289/ Di passato che non passa, pressione a conformarsi e conoscenza di sè.



Buongiorno cari amici di Prospettive Musicali,

Per le nostre riflessioni del venerdì, vorrei oggi farmi guidare da un saggio di Miguel Benasayag che ho letto in settimana.

Si intitola Oltre le passioni tristi, che è una molto libera traduzione dell'originale francese Clinique du mal-etre.

Descrive le conseguenze di alcuni miti del nostro tempo come la prestazione illimitata, la competizione senza quartiere, l'enfasi sull'io.

Di fronte a questi miti, molti di noi avvertono un malessere che finisce per fare da sottofondo alle nostre vite, un profondo senso di inadeguatezza individuale che non ci lascia mai.

Il saggio di Benasayag smaschera questo inganno collettivo che è funzionale all'unico modo di produzione rimasto, basato sullo sfruttamento illimitato delle persone e delle risorse naturali.

Non è l'individuo a essere inadeguato, sono gli obiettivi a essere irrealistici, sostiene Benasayag.

Ci sono almeno tre concetti che mi hanno particolarmente colpito in questo saggio e che mi piacerebbe condividere con voi.


1) Il passato che non passa.

E' una delle principali cause della sofferenza psichica, rimanere prigionieri del nostro passato per ragioni che vanno dalla semplice inerzia alla paura del cambiamento.

Ne parlava già Baruch Spinoza quando affermava che non siamo mai davvero liberi e che ogni atto di volontà è l'anello di una catena causale alla quale è molto complesso (lui diceva impossibile) sfuggire.

E sosteneva che addirittura finiamo per amare le nostre catene, perchè è più facile rispetto a sfidare l'ignoto della libertà, che lui definiva potenza di agire.

Su questo, Erich Fromm scrisse uno dei suoi saggi che ricordo meglio, Fuga dalla libertà.

Ci feci sopra una tesina in quinta liceo, e mi sembra di averlo letto ieri.

Benasayag ci invita a ragionare non in termini di storia personale, ma invece di situazione.

Chiama infatti la sua terapia psicoterapia situazionale e la incentra non sullo studio e la comprensione del nostro passato, di quel pezzo di vita che abbiamo già vissuto, ma invece sugli strumenti che abbiamo a disposizione per trasformare il nostro presente.

In termini pratici, ha senso domandarci quanto del nostro presente è tale, e quanto è passato che non passa.

E agire di conseguenza, esplorando i possibili di questo presente e poi facendo passi di libertà da quel passato.


2) L'endoscheletro e l'esoscheletro.

La nostra società, sostiene Benasayag, vuole degli individui molli (la famosa flessibilità), senza endoscheletro, che si sappiano adattare all'esoscheletro che il sistema produttivo ha pensato per loro.

L'adattamento porta all'individuo vantaggi in termini di accettazione, acquisizione di status, inserimento sociale.

Ma, e qui mi viene anche in mente la teoria della ghianda di James Hillman, questo esoscheletro non potrà mai sostituire l'endoscheletro.

Sarà solo lo sviluppo progressivo di un endoscheletro a permetterci di camminare eretti, a decidere dove dirigere i nostri passi, a sviluppare in modo autonomo i nostri talenti.

In caso contrario saremo uno strumento per obiettivi e valori che non sono i nostri.

Di nuovo, insorgerà il malessere.

Questa consapevolezza non è però abbastanza diffusa.

Gli agenti di socializzazione non fanno nulla per aiutare il bambino, l'adolescente e poi l'adulto a organizzare la propria identità personale attorno a questa struttura profonda.

Anzi, in molti casi fanno tutto il possibile per distrarre da essa, far sì che venga dimenticata affinchè l'adattamento all'esoscheletro sia totale.

Pensiamoci, sviluppiamo consapevolezza.

Quali delle nostre attività quotidiane sono sorrette da quale di queste strutture?

Come posso liberarmi dall'esoscheletro e ritrovare vertebra dopo vertebra il mio endoscheletro?


3) Conoscere come conoscersi.

Qui entriamo un po' nei territori della filosofia classica, tornando al socratico conosci te stesso.

Per conoscere noi stessi, dobbiamo sapere come farlo. 

E ci sono sostanzialmente due modi.

Il primo è concentrarci sulla nostra dimensione interiore.

Ma, sostiene Benasayag, è come se un automobilista che dovesse percorrere la tratta tra Parigi e Marsiglia si concentrasse solo sulle prestazioni della propria auto.

Altra cosa è l'esperienza di viaggio dell'automobilista che si guarda attorno, osserva con interesse il paesaggio.

Il primo automobilista, quello che pensa solo alla sua auto, considera il percorso solo in funzione della performance.

