Sto causen

Libriccino davvero interessante, che prende le mosse dalla constatazione che mentre la Tate Modern e' oggi la principale attrazione turistica del pianeta Terra per numero di visitatori, la musica contemporanea resta un linguaggio sostanzialmente povero e di nicchia. Questo nonostante le arti visive e la musica colta del XX secolo si siano sviluppate seguendo percorsi paralleli - a partire dalla sinestesia teorizzata da Kandinsky insieme a Schoenberg.

Alcuni passaggi:

1) One of the great reasons avant garde music needs to exist is that it does not need to exist. It defies, momentarily, the glum, onward and upward propulsion of Western society into which the majority of us are whipped or whip ourselves, on a daily basis. It fails, successfully, to be commandeered into the ranks of function. It posits and evokes entirely alternative modes, worlds, possibilities, stepping off the tramlines and running aground on new, virgin territory. It goes nowhere. It repeats. It radiates energy, wastefully, into the air. It leaks out of the grid. Yet none of this is a reason to condemn it as indulgent, or degenerate. It is the threat it notionally poses to civilisation that makes it so supremely civilised.

2) The arts must be morally improving - you must come out of them a marginally better person then you entered them. A little more educated, a little more spiritually uplifted, a little fitter for life's purpose. If they are not any of these things, well, that is okay, so long as they provide some form of entertainment, for it is important to let one's hair down, the better to bundle it up again in the morning - or perhaps to soothe, to relax, so as to prevent the citizen from stress or burnout.

3) Cast an aerial eye along the white lines of mainstream rock's grey road and it goes something like; Elvis, the Beatles, the Stones, Dylan, Neil Young, David Bowie, the Sex Pistols, Elvis Costello, the Smiths, REM, U2, Oasis, all part of a great, heroic narrative tradition, even though each has, in some way, revolted violently against orthodoxy. These are honourable men in the main, even though, in this writer, such a list induces stirrings of ennui and a mild nausea at its odours of heritage and tradition, the floor polish of the Hall of Fame. But then there is another tradition, an anti-tradition, whose names include the Mothers of Invention, Captain Beefheart, Jimi Hendrix, Can, Faust, Kraftwerk, Brian Eno, Cabaret Voltaire, Suicide, This Heat, PIL, the Associates, Yello, the Young Gods, My Bloody Valentine, Sonic Youth, Radiohead, by which point the line has long since tangled up and tapered off into a thousand threads. The names in this second list are famous ones, yet as rock ossifies into retroism and decade by decade musical retrospectives focus increasingly on a decreasing canon of all time greats, then this whole anti-tradition is becoming increasingly marginalised.

Commenti

Anonimo ha detto…
mi sfugge la lotta all'ortodossia degli Oasis, che erano infine gli Small Faces con un Lennon a mezzo servizio a fare da ghost writer, solo un pĆ² piĆ¹ pestoni...

per il resto pare interessante, al di lĆ  di un pĆ² di scriversi addosso tipico di certi scriba britannici. Avercene, da noi, perĆ²...

