La nuvola dell'inconsapevolezza
Sto sinceramente iniziando a pensare a James Blackshaw come al piu' interessante giovane talento della musica inglese. Del chitarrista di Hastings, Engadina Calling ha gia' parlato in occasione dell'uscita di quello che continuo a considerare il suo disco piu' riuscito, The cloud of unknowing del 2007. Ve l'ho anche proposto un paio di volte a Prospettive Musicali (1 e 2), la seconda in occasione della ristampa del suo primo album, Celeste, inciso nel 2004 quando James aveva solo 23 anni.
Non so quanto sia facile trovare in Italia i suoi dischi. Quando qualche giorno fa gli ho fatto questa domanda, mi ha risposto che non pensa che Tompkins Square, l'etichetta newyorkese che ha fatto uscire i suoi dischi migliori, abbia un distributore italiano (coraggio, lettori di Engadina Calling, proponetevi!).
Quindi armatevi di pazienza e preparatevi a contattare direttamente Tompkins Square e ad aspettare una quindicina di giorni prima di vedervi recapitare nella posta i graziosi digipak. Ne varra' la pena, vedrete. Lo stile chitarristico di James dicono ricordi molto quello di John Fahey, Bert Jansch, Leo Kottke, Robbie Basho. Un po' si', ma io alle colorate tele che tesse con i suoi arpeggi riconosco una notevole originalita'. Viene in mente anche Philip Glass, per quel suo gusto per una ripetizione che e' soprattutto approfondimento, ma i riferimenti sono, per cosi' dire, filosofici piu' che calligrafici.
Quello che vi propongo di ascoltare insieme e' un estratto proprio da The cloud of unknowing.
Questa e questa sono un paio di foto che ho scattato a James Sabato scorso, quando ha suonato al Watermans Arts Centre di Brentford (un bel centro culturale ubicato in un luogo improbabile tra Londra e Heathrow, sul Tamigi), in occasione della quinta edizione di Sonic Recycler.
Prima di lui hanno suonato Steve Beresford (che ci siamo persi, avendogli preferito un delizioso curry, ma l'ho sentito almeno 10 volte in questi ultimi anni e credo mi possa bastare) e Annie Whitehead, come sempre bravissima. E a seguire James Blackshaw, abbiamo ascoltato il National Jazz Trio of Scotland di Bill Wells: direi niente di che, almeno per i miei gusti.
Non so quanto sia facile trovare in Italia i suoi dischi. Quando qualche giorno fa gli ho fatto questa domanda, mi ha risposto che non pensa che Tompkins Square, l'etichetta newyorkese che ha fatto uscire i suoi dischi migliori, abbia un distributore italiano (coraggio, lettori di Engadina Calling, proponetevi!).
Quindi armatevi di pazienza e preparatevi a contattare direttamente Tompkins Square e ad aspettare una quindicina di giorni prima di vedervi recapitare nella posta i graziosi digipak. Ne varra' la pena, vedrete. Lo stile chitarristico di James dicono ricordi molto quello di John Fahey, Bert Jansch, Leo Kottke, Robbie Basho. Un po' si', ma io alle colorate tele che tesse con i suoi arpeggi riconosco una notevole originalita'. Viene in mente anche Philip Glass, per quel suo gusto per una ripetizione che e' soprattutto approfondimento, ma i riferimenti sono, per cosi' dire, filosofici piu' che calligrafici.
Quello che vi propongo di ascoltare insieme e' un estratto proprio da The cloud of unknowing.
Questa e questa sono un paio di foto che ho scattato a James Sabato scorso, quando ha suonato al Watermans Arts Centre di Brentford (un bel centro culturale ubicato in un luogo improbabile tra Londra e Heathrow, sul Tamigi), in occasione della quinta edizione di Sonic Recycler.
Prima di lui hanno suonato Steve Beresford (che ci siamo persi, avendogli preferito un delizioso curry, ma l'ho sentito almeno 10 volte in questi ultimi anni e credo mi possa bastare) e Annie Whitehead, come sempre bravissima. E a seguire James Blackshaw, abbiamo ascoltato il National Jazz Trio of Scotland di Bill Wells: direi niente di che, almeno per i miei gusti.
Commenti