The great music of the past has always been built on folk music. This is the strongest source of musical fecundity... Jazz I regard as an American folk music, not the only one but a very beautiful one which is in the blood and feeling of all American people.


L'ha detto George Gershwin e a me in fondo pare una gran bella interpretazione, un bel ponte gettato tra passato e presente della musica.

E dato che oggi non mi viene da dire nulla che sappia anche remotamente di 2006, perche' non parlare dell'interpretazione che Miles Davis e Gil Evans diedero, nel 1958, proprio del capolavoro di Gershwin?

"Porgy and Bess" e' un classico di quelle serate che uno passa in casa a leggere fino a tardi, con una sola luce puntata sul vostro libro e il buio tutt'attorno a voi.

Miles che trasforma la musica di Gershwin fino a farla diventare qualcosa come la colonna sonora di un film noir ambientato in una Parigi madida di pioggia. Attorno a lui la stessa sezione fiati di "Milestones", diretta da Evans.

E Evans, che passa troppe volte in secondo piano, e che invece fu sempre cosi' vicino a Miles, dal 1947 quando fu Charlie Parker a farli incontrare, fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1988. Iniziarono a collaborare su "The birth of the cool", ma raggiunsero il punto piu' alto secondo me proprio in questo "Porgy and Bess".

Non mancano episodi vivaci in questo disco: l'apertura di "Buzzard song", "Gone" scritta da Evans (presente nella versione su CD del 1997 - quella che ho io - in due versioni diverse), la conclusiva "There's a boat that's leaving soon for New York". Ma il cuore dell'album si trova nelle composizioni piu' morbide, in quelle note di velluto che accarezzano i nostri pensieri, nell'evolversi lento, graduale, di ogni tonalita' di nero, di melodie e contromelodie.

Difficile identificare i titoli. Dopo "Summertime", la traccia numero 5, tutto si confonde, come se si trattasse di variazioni della stessa atmosfera. Come se Davis e Evans cercassero di tracciare un continuo di suono, un procedere liquido, senza salti.

Lo ascoltavo ieri sera questo disco: davanti a me i profili e le luci del Barbican e dei grattacieli della City. La strana avveniristica pannocchia urbana del Gherkin, il Lloyd's Building. Ho spento tutte le luci e mi sono messo a contemplare la musica e la citta' e, se ve lo posso dire, un po' mi sono commosso.

Commenti

PiB ha detto…
Ce lo puoi dire che ti sei commosso eccome se lo puoi dire...quel procedere liquido mi piace molto
lophelia ha detto…
Non conosco questa musica ma leggendoti mi sembra di sentirla. Credo che la cercherò presto, come scrivevo tempo fa sono agli inizi del periodo jazz.
artemisia ha detto…
Porgy and Bess!!
C'era anche quello nella collezione del nonno...se alcuni ricordano il mio post al proposito. Forse per questo mi piace tanto.
Fabio ha detto…
Pib -

Da quando mi leggi, quando rileggo i miei post lo faccio "alla maniera di Pib" e aggiungo assonanze linguistiche. Sei una presenza preziosa.

Lophelia -

Non esiste complimento piu' bello di quello che mi hai fatto. E' un po' il sogno di chi parla e scrive di musica quello di riuscire ad evocare i suoni con le parole. Per altro non sai quante volte in tutti questi anni di "parole attorno alla musica" ho pensato all'inutilita' delle parole stesse. Quello che diceva Laurie Anderson in pratica: parlare di musica e' come danzare l'architettura. Tra l'altro, apro un piccolo OT, ieri ero a cena con il mio amico Marco in un piccolo take away indiano di Brick Lane (un posto delizioso dove mangi con 4 pounds e dopo un po' che vai ti riconoscono e ti mettono sul vassoio un supplemento di curry e una macedonia senza fartela pagare - in piu' ti salutano con grandi sorrisi di quelli, sai, tipicamente indiani, aperti e simpatici, e gli altri avventori sono quasi tutti appartenenti alle comunita' indiane, pakistane e bangladeshi di East London). Nel tavolo di fianco a noi (tavoli di formica consumati dal tempo, sempre un po' sporchi che fa tanto folklore locale) c'erano due ragazze con libri di fotografia e moleskine. Una ti assomigliava tantissimo, e stava mostrando alla sua amica un catalogo di Francesca Woodman: una Lophelia londinese!

Artemisia -

Grande nonno di Cinzia! Il mio nonno paterno purtroppo era sordo, e quello materno un po' un padre padrone (pare che quando mia madre gli chiese un giradischi, da ragazzina, lui le rispose: "Non e' per comprare il giradischi, e' che poi bisogna comprare i dischi!"). Mio padre invece e' appassionato di jazz e i dischi di Miles ce li siamo sempre contesi, prima in vinile e adesso in CD. Sogno, la prima volta che faccio una scappata a casa, di prelevare "Kind of blue" dal cruscotto della sua macchina. Ne nascera' una micro-lite familiare, ma, oh well, per Miles questo ed altro.
PiB ha detto…
Una Lophelia londinese:mi fai venire in mente l'idea del doppelgänger che mi ha sempre affascinato
Anonimo ha detto…
Amo questo disco, quando qualcuno parla delle cose che ami a volte provo una piccola gelosia, passeggera per fortuna, forse perché avrei voluto trovare io quelle parole come in questo caso... la settimana è alla fine, mi sa che la passerò con questo disco, intervallando un altro miles che sto ascoltando in questi giorni, quello del live at cellar door, sei dischi ... riuscirò mai a trovare le parole almeno per questi? Ciao :)
Fabio ha detto…
Pib -

Qualcuno che "sente" prprio come noi. Davvero affascinante. Per me, che sono figlio unico, un fratello immaginario (la versione piu' nerd dell'amico immaginario insomma).