E' centrato solo su se stesso.

Il secondo invece osserva il mondo attorno a sè, e di conseguenza se stesso nel mondo, nelle relazioni.

Vuole comprendere come il mondo si manifesta dentro di sè e come egli si rapporta con il mondo.

La prima conoscenza è astratta (nel senso letterale latino di abstractio, sottrazione).

Mancano gli elementi di contesto, relazionali, che per Benasayag sono molto importanti per la conoscenza di sè.

La seconda rivela molto di più di noi stessi, perchè è l'analisi delle nostre reazioni nel contesto, ed è questa analisi che ci permette di conoscerci in modo concreto, reale.

E forse, qui sono io che parlo, a migliorarci come persone non in astratto ma in un contetsto relazionale.

Facendo un ulteriore passo avanti rispetto al saggio di Benasayag, se pensate che la psicologia positiva considera centrale per il nostro benessere la qualità della nostra sfera affettiva e relazionale, l'invito a prestare attenzione al contesto è piuttosto essenziale.

***

Ho letto la bozza di questo post alla Giò per sapere cosa ne pensasse.

E' successo verso l'1 di notte, si chiudevano gli occhi a entrambi, ma insomma ha detto che sono riflessioni un po' troppo complesse e probabilmente ha ragione.

Allora semplifichiamole un po', trasformandole in piccoli esercizi da svolgere quando abbiamo un po' di tempo.

1) Stiliamo una lista delle attività che impegnano maggiormente il nostro tempo.

Domandandiamoci cosa appartiene alle scelte del presente e cosa è un retaggio del passato che non ci rappresenta più.

Di quel passato che non ci rappresenta più, abbiamo modo di liberarci per far posto a chi siamo oggi, nel presente?

Si tratta di avviare un percorso, trovare una direzione che possiamo dare al nostro agire per vivere nel qui e ora.

2) Di nuovo, partiamo dalla lista al punto 1.

Quanto di quello che facciamo nasce da un nostro desiderio e quanto dal sentire di doverci conformare ad aspettative di altri (le persone attorno a noi, il nostro ruolo professionale, ecc.)?

Quali di queste aspettative sono particolarmente onerose per noi?

Quali conseguenze avrebbe spostare il nostro agire dalle aspettative al desiderio?

Ancora una volta, non si tratta di rivoluzionare le nostre vite, ma di portare aggiustamenti che col tempo potranno generare conseguenze positive per il nostro benessere.

3) Se teniamo un taccuino di riflessioni (un'abitudine quotidiana che consiglio), rileggiamo alcune pagine.

Quante di queste riflessioni sono astratte, autoriferite, e quante invece allargano il nostro sguardo al contesto nel quale agiamo?

Quanto spesso analizziamo fatti, anche spiacevoli, partendo dalle reazioni che abbiamo manifestato?

Anche sensazioni corporee, scrive Benasayag per il quale il corpo è uno strumento di conoscenza importante almeno quanto la mente.

In modo oggettivo, come se ci guardassimo dall'esterno.

E guardandoci dall'esterno, cosa scopriamo di noi stessi?

Cosa possiamo fare di quello che abbiamo scoperto?

Guardate che questo terzo esercizio non è facile, porta a autocritiche profonde.

Ma dei tre è secondo me il più potente, il più trasformativo.

***

Siamo finalmente alle soglie del fine settimana.

Non sappiamo ancora se andare in giro a vedere qualche installazione della settimana del design, probabilmente sì ma cercandone qualcuna un po' defilata per evitare lunghe code.

E ci stiamo già domandando quale senatore a vita incontreremo al cinema questo fine settimana, dopo che due settimane fa si è seduto vicino a noi Mario Monti e settimana scorsa Liliana Segre (che ho poi scoperto essere entrambi abitanti del quartiere).

Il tempo sarà meno caldo di settimana scorsa, ma pur sempre perfetto per stara all'aria aperta.

Sentite Gigi domenica sera, e magari oggi o domani se avete tempo e voglia ascoltate uno dei nostri podcast.

Vi abbraccio, dedicate tempo a chi amate, agli sconosciuti in difficoltà e a voi stessi,
Fabio

Commenti

Anonimo ha detto…

Mi incuriosisce non tanto la scelta cinematografica di Mario Monti, ma quella della Segre si.
Buon fine settimana
Hrundi V. Bakshi
Fabio ha detto…
Ciao Beppe!

Mario Monti è andato a vedere Zamora di Neri Marcorè, Liliana Segre E la festa continua! di Robert Guédiguian (accompagnata da 2 guardie del corpo, una a sinistra e una a destra).

Bei film e consigliati entrambi nel loro genere se avete occasione di vederli.