Il Sabato del villaggio (parte 3)
Avevo ancora dentro di me gli occhi pieni di vuoto di Francesca Woodman e Diane Arbus riflessi nelle grandi tele di Nigel Cooke quando, verso le 4 del pomeriggio, approfittando di qualche nuvola piovosa che come me aveva deciso di fare un giretto a St. James's Park, ho varcato l'ingresso dell'Institute of Contemporary Arts, dove e' in corso una retrospettiva ultra-completa sul cinema di Rainer Werner Fassbinder.
Voi l'avete visto questo "Chinese roulette", del 1976? Solo un genio del male come Fassbinder, votato al piu' profondo odio nei confronti delle cardinali istituzioni borghesi, avrebbe potuto pensare a una storia cosi' claustrofobicamente implosiva, un buco nero nel quale una famiglia upper class viene inghiottita fino a disintegrarsi in un iperspazio negativo tutto interiore. E tutto grazie (o per colpa, insomma dipende come vedete voi questa impietosa decostruzione) a una verita', che come recita il sottotitolo del film, puo' essere fatale.
Come avra' fatto Fassbinder a generare il personaggio di una ragazzina diabolica come quella che approfitta delle bugie che i genitori si dicono da anni per affondare la lama cosi' in profondita' nelle strutture portanti della buona societa', tedesca ma non solo?
Marito e moglie, i genitori della diabolica ragazzina, fingono di avere appuntamenti di lavoro che li terranno lontani da casa qualche giorno. E che impegni di lavoro non sono affatto. Peccato che entrambi abbiano pensato di ospitare i rispettivi amanti nella casa di campagna. Dove tutti e quattro trascorreranno il resto del film, giocando a un gioco della verita' cinicamente suggerito dalla figlia.
Verita' squarciata e messa a nudo senza pieta', cosi' come in una scena altamente simbolica del potere della ragazzina "Radioactivity" dei Kraftwerk incide una ferita nella musica di Mahler che abbiamo ascoltato per tutto il film.
Sara' un colpo di pistola, sparato mentre finalmente dopo tanta insopportabile claustrofobia vediamo l'esterno della casa, a segnare la fine della storia. Ma non solo di quella, forse di un'intera istituzione sociale.
Esco, e' tornato un timido sole. Mi siedo a gambe incrociate sull'erba del parco bevendo tutta d'un sorso una bottiglia d'acqua, come a volere ripulire ogni cellula di tanta oscurita'.
Prendo il giornale dalla borsa. Arriva un sms. "Ho gia' fatto i biglietti, ti aspetto qui a Charing Cross alle 6".
Di chi era quell'sms, vi domanderete? Come mai qualcuno mi aspettava alla stazione al termine di quel Sabato? Per andare dove?
La risposta domani, nella parte 4 del post, da non perdere assolutamente vi avverto.
[Una bella recensione del film la trovate qui].
Commenti
un saluto e buona settimana
f.
Però questo non l'ho visto.
Avviso: chiunque mi risponda "anch'io anch'io!!" rivela di avre un'età superiore ai 35 anni.
AuroRT
mi ha fatto venire in mente un altro film tedesco dalle atmosfere altrettanto cupe, "Edith diary" (Geissendorfer 1983), al cinema eravamo in 3 o 4...ora mi sa che uscirei prima della fine, ai tempi dovevo espiare qualche oscura colpa.
E a me ha turbato quello che ho visto, infatti. Rispetto ad altri suoi film, Fassbinder non ha esagerato nella durata, e ci sono piu' "colpi di scena" del solito. E' un film che puo' disturbare ma non logora (che e' l'effetto che qualche volta ha Fassbinder su di me, specie se introdotto da Ghezzi o Razzini).
Invertire -
E' una domandona la tua. Sai che non so proprio rispondere? Mi verrebbe da dire che dice ancora qualcosa a chi e' cresciuto in quegli anni, ma probabilmente pochissimo alle nuove generazioni, quelle che non hanno visto lo sgretolamento di tante cose (istituzioni borghesi, contestazione collettiva delle stesse istituzioni borghesi, ecc.).
Auro -
Anch'io, anch'io! A parte il fatto che vorrei averli ancora 35 anni, ci farei la firma, e anche tu mi sa! Credo che tu e io non ci conoscessimo ancora quando nelle rispettive camerette distanti qualcosa come piu' di 500 metri e meno di un chilometro cercavamo di tenere gli occhi aperti guardando nelle nostre TV in bianco e nero 12 pollici film che io non capivo affatto (ma me ne sono accorto solo 20 anni dopo rivedendoli al De Amicis). Qualche anno dopo ci saremmo conosciuti, e non avremmo perso un film del glorioso cineforum di Tortona (ma lo sai che Franchino mi manda ancora gli auguri di Natale e Pasqua?), passando poi intere serate a commentare "Io e il vento" e "Morte di un maestro del te". Ma ti ricordi?
Lophelia -
Non l'ho visto, ma se lo consigli lo aggiungo alla lista dei film che uso per il mio settimanale "controllo incrociato dei film che voglio vedere con quelli proiettati questa settimana in uno qualsiaisi dei 6-7 festival in corso a Londra". Bello quello che dici sulla "colpa", mi ha fatto pensare. Anzi, aspettavo che qualcuno prima o poi affrontasse il tema, per il quale non basterebbero 15 post. Mi sa pero' che tu e io per espiare davvero le nostre colpe dovremmo vedere "Mission impossible 3". La mia personale versione dell'inferno sara' un girone speciale fatto a multisala dove saro' circondato da voraci mangiatori di popcorn mentre legato alla poltrona dovro' vedere il ciclo completo di "Vacanze di Natale" in loop perpetuo.
il film non lo consiglio particolarmente. Inferni familiari, rancori esplosivi e follia crescente, finale amaro. A parte che ha quella particolare grevità che solo i tedeschi riescono ad avere, ma in questo momento della mia vita mi sento in ogni caso di NON consigliarlo. Al limite meglio il romanzo di Patricia Highsmith da cui è tratto (stesso titolo).
Ma meglio ancora Gli Aristogatti.
comunque gli Aristogatti non li dicevo come regressione, anzi. Una ri-conquista della leggerezza...credo di averli visti tante volte quante ho visto il film concerto "Rust never sleeps" al cinema Universale di Firenze, storico e "fumoso" cinema oggi ristrutturato in locale alla moda.
Solo una cosa sulla "colpa": l'importante è il momento in cui si arriva a capire, anzi a sentire, che in realtà non ne avevamo alcuna. Almeno nella maggioranza dei casi.
Aspetto con curiosità il 4°.
Mi riferivo a quel senso di colpa più profondo che fa compiere inconsciamente rituali di espiazione - o peggio di sottile autodistruzione.
Quella zavorra che ci portiamo dietro fino a che non scopriamo che non era colpa nostra se i nostri genitori non erano felici, anche se così ci avevano fatto credere perché, umanamente, non sono riusciti a non far pesare su di noi i loro malesseri.
Meno facile farci un film, e di sicuro non sarebbe stato di Fassbinder!