Somebody to love
Per millenni, un doppio comandamento ha retto la morale ebraico-cristiana: ama Dio e ama il prossimo tuo come te stesso.
Alla fine dell'Ottocento, Nietzsche ha annunciato: Dio e' morto.
Passato anche il Novecento, non e' tempo di dire quel che tutti vediamo? E' morto anche il prossimo.
Non sono convinto di condividere il sostanziale pessimismo che pervade questo ennesimo bel saggio dello studioso junghiano italo-americano, ma certamente la sua lettura mi ha fatto molto pensare.
Il libro prende le mosse dall'osservazione di quanto nel mondo contemporaneo tutti siamo perennemente impegnati a definire e ad abitare spazi sociali che poco hanno a che vedere con lo spazio fisico nel quale ci muoviamo. Dal quale anzi spesso ci isoliamo, utilizzando tutti gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione: telefoni cellulari, iPod, computer. Strumenti che ci trasportano in ambienti altri, spesso mettendoci in relazione con persone lontane ma anche generando una presa di distanza dalla realta' a noi prossima.
Tutto questo comporta un costo. Non vedere piu' coloro che ci sono prossimi significa escluderli dalla nostra sfera comunicativa e da qualsiasi scambio emotivo.
Gli esempi sono moltissimi: vi rimando al saggio di Zoja se siete interessati ad approfondire l'argomento.
Nell'ultima settimana, dopo aver letto il libro, ho scelto di fare qualche piccolo sforzo per cercare di relazionarmi con persone che casualmente mi e' capitato di incontrare sulla mia strada, con enorme soddisfazione.
Dalle due simpatiche fotografe che ho incrociato qualche giorno fa sulla terrazza di una galleria di Corso Como mentre mi divertivo a scattare sotto la pioggia (una delle quali ha poi avuto la gentilezza di lasciare nel mio Flickr un davvero generoso commento sulle mie foto), al colto e molto distinto signore inglese incontrato oggi al Curzon Soho, con il quale e' stato un piacere discutere il film appena visto (uno straordinario documentario sulla vita nel Galles rurale, che vi raccontero' appena ho un minuto).
Sono piccoli sforzi che generano pero' incontri significativi, anche se magari occasionali e se proprio vogliamo anche superficiali.
E' una scelta di imprevedibilita', che comporta rischi minimi e fa sentire molto vivi. Che richiede un piccolo investimento di tempo, e quindi salutarmente rallenta i ritmi dell'esistenza, rendendola piu' umana e piacevole da vivere.
Commenti
Ti scrivo perche' e' successa una di quelle stranissime coincidenze della vita che mi fanno sooridere e sorprendere allo stesso tempo.
E' da 10 minuti che sono ritornata a casa e mentre ero sull' affolattissimo N98 verso Willeden Green pensavo...al tuo blog. E per dirla tutto, pensavo al "ruolo" del tuo blog.
Poi ho letto il tuo posto e ho gridato al miracolo! La mia mente era tutta presa nel definire il tuo blog da un punto d vista, come dire, sociale. Ho sempre immaginato il tuo blog come un centro di idee e condivisione. Anche se lo strumento tramite cui diffondi le tue passioni e alquanto freddo e meccanico, ho sempre trovato nel tuo blog quell'umanita' che manca a buona parte del genere umano. E' forse per questo che quando leggo post su musica, autori e film che non conosco, non mi sento, come dire "ignorante" (termine un po' forte, ma e' l'unico che mi sembra da' un idea), ma sento solo tanta curiosita' che cresce in me.
E leggere il tuo post stanotte mi ha ricordato l'importanza della parola, dell'incontro, dello scambio.
Tutte coase che, grazie a Engadina Calling, trovo sempre.
Con l'augurio che il tuo blog e la tua voglia di parlarci continui per molto tempo ancora,
Un abbraccio,
Elena
Verso la fine del libro, Zoja (in genere abbastanza critico nei confronti dell'uso di Internet come strumento per comunicare: troppo mediato, in pratica), parla positivamente dei blog.
Sostiene che in un'epoca nella quale la piazza come luogo d'incontro e' di fatto scomparsa, il blog ha avviato una controtendenza.
Tra chi scrive un blog e chi lo legge e commenta, dice, si viene a creare un legame che sempre piu' spesso esce dalla rete e torna nel mondo reale.
