Strokes, Is this it (Rough Trade, 2001)
Ultimamente i miei percorsi di ascolto sono diventati davvero erratici e a me stesso incomprensibili.
Non ho capito neanch'io come mi sia venuto in mente di riascoltare il primo disco degli Strokes. Il cui promo arrivo' nella mia cassetta della posta durante la mia prima estate londinese perche' lo recensissi sul Manifesto, e di quell'estate memorabile divenne colonna sonora, per poi venire archiviato credevo per sempre.
In realta', riascoltato a quasi dieci anni di distanza, Is this it resta un dischetto formidabile. Un aggiornamento dei Velvet Underground ritmici del terzo disco, immersi in una soluzione di Modern Lovers, Ramones, Television, Blondie, Talking Heads, Feelies, Smiths, REM, Pixies. La musica con la quale sono cresciuto, alla quale so di poter sempre tornare come si ritorna a casa.
Gli Strokes non dissero nulla di nuovo. Dopo Is this it non suonarono piu' una nota che valga la pena recuperare. Eppure alcune tracce di quel primo lavoro (direi la title track, The modern age, Last nite, Take it or leave it) restano esempi di rock come andrebbe sempre suonato, con la giusta energia, quella capace di fare stare bene, di lasciarsi alle spalle almeno un po' di grigia realta'.
Mi riprometto di ritrasmetterli presto a Prospettive Musicali, durante le vacanze di Natale (approfittando del fatto che sto preparando una puntata monografica dedicata a Rough Trade, vi rivelo).
Sentite come suona ancora bene Last nite.
Non ho capito neanch'io come mi sia venuto in mente di riascoltare il primo disco degli Strokes. Il cui promo arrivo' nella mia cassetta della posta durante la mia prima estate londinese perche' lo recensissi sul Manifesto, e di quell'estate memorabile divenne colonna sonora, per poi venire archiviato credevo per sempre.
In realta', riascoltato a quasi dieci anni di distanza, Is this it resta un dischetto formidabile. Un aggiornamento dei Velvet Underground ritmici del terzo disco, immersi in una soluzione di Modern Lovers, Ramones, Television, Blondie, Talking Heads, Feelies, Smiths, REM, Pixies. La musica con la quale sono cresciuto, alla quale so di poter sempre tornare come si ritorna a casa.
Gli Strokes non dissero nulla di nuovo. Dopo Is this it non suonarono piu' una nota che valga la pena recuperare. Eppure alcune tracce di quel primo lavoro (direi la title track, The modern age, Last nite, Take it or leave it) restano esempi di rock come andrebbe sempre suonato, con la giusta energia, quella capace di fare stare bene, di lasciarsi alle spalle almeno un po' di grigia realta'.
Mi riprometto di ritrasmetterli presto a Prospettive Musicali, durante le vacanze di Natale (approfittando del fatto che sto preparando una puntata monografica dedicata a Rough Trade, vi rivelo).
Sentite come suona ancora bene Last nite.
Commenti
Nicola
N.
Qohelet
Pensa che e' una versione che qui non ho nemmeno mai visto. Il fatto che si preoccupino di censurare gli Strokes dice molto del livello di liberta' di espressione nella Repubblica dell'iniezione letale, che ha il coraggio di spacciarsi per democrazia.
Qohelet -
Io posseggo solo il primo e il secondo loro disco, ma mi e' venuta voglia di riascoltare soltanto Is this it. Negli ultimi anni ho iniziato a interessarmi ad altro e ammetto di averli un po' trascurati.
un antipatico e supponente JC
Non lo so JC. Bisogna considerare anche il fattore anagrafico.
Se Is this it uscisse oggi non lo comprerei: ma credo, purtroppo, per sopraggiunti limiti d'eta'.
Il rock e' il mio passato. E' un mezzo che perpetua ricordi. Non posso piu' dire di sentirlo come quando avevo venticinque anni, ma del resto non so nemmeno se avrebbe senso.
JC
Questi almeno hanno mostrato di avere ascoltato abbastanza rock dei tempi antecedenti alla loro nascita. Non ĆØ poco.
Nicola
sembravano dei baccalĆ ; dei manichini di Dolce e Voltagabbana.
JC
Domenica avevo un appuntamento da Rough Trade, e non ne potevo piu' che la persona arrivasse per scappare al piu' presto.
La musica dei ggiovani del 2010 quella si' e' davvero di cartongesso. Dei 100 dischi dell'anno di Rough Trade ne posseggo uno solo e gli altri se anche me li regalassero troverei una scusa per non ascoltarli.
Va bene, e' per questioni generazionali, ma davvero oggi trovo molta piu' freschezza nel jazz, nel folk, nella contemporanea, nella classica, nella world music che in qualsiasi disco rock uscito negli ultimi 5 anni.
