Beginning to see the flash
Per il momento se ne sta sul tavolino davanti al divano, e la sfoglio una decina di volte al giorno, poi non so ancora se questa monumentale monografia sui Velvet Underground finira' nello spazio in alto a sinistra della mia parete libreria (quello dedicato ai volumi di tema musicale) o in quello in alto a destra (dedicato ai cataloghi fotografici).
Le immagini che contiene (foto, poster, flyers) sono cosi' emozionanti che e' impossibile leggere un'intera pagina di testo senza interrompersi, in estasi.
Nell'introduzione, l'editor del volume, paragona l'estetica dei Velvet Underground a quella di Caravaggio, per la capacita' di padroneggiare l'arte del chiaroscuro, e non solo nell'uso del linguaggio musicale. Di conseguenza, il proposito che lo ha guidato e' stato quello di trattare la monografia sul gruppo newyorkese con la cura che si dedicherebbe alla produzione di un volume su un maestro della storia dell'arte. Con la consapevolezza che i Velvet Underground inventarono un linguaggio ancora oggi miracolosamente attuale. Che l'importanza del gruppo di Lou Reed puo' essere paragonabile alla nascita del jazz e dell'espressionismo astratto, e il loro primo album a Les demoiselles d'Avignon e alla Sagra della primavera.
Nelle foto, la maggior parte in bianco e nero, spesso i Velvet emergono dall'oscurita' illuminati da una luce bianca, gelida, come a voler prendere le distanze stilisticamente dalla psichedelia che negli stessi anni andava per la maggiore sulla costa Ovest (anche se alcuni dei poster riportati annunciano date insieme a Grateful Dead e Quicksilver, convivenza temporalmente forzata di suoni radicalmente opposti).
Contiene interviste a Lou Reed, Maureen Tucker, Doug Youle, un saggio di Jon Savage e commenti di Lester Bangs. Acquisto super-consigliato durante la spesa del fine-settimana. Ci rivediamo qui Lunedi'.
Commenti
Nicola
Preso anch'io su Amazon UK, con un bel risparmio rispetto ai 50 dollari americani (e 62 canadesi) indicati in copertina. Volevo chiedere il gift wrap e farlo trovare a me stesso sotto l'albero, poi sapevo che non sarei riuscito ad attendere.
Mi ricorda tantissimo l'uso in voga nei sixties quando di un 45 giri, ad esempio, ogni edizione locale poteva vantare una copertina originale. L'inglese, diversa dal francese, diversa dall'italiano, diversa dallo svedese...
Ecco, in tempi di omologazione e appiattimento totale, io plaudo la scelta italiana.
Sul fatto poi di preferire l'una o l'altra copertina mi sembra che ogni parere sia assolutamente legittimo.
In generale, io credo che le caratteristiche originali di un'opera, come le ha pensate il suo autore, vadano quanto piu' possibile preservate.
Con tutte le critiche che rivolgo giornalmente all'Inghilterra, devo dire che apprezzo molto il fatto che qui non doppino i film, per esempio, ma che li sottotitolino rispettosamente.
Non apprezzo affatto, invece, i doppiaggi in italiano e lo sport nazionale di alterare le traduzioni dei titoli dei film e dei libri.
Non mi sembra che mantenendo le caratteristiche originali di un'opera si contribuisca all'omologazione e all'appiattimento culturale che dici, anzi si porta a conoscenza di un gusto, anche estetico, che magari non e' quello del tuo Paese di origine.
Pensa, per dire, all'interpretazione della cucina orientale fornita da Wagamama, quindi occidentalizzata, e il mio discorso ti sara' immediatamente chiaro. Preferisci, tu che l'Oriente lo conosci bene, la versione occidentale o quella originale? Mi risponderai che preferisci poter scegliere, certo. Ma pensa, per tornare al volume di partenza, che c'e' chi non parla inglese, e quindi e' vittima delle scelte dell'A&R italiano, non potendo scegliere.
Il primo commento che mi viene solo sfogliando il volume ĆØ lo stesso di ogni altra volta: spiace per Lou e per il suo ego smisurato, ma senza togliergli niente si aggiunge molto agli "altri tre". Quanto erano importanti Cale naturalmente, ma anche Moe e il grandissimo Sterl con quel suo sguardo austero. Quanto al buon Doug... beh, in fondo ha cantato "Candy says"...
Anch'io lavorai in RCS, pero' tra il 1991 e il 1993. Ricordo bene il negozietto di via Rizzoli, dove tutto costava il 50%, e il Corriere che trovavo sulla scrivania tutte le mattine.
Erano benefit per me molto importanti. Ora mi hanno detto che e' cambiato un po' tutto, anche li'.
Bei tempi, in qualche modo. Mi manca lavorare in mezzo ai libri e al loro profumo, meno in mezzo a un certo ambiente, ma sai com'ĆØ, il primo lavoro non si scorda mai.
In via Rizzoli, dove lavoravo io, sotto gli uffici c'era la tipografia. Quando entrai, nel 1991, il sindacato era forte e il rosso il colore prevalente.
Quando me ne andai, nel 1993 non vedevi altro che manifesti della allora emergente Lega Lombarda.
All'epoca ero iscritto a Lotta Comunista e frequentavo, unico tra gli impiegati, il circolo operaio. In quel modo, vidi il mondo cambiare davanti ai miei occhi.