Nei quattro anni e mezzo di questa esperienza mi e' capitato davvero tante volte, e sempre con enorme soddisfazione, di conoscere chi passa di qui.
Ieri sera ero a cena (in un posto che amo molto, Eat and Two Veg, in Marylebone, non so se ci sei mai stata, in ogni caso lo straconsiglio) con un mio carissimo amico, ricercatore alla facolta' di sociologia qui al King's College e all'Universita' di Zurigo. Parlando proprio di questa permeabilita' rete/ realta', mi ha citato tutta una serie di studi fatti in proposito, utilzzando la tecnica dei sociogrammi.
E' un discorso interessante, e magari ci scrivero' sopra un post quando ho un attimo.
Le ricerche dicono che le relazioni nate in rete sono fondamentalmente prevedibili (sai gia' molto della persona che incontri, non ci sono molte sorprese, si condividono gli stessi interessi, ecc.).
Questo, almeno per la mia esperienza, non e' particolarmente vero. Ogni incontro con i lettori di Engadina Calling mi ha sempre rivelato sorprese positive ("ma davvero una persona cosi' in gamba perde il suo tempo leggendomi?") a parte un solo isolato caso, alcuni anni fa, che cito per dovere di cronaca e pero' direi che non fa testo.
Devo dirti che ho sempre guardato con poco interesse ai tumblr (blog che traggono i propri contenuti dalla rete e li ri-immettono nella rete stessa, spesso freneticamente, senza generazione di riflessioni personali, senza spazio ne' tempo per una condivisione di idee con chi legge). Mi sembrano porsi in antitesi con "l'importanza della parola, dell'incontro, dello scambio", che tu citi e che e' esattamente la ragione d'essere di Engadina Calling.
I blog invece mi sembrano proprio affermare quelle possibilita' di incontro con il prossimo, delle quali parla il libro, a patto di mantenere bene aperte le porte della realta', di non rinchiudersi nel paradiso artificiale della rete, che di solito genera solo solitudine.
Ti ringrazio davvero: il tuo commento mi fa capire che la direzione e' quella giusta.
Spero che la timidezza non abbia il sopravvento, e nemmeno il timore di "suonare inadeguata" che per fortuna hai fatto seguire da "(?!)".
Vedermi mentre scrivo al computer del resto non e' molto diverso da andare a sentire un concerto dei Plaid :)
Mi procurero' dei visuals!
Ć molto interessante quello che scrivi su questo libro e sulla "morte del prossimo". Neanch'io condivido il pessimismo, ma credo che tutti dobbiamo riflettere sul nostro rapporto con gli altri, che non ĆØ un optional, un di piĆ¹ al nostro - privilegiato - solipsistico rapporto con noi stessi, ma il presupposto per esso.
Senza gli altri, senza la dimensione comune, la condivisione, la responsabilitĆ , noi non esistiamo.
Io di questo ho discusso e su questo ho litigato, ma ne sono convinta.
Per me, il blog ĆØ un modo per incontrare gli altri. E sono stata fortunatissima, ho incontrato persone che lungi dal deludermi si sono rivelate ancora meglio di come li vedevo come lettori o autori di altri blog.
Tra i quali tu.
Per me il blog non esclude o rimpiazza la vita reale. Casomai la completa. Si blogga e si scrive in tanti modi. Io cerco la relazione, la riflessione, non mi interessa la notizia, ma il dialogo.
E quello che dici sul guardarsi intorno, vicino a noi, ĆØ un atteggiamento che cerco di praticare tutti i giorni, e finora non mi ha mai delusa.
Stessa cosa qui. Preferisco, per dire, parlare di un disco che mi e' piaciuto magari dopo 2 mesi che lo ascolto, piuttosto che la settimana prima dell'uscita, dopo averlo scaricato e ingurgitato in tutta fretta (peraltro e' lo stesso principio che seguo quando scelgo i dischi da trasmettere a Prospettive Musicali).
Mi fai venire in mente che a me piacciono in particolare i blog aggiornati ogni 2 o 3 giorni, quando hai qualcosa da dire (come e' Pioggia Blu), lasciando poi il post all'inizio della pagina per il tempo necessario a chi ti legge per scrivere un breve commento, se crede di avere qualcosa da aggiungere. Commento che, se possibile, e' un pochino pensato, e quindi ne genera di altrettanto pensati. La riflessione richiede un po' di tempo e di elaborazione, al contrario della notizia che vive di immediatezza.