(Ieri peraltro su BBC Radio 3 andava in onda un programma di musiche folk di Natale da tutto il mondo: a un certo punto ci hanno cacciato in mezzo Money dei Pink Floyd. Geni, sono dei geni).
Per il resto concordo sull'idea di Fabio che le soddisfazioni maggiori arrivano da altri generi e altri territori.
Nicola
Ma lo ripeto ancora una volta, e' probabile che se invece di essere nato nel 1965 fossi stato generato nel 1990, mi piacerebbero molto.
Stamattina ho comprato un disco di bluegrass e uno di musiche della tradizione sefardita (gli ebrei spagnoli).
Musiche nuove? Certo che no, ma per me nuovissime e fresche come una bella mattina di primavera.
Comprando il centimilaottocentoventisettesimo disco di musica rock della mia collezione credo che il risultato sarebbe uno solo: di annoiarmi fino alla depressione.
Questo parla da sƩ, direi.
Nicola
Se ti piacciono le sue magnifiche suite per violoncello, ti straconsiglio (casomai non lo conoscessi gia') un altro compositore barocco, Heinrich Ignaz Franz Biber (vissuto qualche anno prima di Bach).
Le sue sonate per il Rosario trattavano il violino piu' o meno come Lee Ranaldo e Thurston Moore tratteranno le chitarre all'inizio degli anni 1980. Con una tecnica, infatti, che Biber chiamava scordatura.
Musica miracolosa, di una modernita' impressionante. Non a caso, io Biber lo scopersi a Other Music, negozietto indipendente di Manhattan amato dai Sonic Youth...
Elena
Il rock negli anni si e' storicizzato. Non vedo grande differenza tra ascoltare una sonata di Bach e Exile on main street, Kind of blue e Harvest.
Poi certo, le modalita' di diffusione sono cambiate. Quando io ero giovane non c'era Youtube. Si leggeva Rockerilla, e poi si prendeva il treno e si andava a Milano a cercare i dischi dei quali si era letto, nei negozi che importavano musica dagli Stati Uniti d'America e dall'Inghilterra.
Ecco, sai cosa Elena? Io credo di essere rimasto piu' affezionato a quelle modalita' di ricerca e conoscenza, che a un genere di musica particolare.
Mi vedo sedicenne salire su quei treni, scendere a Milano Centrale, prendere la metropolitana, fare tanta strada a piedi, scartabellare tante vasche di LP, ripartire per tornare a casa con una bella borsa piena di vinili.
E sorrido. Poi chissa', magari i giovani di oggi sorrideranno rivedendo se stessi mentre per ore guardano la televisione MTV, o scaricano la musica sul computer, senza fare alcuna fatica, senza la necessita' di scegliere per via di risorse economiche scarse.
Io continuo a pensare che siano esperienze diverse, ma sono passati davvero tanti tanti anni da quando salivo su quei treni, e il mondo e' proprio cambiato completamente.
adesso ascolto i Jacobites, i Tinariwen e gli SS-20 con la stessa gioia ed esaltazione...
JC
Pero' capisco quello che dite. Esiste un'eta' nella quale si sceglie di auto-rappresentare la propria generazione come diversa da tutte quelle che l'hanno preceduta, di esprimere stili e paradigmi nuovi, inediti.
Lo si fa per tre ragioni secondo me.
La prima, la ricordo ancora molto vividamente, e' una forma di contrapposizione con il sistema educativo, quella scuola cosi' appiattita sulla celebrazione del passato da far nascere, per contrasto, un grande amore per il presente e la modernita' (almeno quando andavo a scuola io, ma probabilmente le cose non sono cambiate molto negli ultimi trent'anni nella scuola).
La seconda credo che sia la non conoscenza del passato: come per il presente, perche' le esperienze culturali del passato ci appartengano e' necessario elaborare percorsi propri. E per questo ci vuole tempo. A volte, tutta la vita, e ancora non basta.
La terza e' un elemento di speranza e fiducia nel futuro che poi, gradatamente, un po' si perde (parlo per me, ma credo sia un'esperienza che i lettori di Engadina Calling condivideranno). E quindi il passato finisce per essere visto come zavorra che impedisce un rapido cambiamento.
Discorso lungo per dire che avete ragione entrambi Elena e JC: dipende dalla prospettiva temporale con la quale si guardano le cose.
Trovo invece un po' triste chi vive tutta la vita nel presente, senza sentire il bisogno di viaggiare nel tempo. Chi vuole essere sempre alla moda. Ridicolo invece, non triste, chi vuole anticipare i tempi: ma dove state correndo?