La cura: 5) Le piccole gioie che fanno una grande differenza.



In questa puntata di La cura ci facciamo aiutare da un articolo che ho letto qui in rete qualche giorno fa e che fa proprio al caso nostro.

Dei 26 segni di maturita' emotiva elencati, mi ha colpito in modo particolare il numero 19, che vi ricopio integralmente:

"You cease to put too much hope in grand plans for the kind of happiness you expect can last for years. You celebrate the little things that go well. You realise that satisfaction comes in increments of minutes.

You’re delighted if one day passes by without too much bother. You take a greater interest in flowers and in the evening sky. You develop a taste for small pleasures".

Durante la fase acuta della depressione, avevo perso del tutto la capacita' di vedere le piccole gioie come quelle citate nell'articolo.

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La guarigione e' iniziata quando ho ricominciato a prendere coscienza di momenti piacevoli molto quotidiani, a volte davvero minimi. Vissuti assaporando il presente, sapendo che magari si trattava solo di parentesi, piccole oasi nel deserto. Canape' in un giorno buio, come forse li definirebbe Ghostpoet che sta uscendo dal mio stereo mentre scrivo questo post. Senza costruire aspettative, senza fare progetti.

A quelle sensazioni mi sono aggrappato con un senso di gratitudine. Ho iniziato a prenderne nota, a descriverle nel Moleskine che porto sempre con me.

E' stato un passaggio molto importante del processo di guarigione.

Commenti

Andrea ha detto…
colpevole per colpevole, a me e' toccato crescere sulla 19: You get better at hearing feedback. Rather than assuming that anyone who criticises you is either trying to humiliate you or is making a mistake, you accept that maybe it would be an idea to take a few things on board. You start to see that you can listen to a criticism and survive it – without having to put on your armour and deny there was ever a problem.

Adoro il "MAYBE" :^)
Fabio ha detto…
Ci ho pensato molto quando l'ho letto, e il principio e' sicuramente corretto. Ci ho pensato soprattutto perche' credo di essere molto lontano da "getting better at hearing a feedback".

Pero' credo anche che maybe abbia senso in questo contesto.

Va prima di tutto capito quando una critica e' costruttiva. Se la e' ben venga.

Ma e' anche vero che non tutte le critiche sono costruttive. E che a un certo punto dobbiamo prenderci anche la responsabilita' di essere un po' "impopolari" se e' una condizione per fare qualcosa in cui crediamo.

Schopenhauer a un certo punto della sua vita decise di tenere le sue lezioni in modo da sovrapporle esattamente con quelle di Hegel. Quelle di Hegel erano molto partecipate. Schopenhauer lo andavano ad ascoltare 4 o 5 studenti (al punto che una volta pare abbia detto "Io non scrivo per gli imbecilli, per questo ho poco pubblico"). Si trattava di una critica, in fondo, anche se implicita.

Pero' leggilo oggi Schopenhauer: ci parla ancora adesso dopo due secoli. Aveva avuto intuizioni molto avanzate, per il suo tempo.

Se avesse ascoltato quelle critiche e invece di sviluppare il suo pensiero, nonostante lo scarso successo delle sue idee, avesse seguito anche lui il pensiero di Hegel oggi ci mancherebbe una fonte di interpretazione della realta' che almeno a me sembra lucidissima.
Andrea ha detto…
Io invece l'ho letto come antidoto alla dilagante sindrome di Dunning-Kruger, quelli insomma che parlano parlano pensando di sapere, ma in realtĆ  sanno poco. E gli accademici, si sa, sono categoria a rischio
Fabio ha detto…
Che si contrappone al socratico "Io so di non sapere", da tenere sempre presente.

Tra l'altro, con l'accelerazione del cambiamento, le conoscenze tecniche invecchiano prestissimo. Mi stupisco ogni giorno di quanto poco so e di quante cose che sapevo dimentico o diventano semplicemente inutilizzabili.

Forse, per riprendere ancora Socrate, davvero dovremmo concentrarci sulla ricerca introspettiva e accettare con serenita' le nostre umanissime lacune.