I blog che cercano "la relazione, la riflessione, il dialogo" sono un bel modo per generare prossimita', sono d'accordo con te.
Forse sono il modo piu' democratico di uso delle potenzialita' della rete (e il fatto che invece oggi a prevalere siano l'autoreferenzialita' dei tumblr e la "selezione del prossimo" in circoli chiusi di Facebook sembra confermare in parte la tesi del saggio di Zoja).
[Invece questo fatto che tu e Elena sentiate di scrivere "qualcosa di inadeguato" proprio non lo comprendo].
A parte questo, il fatto che ultimamente i blog come i nostri secondo le statistiche siano "in calo" mi sembra una selezione naturale, quindi positiva.
Per il resto, secondo me il pericolo peggiore ĆØ preferire la comoditĆ del virtuale che si puĆ² accendere o spegnere a piacimento, a fronte dei rapporti reali che richiedono una manutenzione ed una cura costante e a volte faticosa. Leggevo in rete - dalla voce delle stesse - di tante donne sposate che hanno "l'amante virtuale", inteso come qualcuno che dĆ loro le attenzioni quotidiane e la tensione seduttiva che non hanno piĆ¹ dal marito, ma che deve rimanere rigorosamente a molti km di distanza, ecco, a me sembra una cosa tristissima doversi inventare questo tipo di commedie per vivere.
Scusa Fabio se ho un po' divagato, metto il libro di Zoja nella lista insieme agli altri di cui ci hai parlato.
L'open Fabio Calling mi sembra un torneo di tennis, potrebbe essere un'idea!
Lophelia -
Fantastiche queste relazioni a distanza. Un po' come avere un tamagochi! A questo punto non si potrebbero procurare un cane? Almeno e' reale e da' amore vero.
Senza avere mai letto le statistiche in proposito, ho pero' l'impressione che sia avvenuto un travaso di interesse e lettori dalla blogosfera a Facebook, che e' senz'altro una piattaforma di comunicazione piu' agile.
I blog per me sono un po' come i libri o i dischi di vinile, e in genere mi affeziono agli oggetti in via d'estinzione piu' che alle mode del momento.
Hanno un loro pubblico di lettori affezionati, che magari preferiscono dedicare qualche minuto in piu' e leggere qualcosa di piu' che una frasetta per volta.
I blog attraggono persone alle quali piace scrivere e leggere (almeno quelli che leggo io), e magari rivelarsi un po'. Sopravviveranno come spazi di scambio di riflessioni e luoghi di incontro secondo me, con ritmi piu' umani rispetto alla frenesia dei twitter/ tumblr/ facebook.
Credo che i lettori saranno sempre meno, ma sempre meglio selezionati.
(C'e' un bel paper dell'Universita' di Amsterdam, che mi ha mandato il mio amico ricercatore, intitolato The realm of sociality: notes on the design of social software, che parla proprio di questo e distingue tra community-centered sociality e system-centered sociality, ma non vorrei annoiare nessuno).
bisognerebbe trovarsi nella situazione di avere figli, famiglia, responsabilitĆ e anni di quotidianitĆ condivise per poter giudicare. e non avendo questo tipo di esperienza, ma ascoltando i problemi di amiche che invece ci si trovano, non credo sia sempre cosƬ facile, evitare di "inventarsi questo tipo di commedie per vivere".
r.
In buona sostanza, e semplificando molto il paper, i social networks in rete si dividono in due categorie:
- quelli che implicano un numero limitato di persone, che sono di solito persone che gia' conosci (Facebook e' un buon esempio: i messaggi che scrivo possono essere letti solo dalle n persone che ho deciso di accettare nel mio network ristretto)
- e quelli, come i blog (tutti quelli senza password), aperti a tutti.
Io preferisco i secondi, soprattutto perche' mi sembra, ogni volta che scrivo qualcosa, di mettere un messaggio in una bottiglia: non so dove arrivera', ne' se chi lo leggera' sara' interessato o invece buttera' via il mio messaggio. Ha molto a che fare con la mia passione per trasmettere alla radio: la filosofia di fondo e' la stessa.
Mi sembra un modo piu' avventuroso e imprevedibile di comunicare: con prossimi che non conosco ancora, anziche' con persone con le quali, in genere, ho molti altri canali di comunicazione.
R -
Per sdrammatizzare un po', ti riporto una conversazione di qualche tempo fa con una mia amica, sposata.
