Larry Polansky, The world's longest melody (New World, 2010)
Credo che il fascino che la musica colta americana (da John Cage a Christian Wolff, passando per Morton Feldman e Lou Harrison) esercita su noi europei, dipenda molto dalla sua apertura e inclusivita': una naturale capacita' di combinare esperienze accademiche europee con elementi di musiche popolari quali jazz, rock e musiche del mondo (raga, gamelan...).
E' uno scambio abbastanza alla pari, se pensate che il migliore rock americano, dai Velvet Underground ai Sonic Youth, ha ricambiato il favore, incorporando in modo piuttosto evidente riferimenti all'avanguardia colta. Come ebbe a dire una volta Igor Stravinsky, Whatever interests me, whatever I love, I wish to make my own. Mi sembra un atteggiamento positivamente aperto e curioso.
Allievo di Wolff (del quale ha rilevato la cattedra al Dartmouth College) e Harrison, Larry Polansky, sembra aver fatto propria questa filosofia. L'ottima New World di New York ha da poco pubblicato un volume antologico che comprende sue composizioni scritte tra il 1978 e il 2009, decisamente eclettiche e difficili da categorizzare.
Il disco si apre con quella che e' probabilmente la composizione piu' famosa (si fa per dire, naturalmente) di Polansky, l'indefinibile Ensembles of note, dalle infinite possibilita' interpretative.
Si tratta di una melodia che puo' essere eseguita da un numero imprecisato di strumenti (sul disco, da un quartetto di fiati, un quartetto di chitarre e un percussionista) e che si costruisce poco a poco, con un procedimento che implica che ogni musicista ricordi le note suonate prima del suo turno, le ripeta e ne aggiunga una.
Col passare dei minuti le parti suonate da ogni strumento si stratificano a formare una traccia che mi ha ricordato sia My life in the bush of ghosts che i Sonic Youth di Sister e EVOL ma con Bill Laswell al basso (o i Material con Thurston Moore alla chitarra, se preferite).
Come Christian Wolff, Polansky e' un compositore apertamente politico, che da' valore all'indipendenza dei musicisti dal compositore: suggerisce algoritmi da interpretare anziche' dare indicazioni da seguire alla lettera.
E in alcune tracce introduce elementi casuali che riportano a Cage e Feldman, come l'extended tuning: mentre un chitarrista suona, un assistente modifica l'accordatura, a caso. Il senso e' quello di liberare lo strumento da qualsiasi costrizione, enfatizzando un'idea di liberta' che e' anche filosofica ed extra-musicale.
In tutto questo non si perde mai pero' un senso melodico e una istintiva piacevolezza che sono cosa rara, in queste proporzioni, in un compositore contemporaneo. Le tracce della seconda parte del volume sono per lo piu' silenziose meditazioni che accostano alle chitarre un'arpa e lasciano spazio alla risonanza (in modo non tanto diverso dalle composizioni della tedesca Eva-Maria Houben, che vi ho trasmesso qualche settimana fa a Prospettive Musicali).
E non manca un brano cantato. Si tratta di un canto operaio, che commemora l'incendio di una fabbrica di camicie a New York, nel 1911, nel quale persero la vita quasi 150 operaie: le uscite e le scale di sicurezza erano state chiuse per impedire che le lavoratrici si concedessero una piccola pausa durante i loro massacranti turni.
A ricordarci che solo la socializzazione globale dei mezzi di produzione potra' consentire la fine di quella catena di sfruttamento dei componenti piu' deboli della societa', che con la sua musica Polansky contribuisce a denunciare e, generando consapevolezza, superare.
E' uno scambio abbastanza alla pari, se pensate che il migliore rock americano, dai Velvet Underground ai Sonic Youth, ha ricambiato il favore, incorporando in modo piuttosto evidente riferimenti all'avanguardia colta. Come ebbe a dire una volta Igor Stravinsky, Whatever interests me, whatever I love, I wish to make my own. Mi sembra un atteggiamento positivamente aperto e curioso.
Allievo di Wolff (del quale ha rilevato la cattedra al Dartmouth College) e Harrison, Larry Polansky, sembra aver fatto propria questa filosofia. L'ottima New World di New York ha da poco pubblicato un volume antologico che comprende sue composizioni scritte tra il 1978 e il 2009, decisamente eclettiche e difficili da categorizzare.
Il disco si apre con quella che e' probabilmente la composizione piu' famosa (si fa per dire, naturalmente) di Polansky, l'indefinibile Ensembles of note, dalle infinite possibilita' interpretative.
