giorno, di sicuro non mancano occasioni per rifletterci su.
baci
raffaella
un abbraccio, e l'augurio di molti sorrisi.. :)
raf
Ma allora siamo in 3. *DOBBIAMO* festeggiare :-))