157/ Un papà.



Dalla newsletter del Banco Alimentare di oggi:

“Davanti alle mie figlie cerco di farmi vedere sempre sorridente. Anche quando al supermercato conto gli euro per non fare brutta figura alla cassa. Anche adesso che le scuole sono chiuse e a malapena riesco a fare la ricarica dello smartphone per permettere alla grande di seguire le lezioni a distanza. Ma piuttosto che spegnerlo… rinuncio a mangiare”.

Auguri a tutti i papà, ma soprattutto a questo papà.

Commenti

CICCILLO ha detto…
una testimonianza in più che rivela, involontariamente forse, che dietro all'ostilità per la dad vi siano prevalentemente ragioni economiche, in taluni casi anche drammaticamente.

tutta la retorica sugli anni scolastici persi e le relazioni sociali nella delicata fase adolescenziale etc etc...nasconde tanta incapacità degli insegnanti a reinventarsi e tanta concezione da parte dei genitori della scuola come baby sitter.




Fabio ha detto…
Non sono un insegnante e non ho figli, quindi non sono in grado di commentare con ragione di causa. Ma in generale concordo con quello che hai scritto.

Ho spesso pensato che si sarebbe dovuta trascorrere l'estate preparandosi alla didattica a distanza. Investendo in tablet per chi non può permettersi di acquistarne uno anziché in quel non senso che sono stati i banchi con le rotelle.

Credo anche che vadano integrate le lezioni parlate con supporti audiovisivi, molto adatti alle lezioni a distanza. Ci sono tanti bei documentari che si possono proporre ai ragazzi e che renderebbero meno pedanti le mattinate dei ragazzi.
CICCILLO ha detto…
meanwhile in Paris...

https://www.liberation.fr/checknews/je-suis-prof-a-paris-jai-trois-eleves-positifs-dans-ma-classe-de-bts-pourquoi-na-t-elle-pas-ete-fermee-20210321_C2SFQ6EM2JFMVIF63DGZS3JG7Q
Fabio ha detto…
Aggiungo al tuo primo commento che tenere aperte le scuole per esempio qui in Lombardia è stato usato in modo funzionale al sistema produttivo. In due modi:

1) Si è tolto un alibi a quei genitori che chiedevano congedi e lavoro da casa per stare con i figli

2) Si sono giustificate le aperture di negozi, ristoranti, bar e centri commerciali, che forse più persone avrebbero contestato se le scuole fossero state chiuse ("Chiudete le scuole ma non i luoghi dove i giovani si possono assembrare").
CICCILLO ha detto…
caro Fabio, sono completamente d'accordo su questa tua ulteriore lettura.

è probabile che, anche a causa di questo ma non solo, io smetta a breve di insegnare.
Fabio ha detto…
Io ho da poco iniziato a fare corsi aziendali, sul tema del benessere mentale. Ho così scoperto una cosa che mi piace molto fare e per la quale mi sento portato.

Si tratta di corsi ai quali persone adulte si iscrivono per interesse e per cultura personale. Credo sia molto diverso rispetto a insegnare in una scuola. Soprattutto con adolescenti che vorrebbero essere altrove.

Tu non insegni al conservatorio? Credo che l'esperienza sia più simile alla mia. Al conservatorio ho sempre pensato che ci si iscriva per passione.
CICCILLO ha detto…
sì, negli ultimi dieci anni ho insegnato in Conservatorio e non è del tutto come dici tu.

è vero che gli studenti si iscrivono di loro volontà e presumibilmente per imparare qualcosa che gli interessa ma c'è un rovescio della medaglia che riguarda in particolare i settori jazz e pop (già, c'è anche quest'ultimo in Conservatorio, anche se può sembrare assurdo e per me lo è).

molti allievi si iscrivono senza molte volte avere chiaro quello che andranno a studiare e, grazie al meccanismo dei debiti formativi, senza in taluni casi conoscere una nota di musica o senza avere alcuna nozione di teoria e solfeggio, ritmico e cantato.
è come se all'università di lingue mi iscrivessi io che non so una parola, che so, di tedesco o meglio che sì, a orecchio ne conosco qualcuna ma non sono tanto sicuro di cosa voglia dire.

in questo modo quello che viene definito "istituzione di alta formazione musicale" diventa sovente l'equivalente di una scuola di musica qualsiasi e lo fa molto spesso per mero bisogno di allievi e questo grazie alla famigerata "autonomia" che di fatto mette ogni sede in concorrenza con le altre per accaparrarsi allievi, come credo avvenga anche nelle università (sud contro nord, etc etc...).

