Quiet riot


Ieri sera sono stato a vedere Caos calmo.

La storia la conoscete, il film l'avete visto tutti, avete letto fiumi di inchiostro sui giornali italiani, ascoltato interviste con Nanni Moretti. Quindi non ne parlo. Ma sulle sensazioni che provi vedendo Caos calmo qui, qualche parola la voglio spendere.

Prima cosa: la storia mi e' piaciuta e mi ha coinvolto, ma forse solo fino a un certo punto. Se ci sono due aspetti del film che ho apprezzato sono stati il contesto povero, da film indipendente a basso budget, e l'interpretazione straordinaria di Moretti, sempre piu' bravo a rappresentare un'intera generazione fotografata nel pieno di una immatura maturita'.

Il rapporto tra padre e figlia travolti da una tragedia famigliare, che dovrebbe essere al centro del film, io non sono riuscito a vederlo che sullo sfondo. E invece il film mi e' piaciuto tanto nella sua capacita' di enfatizzare l'importanza della ripetizione quotidiana di gesti minimi, i piccoli incontri che diventano significativi proprio grazie al loro riaccadere con cadenza regolare. E' un film sulla lentezza, sul prendersi pause e concedersi vuoti, sull'osservare con curiosita' quello che ci circonda, anche e soprattutto cio' che non ha mai suscitato la nostra attenzione.

Cose magiche accadono quando ci fermiamo. E sono eventi importanti, che scaldano il cuore e riportano la vita a una dimensione umana.

In questo blog ho parlato spesso di quell'italianita' che qui un po' mi manca. Ricapitolando: la nostra capacita' di instaurare relazioni con immediatezza e spontaneita', il calore umano che ci contraddistingue, la cultura civile vivace (le manifestazioni vitali di questi giorni sono li' a dimostrarlo), la qualita' materiale del nostro vivere (buon cibo preparato con ingredienti freschi e naturali, abiti fatti con buoni tessuti e una qualita' sartoriale che li rende piacevoli da indossare - questi qui si vestono da Marks & Spencer!), la cultura diffusa in strati ampi della popolazione al contrario di qui dove rimane prerogativa di una minoranza di privilegiati.

Ecco, con un'interpretazione libera e personale, a me il film ha fatto riflettere proprio su questa italianita' che, io credo, non apprezziamo mai abbastanza. Devi andartene, viaggiare, prenderne le giuste distanze per capirla, per riconoscerla. Come una qualita' che esprimi e ricerchi naturalmente, che hai scritto nel profondo dentro di te, della quale non puoi fare a meno e che quando incontri riconosci immediatamente e accogli con gioia.

Commenti

artemisia ha detto…
vero, tutto vero

noi italiani siamo dei disgraziati ma a salvarci sarĆ  forse quella capacitĆ  che abbiamo di guardarci negli occhi e vederci, anche fuggevolmente per la strada

noi ci VEDIAMO, nel bene e nel male

Lo pensavo proprio l'altro giorno. Dopo averne preso per anni le giuste distanze.
Fabio ha detto…
Non e' affatto un caso che a commentare sia tu Arte.

Ho pensato spesso in questi anni a quanto queste nostre naturale spontaneita' e apertura nelle relazioni siano un dono prezioso, del quale non avevo consapevolezza prima di venire a vivere qui.

Gli inglesi se non bevono non parlano e quando bevono dicono solo scemenze che se sei sobrio proprio non fanno ridere. Fanno una collettiva compassione e non se ne accorgono neppure. Sono troppo felice di non essere nato qui.