Ruckert -

Tu quoque, che invece di scrivere *di musica* scrivi *musica* direttamente. L'unica cosa che direi e' che questo disco di Miles e' un po' come se *si dovesse* ascoltare di notte, e' lui che di notte esce dallo scaffale e chiede di essere ascoltato. Di giorno non ci sono le energie, la luce, i colori giusti per le collaborazioni tra Miles e Gil secondo me, non trovi?
lophelia ha detto…
Non ieri sera ma due sere fa sfogliavo un libro della Woodman per trovare un'immagine da mettere sul blog per una serie di post sui "miei" fotografi...lo stesso facevo con la Arbus, e mi ero soffermata su due autoritratti dove lo sguardo dell'una e dell'altra trasmette lo stesso identico premonitore senso di vuoto...(per tutti quelli che leggono: la Woodman si suicidò a 23 anni, la Arbus a 48)Ma poi era una cosa troppo triste, e ho scelto altre immagini...

Anche io sono affascinata dal tema del doppio...che poi in Jung assume le caratteristiche dell'Ombra...
ma la londinese "mi assomigliava" in che senso? curiosità femminile...

E' vero, in confronto ad altri linguaggi più immediati quello verbale a volte ci sembra un'invenzione bizzarra.
Fabio ha detto…
A proposito di doppelganger, eh? Impressionante la somiglianza tra gli sguardi che contemplano un vuoto tutto interiore. Alla Arbus il Victoria & Albert Museum ha dedicato un'ampia retrospettiva l'anno scorso. Quando proposi a Radio Popolare di parlarne ricordo una mail che mi mando' Marina Petrillo, con la quale pure collaboro da una vita, facendomi notare quanto delicata fosse quella corrispondenza. Diane Arbus e' davvero disturbante nei suoi soggetti. Straordinario il suo rifiuto per la fotografia di moda, che le avrebbe dato successo immediato. E' come se il vuoto del quale parli lo avesse cercato di fotografare per tutta la vita.

Ti assomigliava perche' eri tu, nel senso che, credo capiti anche a te, uno si fa un'idea *astratta ma concreta* dei propri lettori che non conosce personalmente, e per me quella ragazza con il catalogo di Francesca Woodman e il moleskine scarabocchiato rappresentava l'idea che mi sono fatto di te tutt'attorno all'occhio che conosco.
Anonimo ha detto…
ottima proposta e ottimo album, ma c'è poco tempo per ascoltarlo,ahimé

f.
Unknown ha detto…
Fabio, mai ascoltato "A kind of Porgy&Bess" di Fresu? E'un disco stupendo..
lophelia ha detto…
L'ho comprato. Lo sto ascoltando, davanti a me ho le luci della sera nella piana industriale fiorentina*...ma mi sta piacendo molto.

*territorio a nordovest di Firenze sede di ferrovia, aereoporto e industrie
CICCILLO ha detto…
interessante la faccenda dell'immagine astratta ma concreta che ci si fa delle persone che ti leggono e più in generale di coloro che conosci in rete e non hai mai visto in faccia oppure solo una foto.
dovresti dedicargli un post.
quanto a porgy & bess l'ho sentito varie volte da amici e non lo possiedo ma quello che mi ha colpito è la foto in copertina che non avevo mai notato, molto bella.
Fabio ha detto…
F -

Il tuo messaggio e' sintetico come il tuo nome (una qualita' che a me proprio manca), ma dice molto. Capita credo a tutti noi di dedicare il nostro tempo ad attivita' di nessuna importanza, doveri sociali che rubano qualcosa che e' profondamente nostro, che e' tutto cio' che abbiamo e tutto cio' che ha senso. E si finisce per non avere tempo per un disco di Miles Davis. Ma la vita e' una, e personalemente credo che il tempo per le esperienze che ci emozionano vada trovato. Al diavolo i doveri sociali, almeno qualche volta.

Myriam -

No, non l'ho mai ascoltato ma se lo consigli la prima volta che sono in Italia lo cerco. Per che etichetta e' uscito? I dischi del Manifesto per caso?

Lophelia -

Grazie per avere condiviso questa splendida foto. Le luci gialle industriali a bassa frequenza sono proprio quello che ci vuole per ascoltare musica allo stesso tempo vedendola. Musicalmente la tua foto trovo che rimandi al suono meccanico ma ancora umano della musica tedesca dei primi anni '70: Can, Neu!, Faust, ecc.

Bruno -

E' tutto capovolto, come il negativo di una fotografia, quando si conosce qualcuno per quello che scrive. Nella realta' vedi *un corpo*, un'apparenza fisica, e solo dopo, magari, se capita, fai conoscenza di quello che pensa, sente, cosa questa persona ama, cosa le da fastidio. In rete e' proprio il contrario, prima conosci *la mente*, i pensieri, e poi, eventualmente, conosci espressione, statura, modo di muoversi. In entrambi i casi, quello che non conosci lo immagini, costruisci ritratti psicologici o fisici, a seconda degli indizi raccolti, a volte intuendoli altre volte sbagliando. Pero' non so scriverci sopra un post. Posso solo dire che entrambi i modi di incontrare e imparare a conoscere altri esseri umani mi affascinano tantissimo. Qualche giorno fa scrivevo che un'amica, in una sua mail, mi ha scritto la frase "da vicino nessuno e' normale". E' quella "non normalita'" che fa di ognuno di noi un individuo unico e irripetibile e, alla fine, credo che abbia senso entrare in contatto proprio per conoscere quella parte dell'altro che lo rende cosi' speciale. Tutto il resto si perde nella memoria.