Dopo la farsa cock rock allo stadio ci voleva proprio
Taglio in diagonale Bloomsbury camminando in fretta, sognando un giorno di vivere in una casa affacciata su una delle sue verdi rilassanti piazzette. Quando arrivo a St. Pancras c'e' gia' una discreta coda in attesa di entrare. Eta' tra i trenta e i quaranta, ex indie kids, oggi barbuti e accompagnati da graziose dame in gonne fiorate e sandali tedeschi.
Cartellone della serata assolutamente imperdibile: Vetiver, Meg Baird e un paio di nomi nuovo folk dei quali ho solo letto ma non ho mai sentito nulla.
Trovo un posticino sulla prima panca della chiesa, in posizione strategica per fare qualche foto, e quasi subito, sono da poco passate le sette e mezza, Adrian Crowley imbraccia la sua chitarra. Il suo tono di voce e' esattamente lo stesso di Bill Callahan, e anche le sue canzoni sembrano ispirarsi a Smog circa Knock knock. Ricordo un concerto di Smog al Tunnel di Milano, verso la fine degli anni '90, davvero molto simile. Dopo il primo brano salgono sul palco due violinisti. Ad ogni canzone entro sempre un po' di piu' nelle sue melodie, che parlano di notti di pioggia e strade che non finiscono mai. Molto Leonard Cohen, e molto bravo.
A seguire, David Thomas Broughton. Che suona una sorta di prog folk sperimentale psichedelico per lettori di Wire. La voce ricorda un'incrocio tra Scott Walker e Antony Hegarty, ma il resto e' di una straordinaria originalita'. Arriva sul palco con chitarra acustica, ukulele, percussioni varie e una televisione. Registra tracce su tracce, alcune volutamente fuori sincrono, e poi ci canta sopra sovrapponendo strati di voce. Poi se ne va in giro per la chiesa continuando a cantare. Quando sale sul pulpito e' un'ovazione. Sembra completamente pazzo, e probabilmente lo e'. Il taglio di capelli mi ricorda spaventosamente quello di un cugino di mia madre che negli anni '70 entro' brevemente nelle BR. Non si vedeva da allora niente di simile.
Meg Baird e' semplicemente meravigliosa. La cantante degli Espers ripercorre il suo capolavoro di folk in minore Dear companion, uscito l'anno scorso su Drag City. Se ancora non l'avete, recuperatelo assolutamente. Performance meditativa dall'inizio alla fine, e quella voce sospesa tra Joni Mitchell e Judee Sill appoggiata su arpeggi leggeri. Non dice una parola, finisce un pezzo e inizia il successivo. Sembra quasi a disagio, e probabilmente la e'. Si emoziona e sbaglia qualcosa, poi riprende. Non parlo mai, non prendetela personalmente, dice alla fine di una performance fragile e intensissima.
E infine tocca ai Vetiver. Il loro suono e' acustico, gentile come gentili sono loro. Andy Cabic lo guardi e ti ispira serenita' e amichevolezza. Rispetto alle altre due volte che li ho visti, mi sembrano ancora migliorati, piu' precisi e affiatati. Iniziano con la traccia migliore di Thing of the past, I must be in a good place now, e alternano brani di quell'album e altri dell'ancora freschissimo To find me gone, il loro disco migliore. Le versioni sono interamente unplugged, esaltate dalla splendida acustica della chiesa.
Il pubblico lascia la chiesa ordinatamente, commentando a bassa voce uno dei concerti piu' d'atmosfera degli ultimi anni.
Commenti