Colour yes

Poi la smetto, promesso, anche perche' questa Domenica per vostra fortuna finisce, pero' volevo tornare ancora sul festival del cinema francese dove hanno presentato in anteprima per l'Inghilterra un film che mi e' molto piaciuto, e che stanno proiettando in questi giorni qui al Barbican.

Si intitola Seraphine ed e' la storia di Seraphine de Senlis, oggi piuttosto dimenticata pittrice francese, vissuta a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, scoperta dallo stesso critico e collezionista che scopri' Picasso, Braque e Rousseau.

Film complesso, al punto che mi ritrovo stupito al pensiero che ha vinto l'anno scorso sette premi Cesar, piu' di La classe e Il y a longtemps que je t'aime (uno dei quali, meritatissimo, l'ha preso Yolande Moreau, musa di Agnes Varda, come attrice protagonista).

E' una pellicola leggermente manierista per i miei gusti (sembra a tratti di assistere alla versione cinematografica di un racconto di Flaubert), e pero' ha il pregio di rappresentare il potere, che la creazione artistica possiede, di rendere accettabile anche la piu' grigia delle esistenze.

La parte piu' emozionante del film e' la prima meta', che racconta il rapporto segreto, intimo, notturno di Seraphine, che di giorno fa la domestica, con la pittura. Ultima tra gli ultimi della societa' (non dimentichiamo il ruolo riservato alle donne nell'ottocento), Seraphine che e' da tutti considerata un'eccentrica si indebita per comprare pennelli e colori (alcuni, per risparmiare, li produce lei stessa pestando fiori in un mortaio) con i quali rappresentare la natura che istintivamente tanto ama.

In questo rapporto sereno con l'arte (per quanto ci sia poco di sereno nel personaggio di Seraphine), a un certo punto si inserisce il collezionista di cui sopra, con le sue promesse di fama e ricchezza. Gli equilibri si rompono e la relazione con l'arte, e con la vita, non sara' mai piu' la stessa.

Il finale come sempre non ve lo racconto (e questo e' il limite di volere scrivere post sui film: non potere commentare insieme il finale). Se siete curiosi e non trovate il DVD, lo potete leggere in qualsiasi biografia della pittrice francese. Vi dico pero' che l'ho trovato una riflessione davvero moderna e rilevante, soprattutto per il tono sobrio e non giudicante mantenuto dal regista Martin Provost (il quale cita come influenze Edvard Munch di Peter Watkins, Van Gogh di Maurice Pialat e L'histoire d'Adele H di Francois Truffaut).

E' un film che pone molte domande, soprattutto sul momento nel quale l'arte, che nasce da un confronto privato con la parte piu' profonda di se stessi, assume esposizione pubblica. E sulle conseguenze che derivano dall'intrusione spesso dirompente di questa terza parte nelle fragilita' del processo creativo e degli equilibri personali.

Un piccolo film, in fondo, capace pero' di suscitare emozioni e interessanti riflessioni.

Commenti

auro.m ha detto…
film ispirato, sostenuto da attori in ottima forma (anche quelli minori), con grandi scenografie ed un ottimo senso del ritmo.

un altro film decisamente da evitare per gli ammiratori di van damme.
auro.m ha detto…
ah si, dimenticavo: grazie :)
Fabio ha detto…
Vero, il senso ritmico del film e' perfettamente calibrato.

Il contrario accade nell'ultimo Chabrol, che ho visto Sabato sera, rovinato proprio dall'assenza di senso ritmico.

Mi raccomando Auro, se vedi film francesi interessanti, si accettano consigli. Qui grazie all'Istituto Francese arriva davvero tanto, vecchio e nuovo.
auro.m ha detto…
farollo, ma sara' dura.
l'ultimo film francese (recente) che ho visto e' stato "Sur mes lĆØvres" di Audiard, ma era il 2001.
poi, l'avvento del nano al potere ha stravolto la programmazione televisiva, resiste solo Arte.
Fabio ha detto…
Vuoi dire che non ci sono cinematografi di qualita' in tutta Nizza? Che hanno chiuso anche li'?