Go-Betweens
Sabato sera a Londra. Tempo discreto, anche se l'aria e' ancora fresca Sarah organizza il primo barbecue della stagione per festeggiare il compleanno di Carol. La regola e' di non perdere mai i barbecue di Sarah e dei suoi amici neozelandesi: ottima musica, belle persone simpatiche, molte opzioni vegetariane, divertimento assicurato.
Ma questo e' un Sabato speciale, un Sabato che attendevo da molto tempo. Allo Shepherd's Bush Empire (cioe' a poche fermate di autobus da dove vivo) suonano loro, i Go-Betweens. E non ho dubbi su che fare. Sono le 7.30 quando prendo al volo il 237 per dirigermi verso lo storico teatro affacciato sullo spelacchiato green di questa zona multietnica dove e' impossibile trovare un vero londinese.
Quando arrivo ci sono ancora poche persone. Per loro stanno suonando gli inglesi Songdog, sgangherata formazione messa sotto contratto da One Little Indian (sempre piu' misteriosi i gusti dell'etichetta di Bjork). Folk di quello consumato dal tempo, senza poesia e senza dramma, davvero noioso. Il cantante biascica le parole rendendo incomprensibili le storie che racconta, forse l'unica cosa interessante di un set da dimenticare.
I nostri Go-Betweens salgono sul palco puntuali, alle 9, mentre il teatro si sta ancora riempiendo (in realta' ben due piani su quattro sono stati chiusi: gli appassionati seguaci del quartetto australiano sono meno di quelli attesi dagli organizzatori del concerto).
Robert sta masticando qualcosa. E' vestito come un lettore di storia medioevale dell'universita' di Oxford, abito di lino beige e camicia bianca. Grant porta un maglioncino dolcevita di un anonimo grigio. Adele e Glenn si posizionano davanti a un microfono per una versione acustica, intima e bellissima, di "Finding you".
Subito dopo inizia la fase elettrica del concerto, con "Born to a family" e ti rendi conto che i quattro australiani si stanno davvero divertendo a suonare. E sul palco ci staranno quasi 2 ore, sciorinando classici di oggi ("Darlinghurst nights", una traccia da ascoltare negli anni a venire) e del passato (su tutto una versione splendida di "Spring rain").
Torneranno ben tre volte, non risparmiandosi assolutamente. Il concerto finisce con "People say", non bella come nella versione ascoltata l'anno scorso al Barbican - quando erano accompagnati da un quartetto d'archi - ma quasi.
Esco dal locale, nella notte londinese. Vado verso la fermata del 237. Non mi spiace aver perso il barbecue di Sarah, e vi assicuro che questo significa qualcosa.
Commenti
Ciao!
Giuseppe