VV. AA., American roots collection (Smithsonian Folkways, 1996)
Il manifesto della Smithsonian Folkways (etichetta no profit della Smithsonian Institution) recita:
"We are dedicated to supporting cultural diversity and increased understanding among peoples through the documentation, preservation, and dissemination of sound. We believe that musical and cultural diversity contributes to the vitality and quality of life throughout the world".
Parole che mi piacciono molto, naturalmente, e che danno molta ispirazione alle scelte di Radio Engadina e ai miei contributi a Prospettive Musicali.
E se e' vero che Smithsonian Folkways e' associata soprattutto all'antologia della musica folk americana, che come ho spesso ripetuto e' il pezzo fondamentale di tutta la mia collezione di dischi (da li' tutto ha inizio), un po' tutti i dischi pubblicati dell'etichetta di Washington DC meritano la nostra attenzione.
Questa raccolta, pubblicata in occasione dei 150 anni dell'istituzione, e' un'introduzione validissima. Ventisei tracce che spaziano tra blues, bluegrass, ballate, gospel, canzoni di protesta e jazz. Il meglio di quel patrimonio musicale ricchissimo che l'America ha generato nel corso del ventesimo secolo.
Ci sono nomi per lo piu' noti: Lightnin' Hopkins (con la sua Penitentiary blues: se dovessi spiegare a un marziano cos'e' il blues gli farei sentire questo brano), Bill Monroe (con la struggente Blue Moon of Kentucky, e poi in duo con Doc Watson), Woody Guthrie (con due tracce tra le quali This land is your land che ispiro' immensamente il primo Dylan), Lead Belly (la cui In the pines ispiro' Cobain), Pete e Peggy Seeger (quest'ultima con una traccia irresistibile, Gonna be an engineer, immenso inno femminista), Mary Lou Williams (citata tra le influenze di Thelonious Monk, Charlie Parker, Miles Davis e chissa' quanti altri). E tanti altri ancora.
Scegliere un pezzo, uno solo, da trasmettere a Radio Engadina non e' facile, mi piacerebbe ascoltare insieme tutta la raccolta. Scrivendovi pero' in una notte ancora molto fredda e un po' cupa, propongo di abbandonarci a questo notturno blues del penitenziario, peraltro terribilmente sensuale.
"We are dedicated to supporting cultural diversity and increased understanding among peoples through the documentation, preservation, and dissemination of sound. We believe that musical and cultural diversity contributes to the vitality and quality of life throughout the world".
Parole che mi piacciono molto, naturalmente, e che danno molta ispirazione alle scelte di Radio Engadina e ai miei contributi a Prospettive Musicali.
E se e' vero che Smithsonian Folkways e' associata soprattutto all'antologia della musica folk americana, che come ho spesso ripetuto e' il pezzo fondamentale di tutta la mia collezione di dischi (da li' tutto ha inizio), un po' tutti i dischi pubblicati dell'etichetta di Washington DC meritano la nostra attenzione.
Questa raccolta, pubblicata in occasione dei 150 anni dell'istituzione, e' un'introduzione validissima. Ventisei tracce che spaziano tra blues, bluegrass, ballate, gospel, canzoni di protesta e jazz. Il meglio di quel patrimonio musicale ricchissimo che l'America ha generato nel corso del ventesimo secolo.
Ci sono nomi per lo piu' noti: Lightnin' Hopkins (con la sua Penitentiary blues: se dovessi spiegare a un marziano cos'e' il blues gli farei sentire questo brano), Bill Monroe (con la struggente Blue Moon of Kentucky, e poi in duo con Doc Watson), Woody Guthrie (con due tracce tra le quali This land is your land che ispiro' immensamente il primo Dylan), Lead Belly (la cui In the pines ispiro' Cobain), Pete e Peggy Seeger (quest'ultima con una traccia irresistibile, Gonna be an engineer, immenso inno femminista), Mary Lou Williams (citata tra le influenze di Thelonious Monk, Charlie Parker, Miles Davis e chissa' quanti altri). E tanti altri ancora.
Scegliere un pezzo, uno solo, da trasmettere a Radio Engadina non e' facile, mi piacerebbe ascoltare insieme tutta la raccolta. Scrivendovi pero' in una notte ancora molto fredda e un po' cupa, propongo di abbandonarci a questo notturno blues del penitenziario, peraltro terribilmente sensuale.
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