in questo contesto già di per sé malato si genera pure una concorrenza interna fra classici in calo di iscrizioni e jazz/pop in aumento, i corsi jazz e pop sono de facto dei diplomifici (e anche dei cattedrifici) che funzionano principalmente da bancomat per Conservatori in calo di iscrizioni e di ammortizzatore sociale per musicisti che altrimenti non suonano o non guadagnano abbastanza, sulla pelle di studenti spesso ignari di quello che significa diventare musicisti o cantanti o che spesso pensano sia l'equivalente di quello che vedono nei talnt show televisivi.

ho appena letto un documento di una neonata conferenza dei docenti jazz che chiede in base a questo un crescita degli organici dei corsi jazz e la riduzione dei contratti di prestazione d'opera (cococo e affini) che affliggono il nostro settori da decenni (io stesso ne ho fatti di ogni tipo prima di approdare alla supplenza annuale e forse l'anno prossimo al ruolo).

anche in questo settore dunque contano solo ed esclusivamente i numeri, di cosa e come si insegni non importa a nessuno, concorsi con esami non ne vengono fatti da più di vent'anni e tutto il sistema si regge su graduatorie per titoli artistici autocertificati su carta e valutati in modo del tutto arbitrario e spesso in base a simpatie personali o affinità stilistiche (mainstream contro free e via dicendo) o regionali, in un mondo come quello del jazz italiano che è già di per sé organizzato in modo feudale.

io in tutto questo mi sento e sono una mosca bianca, una scheggia impazzita, in realtà soffro molto e, come dicevo stamattina a un collega, mi pare di dover ogni giorno e ogni anno "attraversare una giungla piena di ostacoli e ora anche sempre di più di pericoli, per arrivare ogni tanto in una piccola radura illuminata dal sole dove puoi far lezione con qualche allievo bravo e simpatico, e nemmeno tutti.".

la giungla è essenzialmente costituita delle cose dette prima ma anche di tanta burocrazia piegata a fini personalistici, oltre che di tutte le fatiche e le difficoltà insite nel lavorare per anni e forse per sempre in trasferta, a spese proprie, e da un anno a questa parte anche delle problematiche legate al virus, con tanto di contrapposizioni, in collegi docenti che paiono assemblee di condoinio, fra distanzisti e presenzisti.

aggiungi il vaccino che non è previsto per chi lavora in una regione diversa dalla Lombardia e capirai perché il mio vaso stia traboccando (anzi è già traboccato!).


io ho iniziato a fare graduatorie nel 2004, ho avuto il primo contrattino nel 2011 e nel 2018/19 sono entrato in una graduatoria nazionale pur restando ancora precario, con tempi di questo genere si fa in tempo a stufarsi di qualsiasi cose e infatti mi sono stufato.

Fabio ha detto…
Il tuo è un messaggio bellissimo, che merita di essere letto e riletto con attenzione. Anche perché attraverso la tua esperienza, parli di un mondo.

Recentemente ho cercato di aiutare un'ascoltatrice di Prospettive Musicali che ha pubblicato un libro molto bello a promuoverlo. Mi sono solo avvicinato un poco a quel mondo. Ho intinto un alluce, come dicono gli inglesi.

L'impressione che ho tratto è stata quella di un'organizzazione feudale, come dici tu. Un mondo chiuso e arroccato che guarda con grande diffidenza lo straniero. Chi non ha acquisito diritti di cittadinanza per conoscenze o nepotismo, può scegliere di restare a galleggiare fuori dal porto e attendere il suo turno se e quando verrà. Oppure perdere le speranze e fare altro.

Recentemente Giovanna e io abbiamo aiutato un nostro amico a pubblicare un romanzo partecipando a un'iniziativa di crowdfunding. Gli auguro ogni successo, ma so anche che la strada è in salita.

Mi devo dimenticare quello che so e far finta di niente quando compro un libro pubblicato da Einaudi, Feltrinelli, Adelphi.

Del mondo dell'insegnamento musicale non so nulla, ma leggendo il tuo commento mi è venuto da fare i paragoni che ho scritto.

