Robin Williamson, The iron stone (ECM, 2006)

Conoscete i tre album solisti incisi nel corso dello scorso decennio da Robin Williamson per l'etichetta tedesca ECM?

Io me li sono procurati solo recentemente e sto imparando a conoscerli proprio in questi giorni.

Dopo lo scioglimento della Incredible String Band, avvenuto nel 1974, Williamson si e' dedicato allo studio della tradizione bardica e del patrimonio poetico britannico e americano, pubblicando libri e dischi di poesie recitate e cantate, di Dylan Thomas, Walt Whitman, William Blake e tanti altri.

Dei tre volumi usciti per ECM a me piace soprattutto il terzo, The iron stone, che e' anche il piu' austero e in qualche modo difficile: richiede infatti alcuni ascolti, prima di riuscire a decifrare la poetica di questo cantastorie sospeso tra tradizione e evoluzione progressiva della tradizione stessa.

Su The iron stone Williamson si accompagna con la sua arpa celtica, e a fargli compagnia sono il violinista Mat Maneri, il contrabbassista Barre Philips e Ale Moller, che suona una miriade di strumenti tra i quali la mandola, la fisarmonica, il clarino, i flauti, l'armonica.

L'atmosfera del disco non potrebbe essere piu' distante dall'estate dell'amore di ascendenza hippie evocata da tanti dischi della Incredible String Band, nonostante alcuni brani di quella formazione vengano re-interpretati qui (talvolta in modo pressoche' irriconoscibile).

Si tratta di un'evoluzione del folk psichedelico, con momenti straordinariamente ipnotici e ispirati. Se la radice lirica e' occidentale, l'interpretazione si avvale di riferimenti ad altre tradizioni (musica indiana e araba), pur se mai in modo troppo scoperto.

Musica davvero altra, da conoscere assolutamente. Sono sicuro che questi tre dischi potrebbero piacere molto a chi ama il folk moderno di Joanna Newsom, Will Oldham, Alasdair Roberts.

Commenti

CICCILLO ha detto…
beh, tanto per rispondere alla tua domanda posso dire che sì, mi sono comprato(usato) un disco di Robin Williamson, credo il primo.
mi interessava l'aspetto legato alla messa in musica della poesia e mi aspettavo anche musicalmente tutt'altro, viste le credenziali.
ma ti devo confessare che non sono riuscito ad arrivare nemmeno fino in fondo, trovavo che le poesie fossero banalizzate in un aspetto da normale ballad folk che cozzava, a mio parere, con la complessità dei testi poetici di Dylan Thomas e altri.
dunque ho deciso di rivenderlo.
però quest'ultimo, mi sembra di ricordare trasmesso in una delle vostre trasmissioni, mi pareva più interessante ma più che altro per la presenza degli strumentisti ospiti, chiaramente caldamente consigliati dal produttore...
Fabio ha detto…
A me piace anche The seed-at-zero, l'album dedicato a Dylan Thomas e alla poesia gallese che dici. Pero' concordo sul fatto che e' il meno interessante (e il piu' tradizionale dei tre).

Gia' da Skirting the river road, inciso un paio di anni dopo la musica cambio', assai probabilmente grazie agli arrangiamenti piu' complessi suggeriti dal produttore.

Su quel disco ad esempio suona Paul Dunmall, saxofonista britannico che magari ricorderai di avere ascoltato a Prospettive Musicali.

E si', ricordi bene sul fatto che The iron stone e' stato trasmesso a Prospettive Musicali, da Alessandro (con un paio di tracce), quando usci'.

E' un disco nel quale le liriche e le musiche si incontrano molto coerentemente secondo me. Potrebbe piacerti, per la ragione per la quale hai rivenduto The seed-at-zero.
lophelia ha detto…
absolutely OT: ieri sera ho visto in DVD un vecchio film di Mike Leigh che non conoscevo, "High hopes" (in italiano "Belle speranze"). Mi chiedevo se tu Fabio lo avessi visto, e nel caso cosa ne pensassi.
Ovviamente la domanda è valida per tutti - solo che essendo ambientato a Londra il primo pensiero è andato a Fabio.
Fabio ha detto…
No, mi manca. Ho visto che e' stato girato nella Londra, ancora molto interessante, degli anni '80. Cerchero' di vederlo se lo consigli.

Di Mike Leigh mi piacque molto Secrets and lies (del 1996) e ho trovato molto gradevole il piu' recente Happy go lucky (del 2008), che secondo me dice di questa citta' molto piu' di quello che si potrebbe comprendere da sofisticate analisi sociologiche.

Ne parlammo qui:

http://fabiocalling.blogspot.com/2008/05/this-is-poppy.html.

Se possibile, consiglio di vederlo in versione originale, perche' nei film di Leigh l'uso delle espressioni idiomatiche e soprattutto l'accento sono molto importanti per comprendere i personaggi e la loro provenienza sociale.

High hopes lo cerchero', provo a vedere se l'hanno alla mediateca del British Film Institute la prima volta che ci passo, mille grazie per la segnalazione.