Le quale sostiene che i matrimoni dovrebbero essere "a tempo". Matrimonio decennale o matrimonio brevis, quinquennale. Entrambi rinnovabili, se entrambe le parti si accordano in quel senso.
In questo modo, per usare le parole di Lophelia, non verrebbe meno quella tensione seduttiva che e' alla fine essenziale in ogni relazione d'amore. Perche' non daresti piu' nulla per scontato, dovresti continuamente ri-inventare la relazione per confermarla.
Era un discorso scherzoso naturalmente, ma qualcosa di vero in fondo lo vedo anche. Di fatto, le coppie piu' felici che conosco sono tutte conviventi non sposate.
Se mi sono permesso di esprimere giudizi avventati naturalmente me ne scuso. Resta il fatto che mi sembra che la "soluzione telematica" sia peggiore del problema (o quanto meno lo risolva solo molto temporaneamente), a te no?
Un cane fedele che ti fa festa quando torni a casa, o un gatto che ti tiene una compagnia discreta: queste mi sembrano soluzioni molto preferibili a relazioni che non possono (piu') funzionare.
r.
Quindi sono la persona meno adatta a giudicare le strategie altrui, lo ribadisco, considerando che il mio problema e' piu' spesso quello di condividere, piuttosto che di ritagliarmi spazi per me.
Resta per me un grande mistero che due persone che si vogliono bene sentano l'esigenza di ratificare questa loro unione sposandosi, non ne capisco la necessita', ma mai mi sognerei di giudicare chi sceglie di farlo.
Non era un giudizio, e non ĆØ che non sappia (e non da voci di amiche, ma da diretta esperienza di figlia) quanto una situazione familiare possa essere pesante e claustrofobica. E' che non riesco ad accettare l'idea della "finzione", usavo il termine "commedia" in questo senso e non in quello dispregiativo.
Ma sicuramente nessuno di noi ĆØ immune dal raccontarsi qualcosa per vivere.
Sull'argomento specifico comunque tendo abbastanza a condividere le idee espresse da Fabio.
ho riportato tra virgolette le parole di Lophelia solo perchĆØ le trovavo efficaci, non per sottintendere che potessero risultare offensive. ĆØ solo che forse (proprio perchĆØ non mi sento immune) mi sono immedesimata in chi se la racconta, oltre che per esperienza indiretta di quel che vedo capitare. Non lo trovo auspicabile, tutt'altro, solo che al momento non ho ben capito quale puĆ² essere, in determinati casi, l'alternativa ad alcune "finzioni".
r.
Mi verrebbe da chiedere qual ĆØ il criterio per stabilire cos'ĆØ finzione e cosa non lo ĆØ, perchĆØ un rapporto reale ne sia piĆ¹ esente di un rapporto virtuale, ad esempio. PerchĆØ un rapporto a distanza, ad esempio, debba essere piĆ¹ triste e "inventato" di uno ravvicinato.
Ma ĆØ probabile che Lophelia stia parlando di "amante virtuale", che indubbiamente sa di bambola di plastica, mentre io intendo forse un altro tipo di relazione.
In certi momenti in cui ci sentiamo schiacciati dalle circostanze forse l'alternativa non c'ĆØ, o non la vediamo, oppure ci spaventa affrontarla perchĆ© richiederebbe lavoro e non abbiamo le energie.
arte: il criterio per stabilire ciĆ² che ĆØ finzione e ciĆ² che non lo ĆØ non dovrebbe esserci bisogno di spiegarlo - poi in ognuno ha una sua demarcazione piĆ¹ o meno netta, che sotto un certo limite tende a provocare guai con la giustizia:)
Non ho detto che i rapporti reali siano esenti da finzione, anche quello sarĆ soggettivo. Nei rapporti a distanza perĆ² ĆØ molto piĆ¹ facile la sinceritĆ (come la bugia, come molte altre cose).
Comunque, non ĆØ il rapporto a distanza a sembrarmi "triste", ma il suo ruolo di surrogato.
Infine: amante virtuale = qualcuno con cui si finge una situazione erotica, ma con cui si sa per certo in partenza che non si avrĆ nessun contatto reale.
E ora mi scuso con Fabio per aver provocato un po' di casino (e averti fatto cambiare idea sul preferire i blog), e grazie per non averci ancora buttate fuori di casa:)
Anche io non ho trovato nulla di particolarmente offensivo o giudicante nelle sue parole peraltro, e francamente condivido in pieno il fatto che tutti mettiamo in pratica strategie (autorappresentazioni, per lo piu') che ci permettono di sopravvivere in momenti un po' difficili.