JC
Anonimo ha detto…
Non vorrei risultare banale (al limite del truismo) ma credo che, molto semplicemente, ascoltare musica sia piĆ¹ demanding e "faticoso", in termini di scelta, selezione, fruizione, del visitare una mostra o sfogliare un catalogo d'arte. Stare a casa ad ascoltare musica contemporanea - o uscire per un concerto, laddove esso vi sia (non tutti vivono a Londra o a NYC) risulta ai piĆ¹ meno attraente che fare una passeggiata fino alla Tate Modern o al Moma o alla Biennale. E si sa, la vita ĆØ troppo faticosa, e le persone amano sempre meno fare fatiche aggiuntive.
So che questo semplice pensiero ĆØ agevolmente confutabile, ma mi torna alal mente spesso. Un'analogia simile a quella tra la lettura e il cinema, che spiega perchĆØ, almeno in Italia, la gente continui ad andare al cinema o ad acquistare DVD ma legga sempre meno.
Nicola
Unknown ha detto…
..alla Tate Modern la gente va per sono in parte d'accordo con il discorso di Nicola. Vedere i vari Elvis, the Beatles, the Stones, Dylan, Neil Young, dell'arte..le sale dove ci sono i Can, Faust, Kraftwerk, Brian Eno, Cabaret Voltaire, Suicide, This Heat, sono abbastanza deserte e in pochi si sono soffermati piu' di un nano secondo sulle loro opere. A prova della mia tesi, la Saatchi Gallery nonostante sia gratis e' sempre piu' o meno deserta. D'altro canto l'esperienza musicale si fa dal disco che dal vivo. Le composizioni di Berio/Nono/Stockhausen hanno sempre fatto sold out al Royal Festival Hall..poi anche nell'arte underground ci sono delle cose di enorme valore che nessuno segue e cosi' nella musica.. secondo il mio semplice parere ha sbagliato un po' i paragoni.. "One of the great reasons modern art needs to exist is that it does not need to exist" fa senso, no?
Fabio ha detto…
JC -

Perfettamente d'accordo, sono liste molto arbitrarie (dove sono Nostra Signora Patti Smith, i Television... e invece mette dentro gli Yello che per quanto grande sia la mia passione per la Svizzera...).

Tieni solo presente che gli Oasis qui riempiono (o riempivano perche' mi pare che fortunatamente si siano sciolti) gli stadi, essendo l'espressione di un pub rock di grana grossa che accompagna le impressionanti libagioni e il conseguente vomito in strada della plebe disperata di questo posto.

E che la lotta all'ortodossia qui e' stata smantellata da almeno 25 anni, iniettando nella popolazione dosi da cavallo di celebrity & corporate culture.

Nicola -

Non so quanto sia piu' "faticoso", piu' che altro mi sembrano fatiche diverse, considerando che per l'uomo medio il grado zero di fatica e' aprire la televisione e ingurgitare quello che viene proposto, scegliendo tra canali che mandano tutti se non la stessa cosa, almeno un'offerta di opzioni tutte omologate e inoffensive.

(Detto per inciso, per me e' un grado di fatica immenso, cosi' come e' impossibile capire il Sun: perche' anche quelle esperienze richiedono continuita' e la comprensione di una cultura che se non hai mai conosciuto diventa a tratti incomprensibile. Prova a capire Beautiful a partire dalla puntata 157... Diceva in un'intervista citata nel libro di Stubbs il musicista noise giapponese Merzbow: "If noise means uncomfortable sound, then most pop music is noise to me").

Pur non possedendo la risposta alla domanda di Stubbs, credo che sia in qualche modo inerente la modalita' di fruizione/ osservazione dell'oggetto artistico.

Se vai alla Tate (e io ci passo almeno una volta alla settimana, anche solo per bermi una tazza di te' nella members room con vista sul fiume e vedere cosa c'e' di nuovo), ti rendi conto immediatamente che molte persone, come giustamente osserva Myriam, si concentrano su alcuni, perdonami se uso questo termine, brands (Picasso, Rothko, la Tate e' un brand in se': pensa solo al fatto che il signor Tate era uno schiavista industriale dello zucchero che usava la sua passione per l'arte come visionaria forma di corporate social responsibility communication...) e ne tralasciano altri: la sala dedicata alla Fluxus e' perennemente vuota se non ci vedi qualcuno che la attraversa di corsa.

Alla Tate ti puoi muovere molto agilmente, ma invece pensa cosa significa andare a sentire Hymnen di Stockhausen (anche questa un'esperienza che ho fatto, qui al Barbican). Te ne stai seduto per 2 ore in una sala buia, con una luce che illumina dei registratori, a confrontarti con suoni totalmente cacofonici. Richiede un impegno (anche pregresso rispetto all'esperienza: devi almeno avere letto cosa Stockhausen cercava di comunicare) che , come dici, lo spettatore di Beautiful che trova la sua vita gia' di per se' faticosa, non e' disposto a intraprendere.

