David Grubbs, Rickets & scurvy (Drag City, 2002)
La riscoperta degli ultimi giorni e' questo album, che non ascoltavo da una vita e nemmeno ricordavo di avere.
Quando usci', una decina di anni fa, ricevevo ogni settimana pacchi di dischi, che finivo per ascoltare una o due volte e poi archiviavo dopo avere scritto dieci righe per il Manifesto/ Alias. Alcuni li ho recuperati solo dopo anni, per scoprire che avrebbero meritato molta piu' attenzione.
David (definito da Liberation le plus Français des Américains) mi capito' di intervistarlo proprio per il Manifesto, quando ancora stava a Chicago. Ricordo che mi diede appuntamento alla stazione di Damen & Milwaukee a mezzogiorno di un sabato e mi invito' nella sua graziosa casa, una villetta circondata da girasoli. Pensavo di intervistarlo e venire via subito dopo, e invece passammo tutto il pomeriggio insieme, in giro per i negozi di dischi di Wicker Park.
Da quel pomeriggio l'ho incontrato abbastanza spesso, a Chicago, Milano, Londra, e quando non abbiamo occasione di vederci di tanto in tanto ci scriviamo: recentemente mi ha mandato una foto molto bella di suo figlio letteralmente appeso alla barba del pazientissimo Will Oldham.
Rickets & scurvy e' un disco piu' intricato di quanto possa sembrare ascoltandolo distrattamente. Il lavoro chitarristico e' davvero superlativo, dal fingerpicking di Transom (aperto dall'elettronica dei suoi amici Matmos) alla bossanova di Don't think (che si trasforma in chiave Tortoise dopo la prima meta').
Ma il gioiello dell'album arriva alla fine e si intitola Kentucky karaoke: una ballata per piano e voce, con un testo semplicissimo (Here's a prediction: when you have stories to tell, you will tell them) ripetuto su accordi che possono addirittura ricordare una Gymnopedie (o la traccia di apertura del primo suo album solista Banana cabbage, potato lettuce, onion orange, che usci' su Table of the Elements nel 1997 e da molti anni non e' piu' disponibile).
Se da qualche anno non lo riascoltate, spero di avervi dato una buona idea per gli ascolti rilassati del fine settimana.
Quando usci', una decina di anni fa, ricevevo ogni settimana pacchi di dischi, che finivo per ascoltare una o due volte e poi archiviavo dopo avere scritto dieci righe per il Manifesto/ Alias. Alcuni li ho recuperati solo dopo anni, per scoprire che avrebbero meritato molta piu' attenzione.
David (definito da Liberation le plus Français des Américains) mi capito' di intervistarlo proprio per il Manifesto, quando ancora stava a Chicago. Ricordo che mi diede appuntamento alla stazione di Damen & Milwaukee a mezzogiorno di un sabato e mi invito' nella sua graziosa casa, una villetta circondata da girasoli. Pensavo di intervistarlo e venire via subito dopo, e invece passammo tutto il pomeriggio insieme, in giro per i negozi di dischi di Wicker Park.
Da quel pomeriggio l'ho incontrato abbastanza spesso, a Chicago, Milano, Londra, e quando non abbiamo occasione di vederci di tanto in tanto ci scriviamo: recentemente mi ha mandato una foto molto bella di suo figlio letteralmente appeso alla barba del pazientissimo Will Oldham.
Rickets & scurvy e' un disco piu' intricato di quanto possa sembrare ascoltandolo distrattamente. Il lavoro chitarristico e' davvero superlativo, dal fingerpicking di Transom (aperto dall'elettronica dei suoi amici Matmos) alla bossanova di Don't think (che si trasforma in chiave Tortoise dopo la prima meta').
Ma il gioiello dell'album arriva alla fine e si intitola Kentucky karaoke: una ballata per piano e voce, con un testo semplicissimo (Here's a prediction: when you have stories to tell, you will tell them) ripetuto su accordi che possono addirittura ricordare una Gymnopedie (o la traccia di apertura del primo suo album solista Banana cabbage, potato lettuce, onion orange, che usci' su Table of the Elements nel 1997 e da molti anni non e' piu' disponibile).
Se da qualche anno non lo riascoltate, spero di avervi dato una buona idea per gli ascolti rilassati del fine settimana.
Commenti
JC DRAGged in the CITY
Non sono mai riuscito a capire dove si siano arenati veramente. Credo molto semplicemente che i tempi siano cambiati, e gli hipsters che seguivano quella scena si siano a un certo punto rivolti altrove (al new folk, ad esempio).
E cosi' Grubbs, O'Rourke, i Tortoise, i June of 44, ecc. si siano trovati improvvisamente senza pubblico. E quando hai pregustato un successo anche se di nicchia, la sua mancanza immagino generi tensioni. E cosi' in breve tempo e' finito tutto.
Oggi David nemmeno riempie il minuscolo Luminaire, e il suo pubblico e' quello di allora. Si dedica alla sua carriera accademica e alla famiglia che adora, incidendo dischi con i suoi amici quando ha qualcosa da dire, senza affanno.
E' una persona bellissima David, di straordinaria sensibilita', un amico prezioso.
I Godspeed sono stato l'ultimo gruppo che ho visto, prima del mio sabbatico dai concerti di musica rock che dura da oltre un anno, in attesa che mi torni voglia di ascoltare musica rock dal vivo.
I Godspeed hanno avuto intuizioni geniali, che gli Arcade Fire hanno semplificato, banalizzato, rese lamentose e pompose (sul genere musica da stadio: Springsteen/ Coldplay) e vendute.