L'unica alternativa alla finzione e' pero', temo, guardare negli occhi la realta'. E detto francamente quando e' coinvolta la sfera affettiva, profonda per definizione, a me sembra l'unica possibilita'.
Uno puo' cercare di farsi piacere un lavoro, la casa e la zona della citta' nella quale vive, i vicini di casa. Ma, sinceramente, come puoi condividere la vita con qualcuno che non ami? Non mi sembra proprio possano esistere strategie capaci di stare in piedi per piu' di un periodo molto limitato.
E Arte anche a me sembra che il concetto di finzione sia abbastanza chiaro di suo, almeno a chi sta fingendo (ma anche agli altri in genere).
Torno un attimo su un libro che mi pare di avere gia' citato un'altra volta, Amare tradire di Aldo Carotenuto (altro studioso junghiano). Nel quale si definisce il tradimento (delle aspettative, comprese quelle di coppia) come passaggio necessario per realizzare se stessi.
Ben diverso mi sembra il tradimento con figure del mondo virtuale. Il primo mi sembra opportunita' di crescita e conquista, il secondo puro rinchiudersi in paradisi artificiali. Il primo coraggiosa apertura al mondo, il secondo pavida chiusura in se stessi.
Nessun giudizio eh. Stiamo discutendo, senza giudicare strategie e scelte altrui.
E grazie infinite per i vostri interventi, altroche' scuse. La discussione si sta facendo interessante, e conferma proprio la mia preferenza per i blog.
Sappiamo benissimo quando fingiamo, almeno noi "sani" di mente.
Il problema, a mio avviso, ĆØ stabilire quando fingono gli altri, e in che misura.
Io dico che non ĆØ la virtualitĆ o meno del rapporto a determinarne il grado di finzione, tutto qui.
Ć quest'analogia virtualitĆ = finzione che mi sembra arbitraria.
Mi pare rispecchi un concetto di realtĆ , e di rapporto, molto limitante.
Sappiamo tutti cosa ĆØ finzione e cosa no, ma davvero "sappiamo benissimo quando fingiamo"? Secondo me a volte non vogliamo saperlo, ma questo ĆØ un altro discorso - ci farĆ² un post, forse.
Riguardo a un'idea di finzione, diversa per noi o per gli altri, confesso che mi spaventa a meno che non si parli di quel margine di soggettivitĆ che si puĆ² applicare a tutte le esperienze.
in questo senso credo che Arte intendesse che nei rapporti "virtuali" possa esserci meno finzione che in quelli "reali".
alla base c'ĆØ comunque il bisogno di avere rapporti significativi con l'altro.
r.
Se poi si parla di diritto penale le regole su veritĆ e menzogna sono chiarissime, ma anche lƬ non a caso le sentenze variano notevolmente.
Certo nel virtuale ĆØ piĆ¹ facile mentire, non c'ĆØ dubbio che c'ĆØ gente che lo fa, come lo fa nella vita reale.
Comunque r. dice tutto meglio di me, quindi rimando alle sue parole.
Quello che dice R. a proposito di anestesia dall'autenticita' mi ha molto colpito. E' probabile che un po' tutti quanti ci anestetizziamo certe volte, e il confine tra coscienza e incoscienza di queste strategie e' labile (altrimenti, del resto, gli analisti come mangerebbero?).
Dette tutte queste cose, la virtualita' rischia di accelerare il processo di osmosi tra realta' e finzione, ma sospetto che certe proiezioni ci possano anche insegnare qualcosa su di noi e sui nostri desideri, no?
Il problema sarebbe forse metodologico, nel senso di quali parametri inserire.
Ć verissima anche l'ultima cosa che dici, Fabio.
insomma un bel laboratorio in cui impegnarsi sia a livello personale che sociale.
r.
r.
r: ma l'autenticitĆ non starebbe a noi cercarla, anche se sfugge, anzichĆ© sopprimere l'altro? (invertendo i termini della questione il risultato cambia)
:)
provo a spiegare meglio, intendevo solo dire che l'effetto negativo della scomparsa dell'altro e la fuga nelle relazioni virtuali, si intreccia ad una pulsione in sĆØ positiva, cioĆØ la ricerca di relazioni piĆ¹ autentiche.
r.
