Jaga Jazzist, One-armed bandit (Ninja Tune, 2010)
Se siete tra i frequentatori abituali di questo blog, probabilmente nelle ultime settimane avrete anche voi ascoltato molto spesso il secondo album del quintetto di Iro Haarla, una delle uscite piu' interessanti di quest'anno in ambito di jazz nordico e non solo, nonche' i recenti lavori di due componenti di quella formazione, il saxofonista Trygve Seim e il trombettista Mathias Eick.
Eick, oltre a essere tra i collaboratori degli ottimi Motorpsycho, e' anche tra i componenti di un collettivo aperto basato a Oslo, che porta il nome di Jaga Jazzist, con all'attivo cinque album (quattro dei quali stampati qui in Inghilterra da Ninja Tune).
A me piacciono particolarmente The styx (2003) e One-armed bandit, dell'anno scorso, che mi e' capitato di andare a riascoltare nel fine settimana. Il paragone piu' immediato, ascoltando i Jaga Jazzist, e' quello con i Tortoise (One-armed bandit e' stato mixato da John McEntire nel suo studio di Chicago, e si sente), ma vengono in mente parecchio anche gli Stereolab in versione strumentale.
La principale differenza dei Jaga Jazzist dai Tortoise e' il minore eclettismo: i riferimenti dei norvegesi sembrano un po' piu' limitati rispetto a quelli dei loro colleghi di Chicago (anche se, spaziando tra le colonne sonore di John Barry e le ripetizioni minimaliste di Steve Reich, non sono sicuro che siano poi cosi' limitati).
Il suono dei Jaga Jazzist e' parecchio ricco, fatto di sovrapposizioni stratificate di strumenti analogici (trombe, flauti, tuba, clarinetto, saxofono, trombone, corno francese, vibrafono, glockenspiel, lap steel guitar, contrabbasso, batteria) e elettronici (molte tastiere, drum-machines).
Alcune recensioni ho visto che citano Zappa, secondo me abbastanza a sproposito, soprattutto perche' non mi sembra che i Jaga Jazzist ne condividano lo spirito dissacrante. Piuttosto, a tratti possono tornare alla mente certi passaggi un po' roboanti che fanno pensare a certa fusion progressiva degli anni '70 (a me vengono perfino un po' in mente i Perigeo, chi di voi li ricorda? Ascoltate per esempio Music! Dance! Drama!).
Se siete ancora affezionati a certi suoni che si usavano chiamare post-rock (fusion contemporanea, di fatto) provate a dare un ascolto.
L'unica volta che li vidi dal vivo fu molti anni fa sul minuscolo palco del 93 Feet East, sul quale si muovevano urtandosi in continuazione. Assai piu' adatto a loro e alla loro ricca strumentazione e' questo studio della televisione norvegese.
Eick, oltre a essere tra i collaboratori degli ottimi Motorpsycho, e' anche tra i componenti di un collettivo aperto basato a Oslo, che porta il nome di Jaga Jazzist, con all'attivo cinque album (quattro dei quali stampati qui in Inghilterra da Ninja Tune).
A me piacciono particolarmente The styx (2003) e One-armed bandit, dell'anno scorso, che mi e' capitato di andare a riascoltare nel fine settimana. Il paragone piu' immediato, ascoltando i Jaga Jazzist, e' quello con i Tortoise (One-armed bandit e' stato mixato da John McEntire nel suo studio di Chicago, e si sente), ma vengono in mente parecchio anche gli Stereolab in versione strumentale.
La principale differenza dei Jaga Jazzist dai Tortoise e' il minore eclettismo: i riferimenti dei norvegesi sembrano un po' piu' limitati rispetto a quelli dei loro colleghi di Chicago (anche se, spaziando tra le colonne sonore di John Barry e le ripetizioni minimaliste di Steve Reich, non sono sicuro che siano poi cosi' limitati).
Il suono dei Jaga Jazzist e' parecchio ricco, fatto di sovrapposizioni stratificate di strumenti analogici (trombe, flauti, tuba, clarinetto, saxofono, trombone, corno francese, vibrafono, glockenspiel, lap steel guitar, contrabbasso, batteria) e elettronici (molte tastiere, drum-machines).