Le nostre sono spesso riflessioni un po' amare, Francesco. Ma purtroppo si rivelano spesso assai realiste. Questo nostro scambio è per me prezioso.
CICCILLO ha detto…
secondo me il mondo dell'industria culturale attraversa una fase di cambiamento profondo, forse già compiuto o ancora no o non del tutto.
da una parte c'è quel vecchio mondo, appunto feudale corporativo nepotista familista e quant'altro, che protegge più o meno sé stesso dalla rivoluzione digitale e dal mondo dei social che intacca la loro egemonia e il loro potere, a volte riuscendoci e altre no.

dall'altra c'è tutto l'enorme mondo del DIY che si promuove attraverso i social o con il crowdfunding, sia in campo letterario che musicale, generando un enorme mole di proposte creative di fronte alle quali i fruitori (o consumatori) restano confusi, mancando il filtro delle scelte redazionali o produttive che finora portavano molti a fidarsi del marchio, Einaudi o ECM che sia.

i due mondi in qualche modo interagiscono, nel senso che molti musicisti o scrittori, anche pubblicati da marchi importanti come quelli nominati sopra, si fanno comunque promozione da soli attraverso i social e anzi vengono invitati dagli addetti stampa a farlo.
se uno scrittore o un musicista per esempio riesce ad avere 5000 contatti facebook, la casa editrice sa che comunque riuscirà a vendere un qualche migliaio di copie, il che coi tempi che corrono è comunque un buon investimento, anche nel mondo di coloro che non sono best sellers.

gli studenti vivono di riflesso questa situazione, molti già pubblicano cose loro, video o brani su spotify, si danno un gran daffare a pubblicizzarsi con esiti altalenanti finché magari azzeccano la mossa giusta.
esemplare nel jazz vocale il caso della cantante francese Camille Bertault che a forza di video autoprodotti in cui lei doppiava in scat con un certo virtuosismo i soli di Coltrane e altri, a un certo punto è diventata "virale", come si usa dire, e in breve tempo ha trovato un'etichetta americana che le ha fatto fare un disco e ha iniziato una carriera con anche qualche collaborazione importante, a dispetto di un esito artistico che non pare sensazionale anche se neppure da buttare via.

gli esempi sono tantissimi, io stesso ho visto sui social allievi miei che hanno già migliaia di visualizzazioni del loro video, molte di più di quante io stesso o gruppi con cui collaboro, per esempio l'Artchipel, mai avranno.

quale sarà il futuro, anche dopo la fase che stiamo vivendo? boh non lo so, di certo molti musicisti hanno già cambiato mestiere e con loro anche tecnici e altre figure, gli altri sopravvivono coi diritti d'autore o il welfare familiare e aspettano tempi migliori.

non so, è difficile capirci qualcosa e tanto meno azzardare previsioni, io personalmente mi avvio al "retiro", non so ancora se buen o malo!
Fabio ha detto…
L'amico che stiamo aiutando a pubblicare mi diceva che ha deciso di finanziarsi con il crowdfunding perché le case editrici con la scusa della distribuzione e della promozione versano all'autore meno del 10% del prezzo di copertina. Salvo poi pretendere che l'autore si promuova incessantemente su vari canali social.

Che implica cambiare mestiere di fatto, perché devi dividere il tuo tempo tra scrivere e gestire il dialogo social con chi ti legge e con chi potrebbe leggerti.

Devo confessare candidamente di appartenere ancora alla generazione che usa come criterio di scelta i canali di pubblicazione tradizionale. Sono solo passato da Factory e Rough Trade a SST e Sub Pop a Drag City e Thrill Jockey a ECM, seguendo un percorso forse addirittura un po' scontato. Se non fosse precipitata in termini di qualità forse la prossima tappa sarebbe stata Deutsche Grammophon, chissà.

Però guardo con simpatia il mondo del crowdfunding e se posso faccio la mia parte. Sono invece come sai meno favorevole a esplorare i social. Temo di usarli piuttosto male, dato che seguo esclusivamente chi già frequento nella vita reale. O frequentavo, visti i tempi. E poi Einaudi, ECM, Feltrinelli, ecc.

Anch'io mi sono ritirato da tempo, se faccio eccezione per quel laboratorio ormai casalingo che è diventato per me Prospettive Musicali dal quale rilancio qualche segnale che colgo e che mi sembra degno di essere condiviso con il mondo là fuori. O là dentro, ognuno nel proprio guscio.

Non so se sia un ritiro buen o malo. Ma so che è necessario a volte, quando ci si rende conto che si ha bisogno di silenzio e concentrazione su quello che per noi è davvero importante. O per scoprire cosa è davvero importante, perché non sempre lo sappiamo.