Un po' come Prospettive Musicali ma in forma scritta, vediamo come viene
Getting Anne Briggs into a recording studio is like enticing a wild bird into a cage.
(Albert Lloyd, dalle note di copertina di Anne Briggs, Topic 1971)
Ascoltare la musica di Anne Briggs e' un'esperienza di travolgente intensita', che trasporta dolcemente verso stati di tranquilla, pacifica, magica serenita'.
La sua voce cristallina accarezza i nostri pensieri come folate di vento spettinano un campo di grano a primavera. Le sue note sono acqua di sorgente, fresca e purissima.
Non riesco a pensare a un'interprete della tradizione folk britannica maggiormente sospesa al di fuori di qualsiasi spazio temporale, come se la sua musica fosse stata creata il giorno nel quale il mondo e' stato generato.
Tra tutti gli interpreti del folk revival britannico dei quali abbiamo parlato cosi' spesso in questo blog - prendete la definizione in senso ampio: Fairport Convention, Pentangle, Shirley Collins, ma anche Vashti Bunyan e Nick Drake - Anne Briggs resta la presenza piu' eterea, immateriale, evanescente. E un'enorme influenza sul cantautorato folk di oggi. Da Will Oldham (che anni fa in quel tempio del folk revival britannico che e' la Cecil Sharp House cerco' di ricreare queste astratte atmosfere cantando pressoche' sottovoce accompagnandosi con un autoharp), ai primi due dischi di Devendra Banhart, fino alla sublime grazia di Joanna Newsom.
Il suo primo omonimo disco e' nella sua limitata discografia fatta di tre album soltanto quello che preferisco: dieci tracce, solo quattro delle quali accompagnate da una chitarra o da un bouzouki, e nelle altre solo la voce di Anne a galleggiare in una dolce brezza estiva. Da quel disco vi propongo la traccia che lo apre, Blackwater side:
Restiamo negli anni '70, il 1976 per la precisione, ma ci spostiamo sull'altra sponda dell'Atlantico, per recuperare i due dischi solisti incisi da un batterista che porta il nome di Joe Chambers. La batteria di Chambers si puo' ascoltare su dischi di Wayne Shorter e Archie Shepp tra gli altri.
Imperdibile davvero e' pero' il suo secondo disco, intitolato New world. E' un disco sostanzialmente fusion, con parecchi riferimenti al Miles Davis di Agartha e all'Herbie Hancock di Mwandishi, ma anche qualcosa di piu'. Se avete amato quel capolavoro misconosciuto che e' The jewel in the lotus di Bennie Maupin (ECM 1974, da recuperare assolutamente), sapete a quali vette di spiritualita' puo' ascendere il jazz fusion se affrontato con spirito free e attitudine avantgarde. New world attraversa gli stessi territori di confine tra hard bop, free, lofty jazz, jazz latino, restando qualcosa di piuttosto unico e indecifrabile. Un disco al quale tornare per anni.
Da New world vi propongo di ascoltare insieme una cover di un classico di Herbie Hancock intitolata Blow up:
(Albert Lloyd, dalle note di copertina di Anne Briggs, Topic 1971)
Ascoltare la musica di Anne Briggs e' un'esperienza di travolgente intensita', che trasporta dolcemente verso stati di tranquilla, pacifica, magica serenita'.
La sua voce cristallina accarezza i nostri pensieri come folate di vento spettinano un campo di grano a primavera. Le sue note sono acqua di sorgente, fresca e purissima.
Non riesco a pensare a un'interprete della tradizione folk britannica maggiormente sospesa al di fuori di qualsiasi spazio temporale, come se la sua musica fosse stata creata il giorno nel quale il mondo e' stato generato.
Tra tutti gli interpreti del folk revival britannico dei quali abbiamo parlato cosi' spesso in questo blog - prendete la definizione in senso ampio: Fairport Convention, Pentangle, Shirley Collins, ma anche Vashti Bunyan e Nick Drake - Anne Briggs resta la presenza piu' eterea, immateriale, evanescente. E un'enorme influenza sul cantautorato folk di oggi. Da Will Oldham (che anni fa in quel tempio del folk revival britannico che e' la Cecil Sharp House cerco' di ricreare queste astratte atmosfere cantando pressoche' sottovoce accompagnandosi con un autoharp), ai primi due dischi di Devendra Banhart, fino alla sublime grazia di Joanna Newsom.
Il suo primo omonimo disco e' nella sua limitata discografia fatta di tre album soltanto quello che preferisco: dieci tracce, solo quattro delle quali accompagnate da una chitarra o da un bouzouki, e nelle altre solo la voce di Anne a galleggiare in una dolce brezza estiva. Da quel disco vi propongo la traccia che lo apre, Blackwater side:
Restiamo negli anni '70, il 1976 per la precisione, ma ci spostiamo sull'altra sponda dell'Atlantico, per recuperare i due dischi solisti incisi da un batterista che porta il nome di Joe Chambers. La batteria di Chambers si puo' ascoltare su dischi di Wayne Shorter e Archie Shepp tra gli altri.