Si tratta di una melodia che puo' essere eseguita da un numero imprecisato di strumenti (sul disco, da un quartetto di fiati, un quartetto di chitarre e un percussionista) e che si costruisce poco a poco, con un procedimento che implica che ogni musicista ricordi le note suonate prima del suo turno, le ripeta e ne aggiunga una.
Col passare dei minuti le parti suonate da ogni strumento si stratificano a formare una traccia che mi ha ricordato sia My life in the bush of ghosts che i Sonic Youth di Sister e EVOL ma con Bill Laswell al basso (o i Material con Thurston Moore alla chitarra, se preferite).
Come Christian Wolff, Polansky e' un compositore apertamente politico, che da' valore all'indipendenza dei musicisti dal compositore: suggerisce algoritmi da interpretare anziche' dare indicazioni da seguire alla lettera.
E in alcune tracce introduce elementi casuali che riportano a Cage e Feldman, come l'extended tuning: mentre un chitarrista suona, un assistente modifica l'accordatura, a caso. Il senso e' quello di liberare lo strumento da qualsiasi costrizione, enfatizzando un'idea di liberta' che e' anche filosofica ed extra-musicale.
In tutto questo non si perde mai pero' un senso melodico e una istintiva piacevolezza che sono cosa rara, in queste proporzioni, in un compositore contemporaneo. Le tracce della seconda parte del volume sono per lo piu' silenziose meditazioni che accostano alle chitarre un'arpa e lasciano spazio alla risonanza (in modo non tanto diverso dalle composizioni della tedesca Eva-Maria Houben, che vi ho trasmesso qualche settimana fa a Prospettive Musicali).
E non manca un brano cantato. Si tratta di un canto operaio, che commemora l'incendio di una fabbrica di camicie a New York, nel 1911, nel quale persero la vita quasi 150 operaie: le uscite e le scale di sicurezza erano state chiuse per impedire che le lavoratrici si concedessero una piccola pausa durante i loro massacranti turni.
A ricordarci che solo la socializzazione globale dei mezzi di produzione potra' consentire la fine di quella catena di sfruttamento dei componenti piu' deboli della societa', che con la sua musica Polansky contribuisce a denunciare e, generando consapevolezza, superare.
Commenti
adesso ho un listing e review service su londra, tutto nello stesso spazio. ottimo!
grazie
In ogni caso, benvenuta!
ne hai una in un post del 2008.
Davvero belle le stradine secondarie di Bankside, anche se ce la stanno mettendo tutta a rovinare la zona per sempre.
E' sempre sorprendente constatare la mano libera lasciata dalla Greater London Authority e dai vari councils agli speculatori edilizi, che in questa citta' fanno i loro comodi indisturbati.
la spiegazione ĆØ economica. ma anche politica.
urbanistica in uk ĆØ solo soldi e green belt.
quando in italia tessono le lodi dell'urbanistica anglosassone io gli tiro le pietre.
certo, hanno protetto rural england, ma a che prezzo? e poi a che prezzo per londra? non sono conservazionista nƩ ambientalista, solo che la speculazione non lascia ossigeno ad altro.
la foto ĆØ di una scritta sul muro dell'edificio che sto cercando di salvare, pochi metri a est della tate, dietro il palazzo della ofcom sul tamigi. La scritta c'ĆØ ancora: http://senzaguinzaglio.wordpress.com/2010/09/20/ratti/
Certo, ora ricordo bene quell'edificio. Ma e' una storia gia' scritta.
Ricordo che quando arrivai qui era in corso la raccolta di firme per salvare Spitalfield Market, e guarda cos'e' successo: al posto del grazioso mercato ora sorgono gli inquietanti cubi di vetro di Allen & Overy, venuti su in sei mesi...
Quando in Italia glorificano il sistema inglese, non sanno di cosa parlano: non a caso non uno di questi sedicenti giornalisti ha mai vissuto qui un anno.
Questa e' una societa' classista fino al midollo, con quartieri per ricchi, off limits se non guadagni almeno un milione all'anno, e viceversa quartieri per la classe subalterna, nei quali le yummy mummies di Chelsea mai metterebbero piede.
Stessa cosa per le scuole (i bambini ricchi di qui e i poveri di la'), la sanita', i luoghi sociali di incontro, ecc.
Una societa' costruita sulla speculazione edilizia e finanziaria, perche' mai dovrebbe impegnarsi a proteggere il suo patrimonio architettonico?
Se potessero, sono sicuro che abbatterebbero anche St. Paul's e farebbero al suo posto una banca.
E il problema e' che possono, dato che non esiste un piano edilizio cittadino, e i planning commitees dei councils li tengono in orari assurdi e non li pubblicizzano.
Myriam -
A volte si', secondo me. Per muoversi in modo sgangherato, allora tanto vale stare fermi.