Cioe' la ricerca di relazioni autentiche a me sembra proprio antitetica alla negazione del prossimo.
La definizione di relazioni autentiche (prima di tutto con se stessi) implica la disponibilita' a mettersi in gioco. E invece seguendo la tesi del saggio dal quale siamo partiti, ci si rinchiude in circoli ristretti che escludono l'altro proprio per non rischiare.
Tra l'altro l'autenticita' a me sembra sia precondizione che conseguenza di un rapporto positivo con gli altri (e quindi di un riconoscimento del prossimo), no?
comunque a me sembra che, paradossalmente, alla base di questo isolarsi in universi virtuali dei tempi in cui viviamo ci sia proprio la necessitĆ di avere relazioni piĆ¹ significative con gli altri, il desiderio di entrare in una comunicazione piĆ¹ profonda.
r.
Perlomeno, non per me, e non per le persone che frequento, nella vita reale e in rete.
Per molti sarĆ scomparso, non ne dubito.
Per me, come ho scritto prima, l'altro, la condivisione, la relazione, ĆØ il presupposto per una crescita personale (e non il contrario, annosa questione che con Lophelia discuteremo anche tra cinquant'anni, ma va bene cosƬ).
Questo non significa che ci debba essere una successione temporale definita: prima mi rapporto agli altri e da lƬ imparerĆ² a conoscere me stesso, o il contrario: prima faccio luce in me stesso, e SOLO ALLORA sarĆ² in grado di rapportarmi agli altri in maniera giusta. Sono processi paralleli, non lineari, forse spirali. Entrambi necessari e complementari.
Ć molto vero quello che dite sulla disponibilitĆ a mettersi in gioco come presupposto della relazione autentica. Questo vale nella vita come nella rete. In entrambe le arene, ĆØ facile non farlo.
L'altro per me ĆØ vivo e vegeto. Ho rapporti personali molto gratificanti con persone vere, che tocco, vedo, con le quali rido e lavoro. Non capisco perchĆØ l'una cosa debba escludere l'altra. Non mi sento "perennemente impegnata" a prendere le distanze dalla mia realtĆ prossima.
Percepisco una ricchezza infinita intorno a me, sia nel privato che sul lavoro, e con "privato" intendo TUTTI i tipi di rapporti privati, quelli quotidiani e fisici e quelli cosiddetti virtuali.
Ma mi riconosco molto in quello che dice r. sul bisogno di rapporti significativi. Penso che con qualsiasi persona io condividessi la mia vita questa non mi basterebbe mai, come io non basterei mai a nessuna persona. Esistono rapporti privilegiati, che non per questo debbono essere esclusivi. L'amore ha mille forme. Quello vero, che ĆØ sempre per UNA persona, non esclude altri tipi di amore ma li arricchisce e ne viene arricchito.
Dimenticavo:
Rifiuto categoricamente la necessitĆ di un apporto psicanalitico per una crescita personale (e qui naturalmente uno psicanalista direbbe: appunto)
:))))
completamente d'accordo!
e la rete in questo senso ĆØ una grandissima risorsa. non ĆØ un' alternativa al mondo fatto di persone in carne e ossa, ma ĆØ uno strumento molto utile nella scoperta e conoscenza dell'altro e di se stessi.
come ogni strumento dipende dall'uso che se ne fa.
e sicuramente ĆØ facile perdere la consapevolezza del come lo si sta usando.
ma questo vale per qualsiasi cosa.
r.
Cio' che ci permette di allargare i nostri orizzonti e' sempre e comunque da accogliere positivamente, ovunque: nel reale, nella rete, in biblioteca, al cinema.
Senza distinzioni, con quell'apertura e quella disponibilita' che sono gli unici strumenti per indagare il mondo fuori e dentro di noi.
Tutto vero. Pero'. Non sarebbe stato meglio fare questa discussione al tramonto su una spiaggia tranquilla, oppure raccogliendo mirtilli in un bel bosco, o passeggiando su un sentiero dell'Engadina?
Il mondo, quello vero, non resta sempre il luogo piu' bello di qualsiasi realta' virtuale nel quale esistere?
Scelgo l'Engadina, ma anche una bella baita qui vicino.
Potendo.
Ma se non si puĆ², va bene anche qui, e anzi, io credo che il mondo virtuale sia parte di quello vero. Non un'alternativa, ma una piccola parte.