Imperdibile davvero e' pero' il suo secondo disco, intitolato New world. E' un disco sostanzialmente fusion, con parecchi riferimenti al Miles Davis di Agartha e all'Herbie Hancock di Mwandishi, ma anche qualcosa di piu'. Se avete amato quel capolavoro misconosciuto che e' The jewel in the lotus di Bennie Maupin (ECM 1974, da recuperare assolutamente), sapete a quali vette di spiritualita' puo' ascendere il jazz fusion se affrontato con spirito free e attitudine avantgarde. New world attraversa gli stessi territori di confine tra hard bop, free, lofty jazz, jazz latino, restando qualcosa di piuttosto unico e indecifrabile. Un disco al quale tornare per anni.
Da New world vi propongo di ascoltare insieme una cover di un classico di Herbie Hancock intitolata Blow up:
Commenti
Innamorata a prima vista (del blog!).
ti seguirĆ².
http://www.sentireascoltare.com/Souljazz.pdf
JC
Innamorata addirittura! Grazie di cuore, passero' a trovarti.
JC -
Soul Jazz c'entra sempre.
"Quasi come quando avevi sedici
anni e ogni pezzo di plastica nera con un buco nel mezzo - conquistato sudando sette
camicie sette - si rivelava un rutilare di sensazioni indimenticabili. Quasi, ma per
i tempi che corrono ĆØ il massimo. Oppure, qualcosa che gli somiglia tantissimo".
Proprio cosi'. Soul Jazz rende l'esperienza di comprare un disco qualcosa che ricompone con quelle emozioni. Non foss'altro che per l'ubicazione, nel cuore di Soho, e per il fatto che l'etichetta si trova proprio sopra al negozio, come si trattasse di una vecchia bottega artigiana.
Hai colto molto bene nel tuo pezzo: Soul Jazz non ha nulla a che vedere col collezionismo, con la sterile adorazione di un passato che non e' piu'. E' musica in movimento. Il rapporto col passato e' interpretato come continuita' con il presente. Non e' mai un passato da museo il loro, piuttosto e' tramandare una tradizione ricollocandola nel presente, attualizzandola.
L'impatto di Soul Jazz a Londra non e' paragonabile a quello di nessun'altra realta'.
Come ti diceva Pete Reilly (non uno simpaticissimo peraltro, converrai con me) a proposito di quello che si ascolta qui alla radio e' molto vero: sciapo e desolante pop, insignificante indie rock. Soul Jazz e' la migliore resistenza a tutto questo.
E alcune loro raccolte, su tutti Tropicalia, mi hanno aperto mondi, sollecitato ricerche e scoperte che durano tutt'ora.
JC
Pero' si', ci vuole coraggio e dedizione a fare quello che fanno.
o forse il concetto di simpatia british ĆØ diverso dal nostro...
JC
Io non ho un'idea precisa al riguardo, mi sembrano normali, e certamente migliori rispetto agli incompetenti che trovi qualche porta prima, da Sister Ray, quelli davvero spocchiosi se chiedi un disco che non hanno.
Il concetto di simpatia British, sempre che ne esista uno, io proprio non lo comprendo ti diro'.
per certe cose son dei geni, perĆ²...le torte, i Monty Phyton, la pop music...Peter Sellers...
JC
Pero'. Tutto cio' al quale fai riferimento appartiene a quella Inghilterra, non a questa. Addirittura oggi di torte inglesi non ne trovi piu'. Tutte le pasticcerie e panetterie di questa citta' sono francesi (e per fortuna che ci sono).
La Londra di oggi ha davvero poco a che vedere con quella citta'. Io ci sto davvero bene, ma perche' ho la fortuna di frequentare luoghi e amici internazionali. La Londra degli inglesi non mi attrae affatto, ne' loro credo siano minimamente interessati a quello che avrei da dire.
La societa' inglese e' rimasta all'epoca borbonica. C'e' la regina, ci sono i nobili e c'e' la plebe, i sudditi.
Per questi ultimi il destino e' segnato: pub, birra, schiamazzi, pallone, Oasis, stampa popolare.
Non e' una bella societa' nel suo complesso, credimi.
E questo con ben poche eccezioni, e da intendersi sia per quanto riguarda i soldi che la ricchezza culturale. Sembra uno stereotipo sociale "in vitro", mantenuto artificialmente, e forse ĆØ proprio cosƬ.
ChissĆ che la recesisne non cambi qualcosa. Ne dubito, perĆ².
JC
Le banche di converso sono state nazionalizzate per proteggere chi ha gli sghei.
Privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite.
I sudditi invece di prendere le strade si pasciono lautamente delle ultime vicende di Amy Winehouse e Kate Moss. Sognano vestiti firmati e si vestono con gli orripilanti stracci di Topshop, feste a base di champagne e bevono vino ai sulfiti della Tesco davanti alla televisione.
E' una societa' di una tristezza inenarrabile. Pero' se la sono voluta con la loro indolenza, la loro ignoranza, il loro disinteresse, il loro egoismo, la loro chiusura.