Alcune recensioni ho visto che citano Zappa, secondo me abbastanza a sproposito, soprattutto perche' non mi sembra che i Jaga Jazzist ne condividano lo spirito dissacrante. Piuttosto, a tratti possono tornare alla mente certi passaggi un po' roboanti che fanno pensare a certa fusion progressiva degli anni '70 (a me vengono perfino un po' in mente i Perigeo, chi di voi li ricorda? Ascoltate per esempio Music! Dance! Drama!).
Se siete ancora affezionati a certi suoni che si usavano chiamare post-rock (fusion contemporanea, di fatto) provate a dare un ascolto.
L'unica volta che li vidi dal vivo fu molti anni fa sul minuscolo palco del 93 Feet East, sul quale si muovevano urtandosi in continuazione. Assai piu' adatto a loro e alla loro ricca strumentazione e' questo studio della televisione norvegese.
Commenti
a dire proprio la verità, non li ho mai ascoltati
a dirla tutta fino in fondo, non sapevo neanche che esistessere
insomma, il tuo blog (e Prospettive) si conferma come un'ottima fonte di stimoli per l'acquisto
ciao
Auro
Ciao!
Qui a Londra esce tra un paio di settimane. Io ho ascoltato tre brani e sembra strepitoso.
Guarda che bello il video del brano che apre l'album, quando hai tempo:
http://vimeo.com/19667900.
E a parte tutto questo, che musica.
http://bcove.me/41j6i3fi
E i vostri musicisti hanno tutti le guanciotte rosse e le camicie da boscaiolo.
E' proprio un mondo meraviglioso quello nel quale vivi Arte, sei stata brava a trovarlo.
Norway is the new Engadina!
they're all Hobbits, really.
;)
C'e' nella musica che sento arrivare da quei luoghi una grande autenticita' - quasi una rifondazione della musica come la conosciamo, che si sovrappone al silenzio con rispetto.
Altra musica davvero, finalmente.
A me i Jaga Jazzist piacciono molto ma "One-Armed Bandit" è il loro lavoro che ho apprezzato meno: è un buon disco, pieno di idee, in parte rovinate dal mixaggio agglutinante di McEntire, che tende a rendere tutto un po’ indistinto, aiutato in ciò dai timbri gonfi dei quasi onnipresenti sint analogici (che solo chi non sia stato giovane negli anni settanta può riuscire a sopportare). Anche la batteria ha un timbro che la fa sembrare sintetica (anche quando non la è): gonfia e un po’ ottusa.
Già loro sono nove; poi in sovraincisione suonano ciascuno una caterva di strumenti ma ciò nonostante si sentono soprattutto sint analogici, che il mixaggio avvolge attorno anche agli altri strumenti in modo così appiccicoso da rendere indistinguibile il sintetico dal «naturale».
Eppure il disco ha un suo fascino: se buttassero in fondo all’Oslofjord tutto quel modernariato elettronico (e magari pure il McEntire) e risuonassero l’intero disco con i restanti quaranta strumenti (acustici ed elettrici), ne uscirebbe probabilmente un bellissimo disco.
P.S.: parte dei membri del Perigeo è tuttora attiva in ambito jazz. Franco D'Andrea, in particolare, è sicuramente il miglior pianista jazz italiano (in anni recenti ha inciso anche, in solitudine, un bellissimo «Live at Radio Popolare»: clicca sul mittente di questo commento); il mese scorso ha festeggiato i 75 anni (e il titolo di musicista europeo del 2010 conferitogli dalla francese Académie du jazz) con un tour in cui il suo quartetto -- tutto di giovani -- ospitava Dave Douglas.
Ciao
a
Ascolteremo come i Jaga Jazzist evolveranno: dovrebbero presto dare seguito a One-armed bandit.
Molto d'accordo con il tuo giudizio su Franco D'Andrea.
Ciao
a
Peraltro, da quando diserto concerti rumorosi, sento la musica assai meglio. Sara' in parte autosuggestione, ma mi pare di sentire sfumature timbriche che prima mi sfuggivano.