Dei Godspeed mi piace anche l'attitudine, molto comunitaria, come ho avuto modo di osservare un anno e mezzo fa, quando mi capito' di incontrarli alla Royal Festival Hall, a un aftershow di Charlie Haden.
JC
Se ti ricordi, Tropici e Meridiani (nome che peraltro mi pare di ricordare scegliemmo insieme) nacque con quello spirito, al quale mi pare che Prospettive Musicali sia ancora piuttosto fedele.
I generi passano, ma se li hai ascoltati con passione ti lasciano sempre qualcosa.
"L'odierna frenesia del divorare tutto in fretta" e', insieme alla piaga delle edizioni deluxe e espanse che rendono i dischi che abbiamo amato delle solfe di durata e presentazione insopportabili, la ragione per la quale personalmente ho perso interesse per il pop/ rock, se non nelle sue frange piu' contaminate e meno revivaliste.
Che, appunto, devono molto al post-rock, magari solo implicitamente.
E comunque i dischi dei Tortoise e dei Gastr del Sol mi capita ancora di ascoltarli con piacere. Sono stati anni interessanti, di scoperte e approfondimenti.
era e resta grande musica, altroché, con l'ulteriore merito di scatenare una riscoperta sui suoi prodromi che mi ha allargato gli orizzonti ancor di più.
JC "Bitchin' without brew"
Non leggo la stampa musicale inglese da alcuni anni, la trovo irritante, a Mojo e Uncut dedico ogni mese 2 minuti e mezzo a testa, in piedi all'edicola. Quindi ammetto di non essere informato sulla musica pop di adesso. Pero' mi sembra si sia un po' tornati alle parrocchie, come quando eravamo molto piu' giovani.
Bisognerebbe riprendere quel discorso interrotto prematuramente, proprio per recuperare quel senso di sorpresa.
ormai, i tmepi dei fenomeni che partono underground e poi si impongono, sono finiti per sempre: divorati da mille piccoli frattali di sub-sub-sub generi. oppure, come giustamente dici tu Fabio, "parrocchiette".
JC
Non con superficialita', ma approfondendo, ricercando: calando quello spirito nel presente.
Credo sia importante anche procedere "per sottrazione": ripartire, con chiavi di lettura e interpretazione nuove, dimenticando strade gia' percorse, aprendoci nuovi sentieri sul territorio musicale.
Sia andando dove non siamo ancora stati, che ascoltando in modo nuovo dischi della nostra collezione che per troppo tempo abbiamo dimenticato di avere (come in questo caso).
Resta il fatto che a mio parere la frammentazione della quale dici non mi sembra stia generando grandi dischi: in tanti anni che ascolto musica, il pop/ rock non mi e' mai sembrato cosi' agonizzante.
E noi disprezzavamo gli anni 80 eh? Ci fossero adesso un Paisley Underground e una SST...
JC "those important years"
cambiato il contesto, devono cambiar eanche i metri di guidizio attuali: nel sendo che un MARQUEE MOON, un DAYDREAM NATION o un KID A non sono più possibili, molto probabilmente. Dunque tocca accontentarsi, o scavare più indietro. l'attualità, insomma, è quel che è, benché trovo che offra ancora cose ottime.
JC
Sull'attualita' lo sono solo in parte, almeno sull'attualita' pop/ rock. Mi sono spesso domandato se mi da' piu' fastidio il fatto che non escano piu' Marquee Moon, ecc., oppure il fatto che la stampa musicale continua a incensare dischi men che mediocri (Mojo ha fatto disco del mese tal Rumer, una specie di Laura Pausini di qui), senza aprire una riflessione critica seria.
Perche' il discorso sui voti che fai tu, loro mica lo fanno.
Allora la domanda che mi pongo e': non se ne accorgono, oppure lo fanno apposta?
Perche' se lo fanno apposta sono veramente stronzi.
o magari sono solo dei paraculi, e noi i soliti creduloni... :D
JC
Le riviste sono funzionali a fare stare in piedi questo business fatto di band/ promotori/ etichette/ locali.
Ora, se tu e io non avessimo mai scritto di musica e non sapessimo come funzionano le cose, potremmo pensare che molti dei 4 stelle su 5 siano sinceri.
Purtroppo o per fortuna, le dinamiche abbiamo avuto modo di conoscerle dall'interno, per cui sulla sincerita' di certi giudizi ho preso a dubitare.
Poi: e' mai possibile che non sia mai uscito un articolo seriamente critico su queste deluxe edition pacchiane, piene di versioni originariamente scartate per ragioni che appena le ascolti una volta comprendi subito?
Dette tutte queste cose, sulla competenza e la documentazione quando parlano del passato non si discute.
E' la visione del presente che lascia molto a desiderare secondo me (dopodiche', anche qui non sempre: ad esempio le aperture su musiche del mondo sono apprezzabili, ma sarebbe bello se dimostrassero un po' piu' di coraggio).
JC
Va ancora bene se l'operazione viene realizzata con artisti viventi (Bowie, i Cure), che evidentemente accettano consapevolmente che di dischi originariamente magici si sveli il trucco.
Nei casi che citi (Hendrix, Buckley) e in altri, e' un'operazione che mi sembra piuttosto scopertamente disonesta.
Lo dico non per noi, che possiamo riascoltare i nostri vinili d'epoca, quanto per chi si avvicina alla musica oggi ed e' indotto a pensare che *quei* dischi siano *questa* cosa qua che comprano adesso.
Mi aspetterei, da una critica musicale indipendente, una discussione su questo fenomeno: e invece, le operazioni deluxe vengono unanimemente incensate, 5 stelle e via.
Finisce che si perde interesse (o meglio: si rivolge il proprio interesse e entusiasmo altrove), ed e' un peccato.