C'era un ragazzo che come me amava i Roxy e i Talking Heads
Il programma di Ether (Southbank Centre's festival of innovation in sound and art) di quest'anno mi sembra decisamente meglio delle precedenti edizioni. Che pure hanno portato al Southbank Kraftwerk, Terry Riley, Jim O'Rourke, Jonny Greenwood e Thom Yorke.
L'idea di organizzare l'edizione 2009 sostanzialmente attorno alla collaborazione tra David Byrne e Brian Eno (due concerti nei quali verranno ripercorse le collaborazioni dei due maestri, una lecture di Eno insieme a Jon Hassell su temi come Making the world safe for pleasure/ Transcendence and intoxication: what sex, art, religion, music and drugs have in common) a me sembra l'ennesimo riconoscimento del fatto che, come sostenemmo qui quando fu pubblicata l'ultima ristampa, My life in the bush of ghosts e' in definitiva l'album fondamentale della musica degli ultimi trent'anni, la svolta che inauguro' una nuova epoca, segnando un punto di discontinuita' tra prima e dopo. Ancora oggi ascoltandolo, misteriosamente finisci per notare particolari che tra le linee angolari di quei metafisici cut-ups ti erano sfuggiti.
In modo completamente diverso, pero' amo molto anche la loro collaborazione dell'anno scorso, e forse proprio perche' con My life in the bush of ghosts non c'entra assolutamente nulla. Se ci pensate, aprire il disco con una traccia come Home, con quella chitarra che sembra uscita dalle sessioni di registrazione di The unforgettable fire, significa gia' moltissimo. Un riconoscimento di rara onesta'. I ragazzi di allora con gli anni si sono trasformati in uomini maturati con grazia. Pur sempre uomini, per i quali il tempo passa lasciando dietro di se' esperienze e tracce incancellabili. Con la consapevolezza che nothing has changed, but nothing's the same e che ev'ry tomorrow could be yesterday.
Byrne, che per scrivere i testi si ispira al suo amico Dave Eggers. E Eno che invita alle sessioni di registrazione i suoi di amici di una vita, Manzanera e Wyatt.
Musicisti liberi dal bisogno, che si possono permettere di parlare solo quando hanno qualcosa da dire. Teniamoceli stretti Byrne e Eno, anche sapendo che un seguito di My life in the bush of ghosts non sapranno piu' regalarcelo.
Con lo stesso entusiasmo, riascolto Mea culpa e Strange overtones, e aspetto Ether.
L'idea di organizzare l'edizione 2009 sostanzialmente attorno alla collaborazione tra David Byrne e Brian Eno (due concerti nei quali verranno ripercorse le collaborazioni dei due maestri, una lecture di Eno insieme a Jon Hassell su temi come Making the world safe for pleasure/ Transcendence and intoxication: what sex, art, religion, music and drugs have in common) a me sembra l'ennesimo riconoscimento del fatto che, come sostenemmo qui quando fu pubblicata l'ultima ristampa, My life in the bush of ghosts e' in definitiva l'album fondamentale della musica degli ultimi trent'anni, la svolta che inauguro' una nuova epoca, segnando un punto di discontinuita' tra prima e dopo. Ancora oggi ascoltandolo, misteriosamente finisci per notare particolari che tra le linee angolari di quei metafisici cut-ups ti erano sfuggiti.
In modo completamente diverso, pero' amo molto anche la loro collaborazione dell'anno scorso, e forse proprio perche' con My life in the bush of ghosts non c'entra assolutamente nulla. Se ci pensate, aprire il disco con una traccia come Home, con quella chitarra che sembra uscita dalle sessioni di registrazione di The unforgettable fire, significa gia' moltissimo. Un riconoscimento di rara onesta'. I ragazzi di allora con gli anni si sono trasformati in uomini maturati con grazia. Pur sempre uomini, per i quali il tempo passa lasciando dietro di se' esperienze e tracce incancellabili. Con la consapevolezza che nothing has changed, but nothing's the same e che ev'ry tomorrow could be yesterday.
Byrne, che per scrivere i testi si ispira al suo amico Dave Eggers. E Eno che invita alle sessioni di registrazione i suoi di amici di una vita, Manzanera e Wyatt.
Musicisti liberi dal bisogno, che si possono permettere di parlare solo quando hanno qualcosa da dire. Teniamoceli stretti Byrne e Eno, anche sapendo che un seguito di My life in the bush of ghosts non sapranno piu' regalarcelo.
Con lo stesso entusiasmo, riascolto Mea culpa e Strange overtones, e aspetto Ether.
Commenti
Una volta ho notato uno con una giacca molto stravagante attorno a Spitfield market.Ho fissato la sua giacca mentre si dirigeva dalla mia parte, e mentre ci incrociavamo ho alzato lo sguardo e ho riconosciuto Brian Eno ma ero troppo imbambolata in quella frazione di secondo per proferire parola. Bella giacca, pero' ..:)
La versione sinfonica di Heroes composta da Philip Glass a me non piace molto. Anzi, la trovo tra le sue cose meno riuscite, forse perche', come te, amo Heroes, Low e Lodger cosi' come sono. Non mi sembra che richiedano aggiunte, sono manifesti di un'epoca proprio perche' sono cosi' come sono, perche' il suono e' quello.
Anonima -
Io purtroppo saro' in Italia durante la parte centrale del festival (proprio quando suonera' Byrne...). Per il momento ho preso Fennesz, ma mi tentano anche Eno e Hassel.
Eno lo intervistai per Radio Popolare durante una manifestazione contro la guerra in Iraq. Persona deliziosa, un gentleman inglese di quelli che qui incontri a Hampstead.
Chi sei?
Adesso chiedo...