Ti ricopio un consiglio comparso su Radio Times (il nostro Radiocorriere TV) nel 1930, a proposito di fruizione domestica della musica:

"Choose your programmes as carefully as you choose which theatre to go to. It is just as important to enjoy yourself in the home as in the theatre.

Listen as carefully at home as you do in a theatre or concert hall. You can't get the best out of a programme if your mind is wandering, or if you are playing bridge or reading, give it your full attention. Try turning out the lights so that your eye is not caught by familiar objects in the room. Your imagination will be twice as vivid".

Chissa' cosa penserebbe il direttore di Radio Times del nostro ascolto in macchina o in strada con l'iPod...
Fabio ha detto…
Myriamba -

Eccellente osservazione, vedi anche il mio commento a quello che diceva Nicola. Non sono tanto d'accordo pero' sul fatto che certi concerti vadano facilmente sold out. Qui al Barbican all'inizio dell'anno hanno fatto due giornate dedicate a Stockhausen e Xenakis ed eravamo abbastanza in pochi (tutti barbuti e in giacche di velluto con le toppe...).
Anonimo ha detto…
ma i primi Yello erano mitici... crediammƩ.

JC
Fabio ha detto…
Posseggo solo You gotta say yes to another excess, e saranno 25 anni che non gira sul mio piatto, ma provero' a riascoltarlo quando tra qualche giorno tornero' a riabbracciare la mia collezione di vinili.

Anche di Claro que si avevo sentito parlare bene all'epoca.
Unknown ha detto…
in occasione di Berio nel 2001 al Royal Festival Hall avevo avuto difficolta a trovare i biglietti..C'e' anche da dire ragazzuoli cari che la Tate e la televisione sono gratis..il Sun costa 20p ..i concerti di musica contemporanea a partire dai 20 pounds piu' o meno..ok sempre meno del degli Oasis, ma li puoi trovare delle biondine con minigonne ascellari e decolte' inguinali che non trovi a Stockhausen. Io preferisco i barbuti in giacca di velluto, oh yeah! Quindi al concerto degli Oasis, associ musica alla dimensione festa umana. E bisogna anche tenere conto del baraccone mediatico. Ecco i concerti di Berio e compagnia bella sono un attimino piu' provanti.. e' anche una questione di sensibilita'..Ok che sig.Tate non fosse un santo ma anche sig.Saatchi.. che visto la moglie e' dovuto andare ad un paio di concerti degli Oasis! :)
Unknown ha detto…
e a propositio del commento di Radio Times: ecco perche' sono ancora l'unica che non ha l'IPOD!
Fabio ha detto…
A questo proposito, mi sono fatto l'idea che la ragione per la quale della Saatchi Gallery parlano solo il Times e il Telegraph (ma non il Guardian, Time Out, ecc.) dipenda proprio dall'orientamento politico di Saatchi. Non so se sia cosi' ma non mi spiego come mai si parli cosi' poco delle belle mostre nella sua galleria (centrale, gratis, architettonicamente interessante...).
Anonimo ha detto…
"Chissa' cosa penserebbe il direttore di Radio Times del nostro ascolto in macchina o in strada con l'iPod..." era una vita notevolmente piĆ¹ lenta dell'attuale. il che spiega (quasi) tutto. Nemmeno io posseggo un ipodio, tra l'altro...

JC
Fabio ha detto…
Che poi, nel mio iPod ho Stockhausen, Varese, Xenakis... Li ascolto come ascolto i Sonic Youth, Karen Dalton, Miles Davis e potrei andare avanti per alcuni giga.

Credo che non sia questione di avere o non avere un iPod, quanto di cultura d'uso dello stesso (cosi' come il telefono portatile, che tu JC ricorderai quanto aborrivo: dipende in fondo dall'uso che ne fai).