Keith Jarrett, Rio (ECM, 2011)
L'anno scorso, come qualche affezionato ascoltatore di Prospettive Musicali forse ricordera', rimasi per un po' di tempo letteralmente ossessionato da Jasmine, collaborazione tra Keith Jarrett e Charlie Haden.
Una sera mentre lo stavo trasmettendo mi arrivo' in studio l'SMS di un ascoltatore che diceva semplicemente: non so come possa piacerti Keith Jarrett. Non so cosa intendesse esattamente, se cioe' stesse affermando che non comprendeva come a me possa piacere Jarrett, oppure genericamente che non capiva le ragioni del succcesso del pianista americano.
Non ho mai risposto a quell'ascoltatore, dato che quando sono in studio non riesco a rispondere agli SMS che arrivano sul computer davanti a me, e finita la trasmissione esco in tutta fretta e corro a prendere l'ultima metropolitana. E il giorno dopo mi sono gia' dimenticato.
Ma insomma, la risposta e' questa: mi piace Jarrett perche' ascoltarlo mi permette di ripercorrere la storia della musica, piu' o meno da Johann Sebastian Bach a Cecil Taylor, passando per Handel, Schumann, Rachmaninov, Gurdjeff, Bartok, Cage, Monk, Evans.
Questo superlativo concerto (uno dei suoi sette del 2011), registrato il 9 aprile al Teatro Municipale di Rio de Janeiro, rende quello che ho appena scritto evidentissimo: il dialogo tra momenti storici e stilistici diversi si stempera in qualcosa di molto personale, eppure pieno di citazioni che e' un piacere riconoscere.
Mi piace specialmente l'inizio, cosi' spiazzante, senza tracce di melodia. E poi la seconda traccia, con quel suo vagare astratto e atmosferico, senza meta. Ma mi emoziono anche quando Jarrett sembra abbandonarsi ai ricordi, e le note si muovono su percorsi jazz piu' tradizionali e poetici.
In rete ho trovato una specie di trailer, che raccoglie alcuni momenti salienti di questo memorabile doppio (tra le sue cose migliori, come hanno osservato tanti prima di me). Non rende giustizia della complessita' di questo concerto, ma se ancora non vi siete procurati Rio, un'idea consente di farsela:
Una sera mentre lo stavo trasmettendo mi arrivo' in studio l'SMS di un ascoltatore che diceva semplicemente: non so come possa piacerti Keith Jarrett. Non so cosa intendesse esattamente, se cioe' stesse affermando che non comprendeva come a me possa piacere Jarrett, oppure genericamente che non capiva le ragioni del succcesso del pianista americano.
Non ho mai risposto a quell'ascoltatore, dato che quando sono in studio non riesco a rispondere agli SMS che arrivano sul computer davanti a me, e finita la trasmissione esco in tutta fretta e corro a prendere l'ultima metropolitana. E il giorno dopo mi sono gia' dimenticato.
Ma insomma, la risposta e' questa: mi piace Jarrett perche' ascoltarlo mi permette di ripercorrere la storia della musica, piu' o meno da Johann Sebastian Bach a Cecil Taylor, passando per Handel, Schumann, Rachmaninov, Gurdjeff, Bartok, Cage, Monk, Evans.
Questo superlativo concerto (uno dei suoi sette del 2011), registrato il 9 aprile al Teatro Municipale di Rio de Janeiro, rende quello che ho appena scritto evidentissimo: il dialogo tra momenti storici e stilistici diversi si stempera in qualcosa di molto personale, eppure pieno di citazioni che e' un piacere riconoscere.
Mi piace specialmente l'inizio, cosi' spiazzante, senza tracce di melodia. E poi la seconda traccia, con quel suo vagare astratto e atmosferico, senza meta. Ma mi emoziono anche quando Jarrett sembra abbandonarsi ai ricordi, e le note si muovono su percorsi jazz piu' tradizionali e poetici.
In rete ho trovato una specie di trailer, che raccoglie alcuni momenti salienti di questo memorabile doppio (tra le sue cose migliori, come hanno osservato tanti prima di me). Non rende giustizia della complessita' di questo concerto, ma se ancora non vi siete procurati Rio, un'idea consente di farsela:
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